Agenti e Funzionari di Pubblica Sicurezza (T.A.R. Calabria Catanzaro, Sezione II, Sentenza 27 dicembre 2016, n. 2543).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Seconda)

con l’intervento degli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Salvatore Schillaci, Presidente

Dott. Nicola Durante, Consigliere

Dott.ssa Giuseppina Alessandra Sidoti, Referendario, Estensore

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 415 del 2015, proposto da:

P.C., rappresentato e difeso dall’avvocato Ettore Zagarese C.F. (…), domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Segreteria in Catanzaro, via De Gasperi, 76/B;

contro

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distr.le Catanzaro, domiciliata in Catanzaro, via G.Da Fiore, 34;

Direzione Territoriale del Lavoro di Cosenza non costituito in giudizio;

per l’annullamento

del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale accertato in data 22.01.2015 per l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura superiore al venti per cento (n.13 lavoratori) del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro (n.13 lavoratori individuati nell’allegato n.1 del verbale di primo accesso n.047/067X/OGTL del 22.01.2015 notificato in data 22.01.2015), nonché dei provvedimenti di prescrizione obbligatoria del 22.01.2015 notificato in data 22.01.2015 (che costituisce parte integrante del predetto provvedimento) e del verbale di primo accesso ispettivo n.047/067X/OGTL del 22.01.2015 notificato in data 22.01.2015 (che costituisce parte integrante del verbale di sospensione dell’attività imprenditoriale) e di ogni altro atto preordinato, connesso, consequenziale;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2016 la dott.ssa Giuseppina Alessandra Sidoti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo

1. Con l’atto in epigrafe, il ricorrente ha premesso che, in data 22 gennaio 2015, i funzionari ispettivi in servizio presso la direzione territoriale del lavoro di Cosenza riscontravano nell’azienda agricola dello stesso l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in numero di tredici dipendenti, procedendo ad effettuare tutte le contestazioni del caso.

Ha quindi impugnato, chiedendone l’annullamento, previa sospensiva, gli atti meglio indicati in epigrafe, deducendo i seguenti motivi:

  1. a) Illegittimità dei provvedimenti per eccesso di potere ex 26, R.D. n. 1054 del 1924: il ricorrente non avrebbe commesso alcuno degli illeciti contestati, non avendo i funzionari ispettivi provato l’esistenza di un rapporto di lavoro, seppur irregolare, tra lo stesso e i tredici lavoratori;
  2. b) Illegittimità del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale per incostituzionalità dell’art.14 c.1 Lgs. n. 81 del 2008 e per violazione dell’ art. 3, L. n. 241 del 1990: il provvedimento sarebbe privo di motivazione, limitandosi i funzionari verbalizzanti ad indicare le presunte violazioni commesse dal ricorrente.

3. In data 30 marzo 2015 si è costituito il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per resistere al giudizio.

4. All’esito dell’udienza camerale del 7 maggio 2015, con ordinanza n. 193/2015, depositata l’8 maggio 2015, il Collegio ha respinto l’istanza cautelare avanzata dal ricorrente.

5. In vista della pubblica udienza le parti hanno prodotto memorie.

6. Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2016 il ricorso è stato posto in decisione.

Motivi della decisione

1. Parte ricorrente contesta che i soggetti intenti alla raccolta dei frutti fossero lavoratori, essendo invece soggetti che “solo per mera cortesia ed a titolo assolutamente gratuito, si trovavano nel terreno “per la cosiddetta caduca” ossia per raccogliere tutti i frutti che il C. non avrebbe più raccolto”; si duole pertanto dei provvedimenti impugnati che si fonderebbero su falsi presupposti e sarebbero comunque illegittimi.

1.1. Il ricorso è infondato.

1.2. Ai sensi dell’ art. 14 del D.Lgs. n. 81 del 2008, “Al fine di far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare …, gli organi di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze, possono adottare provvedimenti di sospensione in relazione alla parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni quando riscontrano l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro”.

Dagli accertamenti effettuati e dalle dichiarazioni dei lavoratori è emerso che ben 13 dei 14 lavoratori (nella misura del 92,86% (percento)), “trovati intenti a svolgere attività lavorativa”, non risultavano regolarmente assunti.

