Arresti domiciliari: l’allontanamento può esser autorizzato per visitare il figlio minore.

(Corte di Cassazione penale, sez. II, sentenza 22 aprile 2016 n. 16964)

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE 
Sentenza 22 aprile 2016, n. 16964

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente –

Dott. RAGO Geppino – Consigliere –

Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere –

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. AIELLI Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.G., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza in data 16/10/2015 del Tribunale di Palermo in funzione di giudice del riesame.

Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. AGOSTINACCHIO Luigi;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GALASSO Aurelio che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 16/10/2015 il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice del riesame, rigettava l’appello proposto nell’interesse di M.G., sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, avverso l’ordinanza emessa in data 22/09/2015 dalla Corte di Assise di Appello con la quale era stata negata l’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio durante i fine settimana, dalle 16,30 del sabato alle 21,30 della domenica, al fine di trascorrere tale arco di tempo con la figlia minore.

Precisava il tribunale che il M. era sottoposto al programma speciale di protezione dei collaboratori di giustizia; che era condivisibile la decisione della corte di assise secondo cui, attesa la separazione consensuale dal coniuge, in fase di omologazione, era opportuno attendere le determinazioni del competente tribunale sulle modalità di affidamento e di gestione dei rapporti genitoriali con la figlia minorenne; che la richiesta aveva in ogni caso carattere premiale ed era estranea ai profili cautelari di competenza del tribunale del riesame; che il motivo sotteso alla richiesta di autorizzazione di allontanamento dal domicilio non rientrava nella previsione di cui all’art. 284 c.p.p., comma 3 atteso il riferimento della norma ad esigenza di natura strettamente materiale.

2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il M. tramite difensore di fiducia lamentando la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per violazione di legge, con riferimento all’applicazione ed interpretazione del disposto dell’art. 284 c.p.p., comma 3 nonchè per vizio di motivazione, ritenuta illogica e contraddittoria in ordine alle ragioni a base del rigetto dell’appello.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

2. Deve premettersi che la Suprema Corte ha con argomentazioni condivisibili chiarito che l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo ove si esegue la misura degli arresti domiciliari, prevista dall’art. 284 c.p.p., comma 3, risolvendosi in una modalità di carattere permanente che incide in misura apprezzabile sul regime cautelare, deve qualificarsi come “ordinanza in materia di misure cautelari”; e che conseguentemente, avverso detto provvedimento deve ritenersi ammissibile l’impugnazione di merito e quindi il ricorso in cassazione (cfr. Cass. sez. 6, sent. n. 4418 del 18.11.1994, dep. 25.01.1995, Rv. 200858; di recente Cass. sez. 4, sent. n. 29918 del 10/06/2014 – dep. l’08/07/2014 non mass.).

Non può pertanto condividersi la considerazione del tribunale palermitano secondo cui la “richiesta e lo stesso provvedimento della Corte di Assise nulla hanno ad oggetto una materia oggi estranea alle determinazioni cautelari che sono proprie di questo tribunale”, lasciando intendere, pur nell’incertezza lessicale dell’espressione, che la questione esuli dall’ambito della propria valutazione.

3. In realtà tale affermazione non ha precluso l’esame nel merito dell’appello definito tuttavia sulla base dell’erronea applicazione dell’art. 284 c.p.p., comma 3 (nell’ordinanza impugnata l’indicazione dell’art. 274 c.p.p. è evidentemente una svista).

Sostiene il tribunale che la norma in esame si riferisce ad esigenze di natura strettamente materiale, connesse ad “indispensabili esigenze di vita”, intese “come esigenze di approvvigionamento del detenuto di beni primari per la vita e la salute”, sul presupposto di una “condizione di assoluta indigenza” che giustifichi l’esercizio di attività lavorativa.

Non considera tuttavia quel giudice come non possa escludersi in linea astratta che “le indispensabili esigenze di vita” di cui all’art. 284 c.p.p., comma 3 possano riguardare bisogni non solo materiali, ma anche spirituali (cfr. Cass. sez. 5, sent. del 02/04/2015 – dep. il 23/09/2015 non massim.), nel cui ambito potrebbe rientrare il rapporto con un figlio minorenne per il limitato arco temporale, solitamente coincidente con il fine settimana, previsto dall’atto di separazione personale.

