A scuola: bidelli lavano il pavimento e professore scivola e cade. Nessun risarcimento dall’istituto e dal Ministero.

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 18 dicembre 2015, n. 25594)

Svolgimento del processo

1.La domanda di risarcimento del danno asseritamente derivante dalla rovinosa caduta a causa del pavimento bagnato e viscido per via di detergenti utilizzati nella pulizia, che i bidelli stavano effettuando, avanzata da G.D. nei confronti dell’istituto scolastico dove insegnava e del Ministero, fu rigettata dal giudice di prime cure – che escluse la responsabilità dei convenuti sia ai sensi dell’art. 2043 c.c., che ai sensi dell’art. 2051 c.c. – con decisione confermata in appello in riferimento all’art. 2051 c.c. (sentenza dei 25 luglio 2013).

2. Avverso la suddetta sentenza, G.D. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, esplicati da memoria. Il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e l’Istituto professionale di Stato per l’industria e l’artigianato “G. Ferraris” si difendono con unico controricorso.

La Milano Assicurazioni, chiamata in giudizio in garanzia dai convenuti, pur ritualmente intimata, non svolge difese.

Motivi della decisione

1.La Corte di merito ha ritenuto visibile l’insidia sul pavimento bagnato e viscido, per via del lavaggio che gli addetti stavano effettuando, e imprudente la condotta del professore che, nell’appressarsi alla stanza per partecipare alla riunione del collegio dei docenti, non ha adottato le necessarie cautele in presenza di una situazione di pericolo prevedibile ed evitabile per via della presenza in prossimità dei bidelli che stavano pulendo.

Ha confermato la decisione di primo grado ravvisando il fortuito e, in sostanza, l’interruzione del nesso causale costituito dalla condotta del danneggiato.

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2051 e dell’art. 2697 c.c., per non aver considerato la mancata adozione da parte del custode di idonee segnalazioni e, quindi, la mancata prova del fortuito gravante sul custode.

2.1 Il motivo è inammissibile.

La valutazione riguardante lo stato dei luoghi, il comportamento incauto del danneggiato, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla stato della cosa in custodia o dal comportamento della vittima o se vi sia stato un concorso causale tra i due fattori, riguardano valutazioni di merito il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se accompagnato, come nella specie, da valutazioni esenti da vizi logico giuridici.

La Corte ha già affermato che, «Ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito. (Cass. n. 23584 del 2013).

In definitiva, il ricorrente, sia pure prospettando anche la violazione di legge, in realtà mira ad una nuova valutazione delle risultanze probatorie di causa.

3. Con il secondo motivo, in via subordinata, si deduce violazione dell’art. 1227 c.c., unitamente a carente e insufficiente motivazione. Sul presupposto che il comportamento del professore non era idoneo a interrompere il nesso di causa non potendosi ravvisare i caratteri del fortuito, si lamenta la mancata considerazione della condotta del danneggiato ai sensi del primo comma della disposizione richiamata.

La censura è inammissibile. La Corte di merito ha in concreto ravvisato una condotta idonea ad interrompere il nesso di causa e non ha applicato l’art. 1227 c.c. proprio in ragione della ritenuta totale interruzione del nesso causale, restata confermata dalla inammissibilità del primo motivo.

4. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate sulla base dei parametri vigenti a favore dei controricorrenti che si difendono con unico controricorso.

Non avendo l’Assicurazione svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del contro ricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso , a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.