Art. 54 c.p.: stato di necessità

La scriminante dello stato di necessità è disciplinata dall’art. 54 c.p., che così recita: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.

La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo”.

Esempi tipici di applicazione dello stato di necessità sono i seguenti: il naufrago che per salvarsi respinge un altro naufrago aggrappatosi alla stessa tavola, incapace di sostenere entrambi; l’alpinista che taglia la corda del compagno che ha perso la presa e che rischia di trascinarlo con sé; la manovra di emergenza di un automobilista che per evitare un camion sterza bruscamente investendo un passante; la persona in grave stato di inedia che ruba per sfamarsi; la persona inseguita da un leone scappato da uno zoo, che ruba un autoveicolo.

La norma opera anche rispetto ai reati colposi. L’esempio classico è quello del genitore che, alla guida di un’automobile, vede il figlio di pochi anni camminare pericolosamente su un argine e arresta bruscamente il veicolo, causando un tamponamento.

Fondamento della norma.

La scriminante dello stato di necessità presenta molte affinità con quella della legittima difesa, ma se ne differenzia per alcuni aspetti:

  • qui non viene leso il diritto dell’aggressore, ma di un estraneo del tutto innocente al fatto;
  • lo stato di necessità è invocabile non per difendere qualunque diritto ma solo in caso di “danno grave alla persona”;
  • il soggetto pregiudicato ha diritto a un equo indennizzo.

E’ facile constatare che, a differenza della legittima difesa, il fatto commesso in stato di necessità non è un fatto lecito, che l’ordinamento giustifica e scrimina, ma un fatto che può considerarsi solo “tollerato”.

Infatti mentre l’aggressione, nella legittima difesa, è un fatto ingiusto, che legittima una reazione, nello stato di necessità il terzo è estraneo alla vicenda e spesso inconsapevole. E’ anche per questo motivo che il soggetto pregiudicato ha diritto ad un indennizzo, istituto che – come è noto – ricorre quando si deve risarcire un fatto lecito.

Resta quindi da chiarire il motivo della non punibilità del soggetto che agisce.

Il punto è che il soggetto che agisce si trova in una situazione necessitata, in cui il suo istinto di conservazione non gli pone altra scelta.

Ne risulta che sarebbe del tutto inutile una punizione da parte dello stato, che non avrebbe alcuno scopo, né preventivo (non avendo alcuna forza deterrente la pena sulle situazioni di costrizione), né punitivo (perché il soggetto, in linea di massima, non è rimproverabile, proprio a causa della situazione di costrizione).

Chiarito tutto ciò, a questo punto sarà più semplice riportare nei giusti binari il dibattito sul fondamento dello stato di necessità; e viene, in tal modo, naturale osservare che tutte le tesi che si sono occupate di individuare la ratio della norma, così come accade anche per la legittima difesa, sono in genere parziali perché si limitano a fotografare solo un frammento di verità.

La verità è che tutte le tesi che la dottrina ha proposto concorrono a precisare i contorni e la ratio della figura.

Senz’altro ha ragione chi ravvisa la ratio dello stato di necessità nell’istinto di conservazione dell’uomo (Maggiore, Bettiol, Manzini). Tuttavia questa teoria può spiegare le ragioni per cui l’agente ha cagionato il danno, ma non spiega perché il soggetto non è considerato punibile dallo stato.

Precisano alcuni autori, allora, che il fondamento della norma risiede nella mancanza di colpevolezza. Nessun rimprovero può infatti muoversi all’agente, perché costui si trovava in una situazione necessitata che non lasciava altra scelta. In tal senso proprio perché la spinta dell’agente è nell’istinto di conservazione il suo stato soggettivo non è né quello della colpa né quello del dolo. In quest’ottica il fondamento della norma è visto in chiave spiccatamente soggettiva.