In base al tenore letterale della disposizione in esame l’autorizzazione ad assentarsi per l’imputato sottoposto agli arresti domiciliari può giustificarsi se costui “non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza”, situazione quest’ultima che va riferita alle necessità primarie dell’individuo e dei familiari a suo carico, ai quali non può darsi riscontro se non attraverso un’attività lavorativa. Il riferimento invece alle “indispensabili esigenze di vita” ha una connotazione più sfumata e si carica di significati concreti con riferimento alle condizioni sociali dell’individuo ed alla tutela dei suoi diritti fondamentali.

Vari elementi conducono a differenziare le due ipotesi:

– una concezione “pauperisitica” di entrambe sarebbe contraria al tenore letterale della norma, essendo stato altrimenti sufficiente menzionare unicamente l’assoluta indigenza quale causa di giustificazione dell’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio, con conseguente preclusione dell’ampliamento della deroga a casi in cui si debba sopperire ad esigenze ulteriori rispetto a quelle della fisica sopravvivenza (vitto, vestiario ed alloggio);

– le “indispensabili esigenze di vita” non possono quindi essere interpretate in termini economici ma devono tener conto dei diritti inviolabili dell’uomo che la Costituzione tutela sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, in conformità con quanto previsto dall’art. 2 Cost.;

– la prospettata necessità di mantenere contatti con la figlia minore (resi oltremodo difficili dall’allontanamento del padre dal nucleo familiare sia per esigenze di tutela personale, attesa la sua collaborazione per fini di giustizia, sia per la separazione dal coniuge) costituisce espressione del diritto ad espletare le funzioni genitoriali e di coltivare uno dei rapporti fondamentali nella vita di relazione, la cui attuazione non può in linea di principio essere ostacolata ma va anzi favorita, in virtù del principio di solidarietà espresso dalla seconda parte dell’art. 2 Cost..

4. Tale interpretazione della norma si pone lungo una linea di continuità con l’orientamento di questa Corte che ha già affermato che è principio di civiltà che a colui che subisce una restrizione carceraria – preventiva o definitiva – sia comunque riconosciuta la titolarità di situazioni soggettive attive e sia garantita quella parte di diritti della personalità che neppure la pena detentiva può intaccare.

Tra questi è certamente annoverabile il diritto al mantenimento di relazioni familiari e sociali, comprimibili solo ove ricorrano specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o intramuraria o, per i detenuti in attesa di giudizio, d’ordine processuale (in termini, in motivazione, Cass. sez. 2, n. 23760/2015 che, anche in tal caso, ha richiamato il rispetto delle esigenze personali del detenuto quale applicazione dell’art. 2 Cost., come norma fondamentale intesa ad assicurare all’individuo l’esplicazione della propria personalità nelle formazioni sociali e familiari di riferimento, salve le limitazioni ragionevolmente imposte dalla condizione carceraria).

5. In definitiva, l’erronea valutazione in diritto del tribunale ha precluso l’analisi in fatto della fattispecie dovendosi esaminare se le esigenze cautelari – peraltro garantite con una misura in ambiente esterno al carcere, affidate all’autocontrollo dell’imputato – siano compatibili con la richiesta in esame o, al contrario, se debbano ritenersi ad essa ostative.

Dovrà a tal fine considerarsi anche il disposto di cui all’art. 277 c.p.p., che nel prevedere che le misure cautelari salvaguardino i diritti della persona, subordina il loro rispetto alla compatibilità con le esigenze cautelari, con la conseguenza che potrà ritenersi legittima la limitazione, nei confronti di persona sottoposta al regime detentivo domiciliare, di diritti e facoltà normalmente spettanti ad ogni persona libera, quando detta limitazione non dia luogo ad una loro totale soppressione e per altro verso sia finalizzata a garantire le esigenze cautelari (cfr. Cass. sez. 4 n. 32364 del 27/04/2012).

5. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al tribunale di Palermo per un nuovo esame dell’appello basato sui principi indicati, nella corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 284 c.p.p., comma 3.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Palermo sezione per il riesame dei provvedimenti coercitivi e dispone l’integrale trasmissione degli atti allo stesso tribunale.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2016.