Pertanto, gli ispettori della Direzione Territoriale del Lavoro procedevano correttamente alla sospensione dell’attività imprenditoriale ed alla conseguenziale notifica del relativo provvedimento al sig. C..

In tal senso univoca è la riflessione della giurisprudenza, secondo cui, ai sensi dell’ art. 14 D.Lgs. n. 81 del 2008 – disposizione deputata alla tutela, non solo della sicurezza dei luoghi di lavoro, bensì del contrasto al lavoro irregolare in senso ampio, intendendosi per lavoratore irregolare qualsiasi lavoratore “sconosciuto alla p.a.” -, è legittimo il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale adottato dalla Direzione del lavoro a carico di imprenditore la cui forza lavoro sia costituita nella percentuale prevista dalla legge o superiore (pari o superiore al 20% (percento)) da soggetti non regolarmente assunti (cfr. Cons. St., sez. VI, 14 novembre 2014, n. 5611; T.A.R. Umbria, sez. I, 13 gennaio 2015, n.17; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 10 maggio 2013, n. 2454; T.A.R. Basilicata, sez. I, 6 aprile 2012, n. 143; T.A.R., Veneto, sez. III, 7 agosto 2015, n. 909).

1.3. Parte ricorrente nega che i soggetti in questione fossero suoi lavoratori.

Orbene, in conformità all’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, spettava all’odierno ricorrente dimostrare l’insussistenza di un rapporto di lavoro fra lo stesso e i lavoratori in questione e non già all’Amministrazione (cfr. Cons. St., sez. VI, 14 novembre 2014, n. 5611; Cass. civ., sez. lav., 10 novembre 2010, n. 22873), ma tale prova nel caso non è stata adeguatamente fornita.

Né rileva, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, che le persone rinvenute sul terreno di sua proprietà fossero lì “per mera cortesia ed a titolo assolutamente gratuito”, poiché – in forza dell’ art. 2 del D.Lgs. n. 81 del 2008 – lavoratore è chi “indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione”.

Pertanto, in assenza della suddetta prova, il sig. C. avrebbe dovuto effettuare la preventiva comunicazione di cui all’ art. 39, comma 8, D.L. n. 112 del 2008 convertito in L. n. 133 del 2008 , agli Enti competenti – anche al fine di garantire la copertura di eventuali infortuni sul lavoro -, considerato che la raccolta avveniva sul terreno di sua proprietà e che lui ne era a conoscenza.

1.4. Priva di pregio è poi l’affermazione del ricorrente secondo cui i lavoratori si trovavano sul terreno per raccogliere quei frutti che nessuno avrebbe più raccolto “anche e soprattutto in virtù del fatto che il terreno sul quale insistevano era ormai in disuso”.

Infatti, secondo quanto riferito dalla difesa dell’amministrazione, tale affermazione non trova conferma nella denuncia aziendale approvata dall’INPS di Rossano in data 29 ottobre 2014, nella quale si indicano tra i terreni utilizzati dal sig. C. anche quelli oggetti d’accertamento.

1.5. Ed ancora non irrilevante, ai fini della ritenuta inesistenza del rapporto di lavoro, appare, nel caso, la circostanza che i soggetti in questione rinvenuti dai pubblici accertatori intenti alla raccolta fossero in numero consistente (ben 13 su 14 complessivi).

1.6. Il ricorrente sostiene che i propri assunti trovano riscontro probatorio nel “processo verbale di informazioni da parte del difensore e contestuale relazione ex art. 391 bis, 391 ter e ss. c.p.p. redatto a distanza di pochi giorni dal sottoscritto difensore al fine di meglio precisare e specificare quanto accaduto”.

Al riguardo, anzitutto occorre precisare che, in relazione all’accertamento di infrazioni quale quella di cui agli impugnati provvedimenti, non sono necessarie le dichiarazioni e le ammissioni dei soggetti coinvolti, sia che siano essi imprenditori, sia che siano lavoratori irregolarmente assunti (cfr. Cons. St., n. 5611/2014 cit.).