Tuttavia anche questa tesi, pur essendo più precisa della precedente, non è del tutto soddisfacente; non si può escludere infatti che il soggetto agisca con freddezza, senza perdere la calma, e che volendo avrebbe potuto trovare strade alternative per salvare se stesso. Ad esempio, il naufrago che getta il compagno dalla zattera potrebbe essere un esperto nuotatore, e magari con maggiore sangue freddo avrebbe potuto scendere dalla zattera e aggrapparsi ad essa nuotando, aspettando i soccorsi.

Inoltre la teoria spiega (anche se solo parzialmente) la realtà quando si tratta di salvare un proprio diritto, ma non certo quando c’è la necessità di salvare un diritto altrui; in tal caso l’agente ha spesso la possibilità di scegliere e di valutare la situazione, e quindi il coefficiente psicologico è spesso quello del dolo.

Il punto è che il bene sacrificato è di valore uguale a quello che sarebbe stato sacrificato in sua vece. Ne consegue che nel conflitto di interessi lo stato sceglie di preferire quello del soggetto danneggiante invece che del danneggiato, sì che non hanno del tutto torto coloro che ravvisano il fondamento della norma nel bilanciamento di interessi, e cioè in chiave eminentemente oggettiva.

Secondo la classica tesi di Antolisei, poi, manca il danno sociale, e quindi l’interesse dello stato alla repressione del fatto. La teoria non è se non una lieve variante della precedente, perché la mancanza di danno sociale è ravvisabile proprio a causa dell’equivalenza dei beni in gioco, sì che non crea alcuno scompiglio, o allarme, il sacrificio di un bene anziché di un altro.

In conclusione, tutte le ragioni sopra esposte contribuiscono a spiegare il fondamento della norma. Si tratta in parte di ragioni oggettive (bilanciamento degli interessi) in parte di ragioni soggettive (mancanza di colpevolezza) sì che la figura si colloca a metà strada tra le scriminanti e le scusanti.

Natura giuridica.

A questo punto, chiarito che lo stato di necessità è una figura ambigua, dai contorni poco definiti, sarà più semplice risolvere un altro ordine di problemi che la dottrina si è posta riguardo a questo istituto e cioè quello della sua natura giuridica e del suo inquadramento dogmatico.

Coloro che ravvisano il fondamento dello stato di necessità in sole ragioni oggettive collocano l’esimente in esame tra le scriminanti vere e proprie, cioè in quelle situazioni che fanno venire meno l’illiceità del fatto.

Coloro che accedono alle visioni soggettive invece collocano l’istituto tra le cosiddette “scusanti”, che non fanno venire meno l’illiceità ma solo la punibilità, per mancanza di colpevolezza.

La verità è invece che lo stato di necessità si colloca a metà strada tra l’inesigibilità per ragioni soggettive e le vere e proprie cause di giustificazione, e quindi è una figura che può presentare aspetti diversi a seconda dei casi.

Ci sembra allora che si possa concludere nel senso che la figura in esame si presenta in un triplice aspetto, diverso a seconda delle fattispecie concrete:

  • sarà una vera e propria scriminante quando il bene sacrificato è di valore inferiore a quello da salvare, perché in tal modo viene meno l’illiceità del fatto stesso (“stato di necessità giustificante”);
  • sarà invece una scusante nel caso in cui il bene sacrificato sia identico a quello salvato, perché in tal caso viene meno la sola colpevolezza dell’agente; il fatto quindi rimane illecito ma il soggetto è scusato (“stato di necessità scusante”);
  • sarà una vera e propria causa di non punibilità nei casi in cui il bene sacrificato sia di valore uguale a quello salvato, e residui anche la colpevolezza dell’agente.

E questa soluzione, peraltro senza dubbio più realistica, è stata accolta anche dal progetto di legge Pagliaro.

Requisiti dello stato di pericolo;

Il pericolo.

Il pericolo può derivare da forze naturali, o animali, o dall’aggressione di un uomo.

In quest’ultimo caso la difesa deve provocare un danno a un terzo, altrimenti, se è diretta verso l’aggredito, la situazione sarà quella della legittima difesa. Così se per evitare un delinquente che mi vuole uccidere gli sparo a mia volta, la fattispecie è quella della legittima difesa; se rubo una moto e scappo abbiamo lo stato di necessità.

Ovviamente l’azione dell’uomo contro cui ci difende deve essere illecita.

Attualità.

Il codice Zanardelli parlava di pericolo imminente. Il codice Rocco invece sposta ad un punto antecedente il momento a partire dal quale la situazione di pericolo è considerata scriminante, dicendo che deve trattarsi di un pericolo di danno attuale, cioè incombente e probabile.

Così, ad esempio, è stato ritenuto esistente lo stato di necessità nel caso di un soggetto che era uscito armato ma senza porto d’armi dalla sua abitazione per dare la caccia ad un cane idrofobo che si aggirava nei dintorni.

Danno grave alla persona

Il danno deve essere, grave, e il giudizio sulla gravità deve essere effettuato valutando caso per caso.

Il carattere della gravità si riconnette con quello relativo alla natura del diritto leso, perché solo un danno alla “persona” può essere considerato grave, non essendolo quelli relativi alle cose.

Alcuni autori intendono l’espressione limitata solo al diritto alla vita e all’integrità fisica.

Altri, invece, più correttamente, estendono il campo di applicazione anche ad altri diritti della persona, come quello all’onore, del pudore (si pensi al caso della bagnante che, rimasta senza vestiti, ruba il vestito di un altro) e in generale a tutti i diritti della personalità (in tal senso Cass. 10772/1981).

La giurisprudenza afferma che i beni della persona tutelati dalla norma in esame sono tutti quelli costituzionalmente garantiti. In particolare, la giurisprudenza di merito, adotta una concezione assai lata del concetto di danno alla persona, comprensivo di tutti quei diritti che, pur essendo attinenti a beni patrimoniali, sono in qualche modo attribuibili alla persona e riconnessi ad essa, come il diritto all’abitazione, allariservatezza e al lavoro.

La Cassazione invece segue un orientamento più restrittivo, escludendo tutti i diritti a contenuto patrimoniale (Cass. 2784/1981).

Sono però inclusi nell’ambito della scriminante quei diritti che, pur avendo natura patrimoniale, attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, come il diritto di abitazione (Cass. 7183/2008).

Involontarietà del pericolo

Lo stato di pericolo non deve essere stato causato volontariamente dall’agente. Tale requisito, che a differenza della legittima difesa è previsto espressamente dalla legge, è di difficile interpretazione; a voler essere pignoli, infatti, quasi sempre un certo pericolo è causato volontariamente; ad esempio la giurisprudenza ritiene in genere che il dissipatore che è rimasto sul lastrico e ruba una medicina per salvare il figlio da un imminente pericolo possa invocare lo stato di necessità; ma è anche evidente che lo stato di necessità è creato da lui stesso.

Allora si precisa che “l’accertamento della volontarietà deve essere riferita alla situazione pericolosa cui immediatamente si ricollega il danno, e non a suoi lontani antecedenti”; o, meglio può dirsi che l’agente può volerel’azione che ha causato il pericolo, ma non deve volere il pericolo.

Così, ad esempio, non può invocare lo stato di necessità l’automobilista che sterza bruscamente e investe un passante nel tentativo di evitare un pericolo, se costui guidava ad alta velocità, superando i limiti di legge, avendo questi volontariamente causato il pericolo.

Sarà scriminato l’alpinista che abbandona l’altro al suo destino, se il pericolo è sorto all’improvviso, senza possibilità di prevederlo; ma non altrettanto può dirsi se c’era una situazione metereologica tale da rendere prevedibile il pericolo, e entrambi si erano accinti all’impresa per incompetenza, oppure sfidando volontariamente la sorte.

Mancanza di un particolare dovere di esporsi

La norma precisa che l’esimente in esame opera solo se il soggetto non aveva un particolare dovere di esporsi al pericolo. Un esempio di chi ha un dovere di questo tipo è quello del vigile del fuoco, che non può invocare lo stato di necessità se per difendersi dal fuoco sacrifica colui che deve soccorrere.