In ogni caso, le dichiarazioni rese dai lavoratori innanzi agli ispettori di lavoro, in qualità di pubblici ufficiali, raccolte nel relativo verbale, fanno piena prova fino a querela di falso, trattandosi di atti pubblici aventi efficacia probatoria ex art. 2700 c.c. (in tal senso, Cons. St., sez. III, 3 agosto 2016, n. 3518; Cons. St., sez. V, 14 aprile 2016, n. 1484; Cass. civ., sez. III, 6 maggio 2015, n. 8999); infatti, come già anticipato nell’ordinanza di rigetto dell’istanza cautelare, “il verbale, posto a fondamento dell’impugnato provvedimento di sospensione, costituisce atto pubblico e fa piena prova fino a querela di falso”.

Né assume rilievo la circostanza che parte ricorrente si oppone all’affermazione che i lavoratori in questione dichiaravano di lavorare per il sig. C., attese le difficoltà di comprendere la lingua italiana; infatti, la detta “opposizione” non può superare le dichiarazioni raccolte dai funzionari, le quali non perdono efficacia probatoria a fronte di quelle rese e verbalizzate nella relazione di cui agli artt. 391-bis, 391-ter e ss. c.p.p., in assenza, come nel caso, di querela di falso di quanto affermato nel contestato verbale.

1.7. In conclusione, nessuna rilevanza assume l’ipotizzata inesistenza nella fattispecie di un rapporto di lavoro subordinato, mentre rileva l’accertamento, da parte degli ispettori, dello svolgimento di tipici compiti lavorativi, impregiudicata la tipologia subordinata, autonoma o parasubordinata, senza che il privato abbia fornito elementi di prova idonei a ricondurre l’attività ad altro rapporto (affectio familiaris, societatis, ecc.) e a superarne la presunzione, pur relativa, di onerosità.

D’altronde, in merito all’inversione dell’onere della prova (per la presunzione relativa di onerosità e non di gratuità), si ritiene che incomba su chi invoca l’assenza di un rapporto lavorativo con soggetti rinvenuti su proprio fondo, intenti in attività tipicamente lavorative, l’onere di provare la relativa assenza, a nulla rilevando le dichiarazioni postume rese dai soggetti in questione (in contrasto con quelle rese in presenza dei verbalizzanti) in assenza di querela di falso del relativo verbale.

2. In merito alla dedotta illegittimità del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale per incostituzionalità dell’ art. 14 del D.Lgs. n. 81 del 2008 e per violazione dell’ art. 3, L. n. 241 del 1990, le doglianze sono prive di fondamento, essendo nel caso di specie il provvedimento di sospensione impugnato adeguatamente motivato.

In particolare, in forza del disposto normativo di cui al citato art. 14 D.Lgs. n. 81 del 2008, il verbale di sospensione appare legittimo, essendo in esso indicato il numero dei lavoratori non registrati in alcuna documentazione obbligatoria (in misura superiore al 20% (percento)) ed essendo stata rilevata tale condizione da un pubblico ufficiale e rapportata in un atto pubblico che fa piena prova fino a querela di falso.

Invero, l’ art. 14 D.Lgs. n. 81 del 2008 cit. prevede che gli organi della p.a. possono adottare provvedimenti di sospensione qualora rilevino l’impiego di personale, non risultante dalla documentazione obbligatoria, in misura superiore al 20% (percento) del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, ma il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 33 del 2009, ha precisato che “il provvedimento di sospensione debba essere di norma adottato ogni qualvolta ne siano accertati i presupposti, salvo valutare circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell’opportunità, di non adottarlo”.

Orbene, nel caso in questione, nessuna circostanza particolare si è verificata o è stata ipotizzata da parte del ricorrente, che si è limitato ad affermare che trattasi di attività in fase terminale e gratuita (ossia attività svolta per “la cosiddetta caduca”).

Ne consegue che, stante la presenza di una così elevata percentuale di lavoratori irregolari (pari al 92,86% (percento)) e di tutti i presupposti di legge nonchè l’assenza di circostanze particolari, il provvedimento di sospensione adottato è da ritenersi legittimo.

3. Conclusivamente il ricorso va rigettato in quanto infondato.

4. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, in favore dell’amministrazione resistente, nella misura di complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2016.

Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 2016.