Il dovere di esporsi può derivare tanto dalla legge (organi di polizia) che da un contratto (istituti di vigilanza).

Requisiti dell’azione lesiva;

La costrizione e l’inevitabilità.

Il soggetto si deve trovare in uno stato di costrizione, cioè di impossibilità di decidere altrimenti.

Qui, a differenza che nella legittima difesa, pare che il requisito dell’inevitabilità implichi che non sussista l’esimente in questione quando l’agente poteva darsi alla fuga, oppure quando poteva ricorrere all’autorità (Cass. 4903/1997).

La proporzionalità

L’azione deve essere proporzionata al pericolo; nello stato di necessità il giudizio è più rigoroso che nella legittima difesa, perché colui che viene leso è un terzo estraneo, e non l’aggressore.

Taluno ritiene che la proporzione deve essere valutata in modo quasi matematico, ponendo a confronto il bene leso e quello messo in pericolo; ma secondo altri autori questa è una prospettiva sbagliata, perché occorre considerare anche il grado di pericolo a cui è esposto il bene; se io devo difendere il bene-salute di un terzo (che ha un altissima probabilità di essere leso), ledendo il bene-vita di un altro (che ha una bassa probabilità di esserlo), allora il rapporto di proporzione è rispettato.

Se Tizio per portare un ferito in ospedale corre con la sua auto e investe un passante, che muore, può invocare lo stato di necessità, anche se il bene effettivamente leso (la vita) è superiore a quello in pericolo (la salute); il punto è, infatti, che la morte del passante era un evento scarsamente probabile, mentre il rischio per la salute era certo ed elevato.

Il grado di proporzione quindi non va fatto tra le entità dei rispettivi danni, ma rispetto a tutti gli elementi caratterizzanti la situazione di fatto, e cioè occorrerà tenere nel debito conto l’elemento soggettivo, le modalità di realizzazione, il grado di pericolo che minaccia il bene ed il grado di probabilità di salvarlo attraverso l’azione necessitata.

Il soccorso di necessità

Il cosiddetto soccorso di necessità ricorre quando l’azione necessitata è compiuta da un terzo soccorritore e non da colui che è in pericolo.

L’articolo 54 infatti opera sia quando c’è la necessità di salvare se stessi, sia quando si deve salvare un altro, scriminando in ogni caso il soggetto agente.

Si tratta di una figura molto controversa e di cui alcuni auspicano l’abrogazione. Il punto, infatti, è che tale norma permette ai cittadini di intervenire in situazioni di pericolo, mutando l’ordine naturale delle cose, e permettendo che si decida arbitrariamente una situazione a favore di un soggetto anziché di un altro. Ad esempio permette a taluno di decidere quale dei due naufraghi gettare dalla zattera, favorendo un amico; o permette a un alpinista di decidere chi salvare, di due colleghi in scalata entrambi in pericolo. Non solo, ma tale norma è stata invocata anche per scriminare il patteggiamento con terroristi o delinquenti, barattando la vita degli ostaggi con la libertà di malviventi.

Per questo motivo alcuni autori cercando di restringere la portata della norma fanno leva sull’elemento della necessità e della costrizione. Ad esempio nei casi di baratto di ostaggi, si fa notare che non qualunque baratto è lecito, ma solo quello in cui il bene sacrificato sia inferiore a quello che si vuole proteggere (vita degli ostaggi con la libertà dei malviventi) oppure quando la scelta tra due soggetti da salvare sia tra persone di cui una ha una relazione molto stretta, di parentela o amicizia col soggetto agente.

Il costringimento psichico

L’ultimo comma si occupa del cosiddetto “costringimento psichico” o “coazione morale”, e dispone che “la disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata, risponde chi l’ha costretta a commetterlo“.

Un esempio di costringimento psichico è quello di un automobilista spinto a correre ad alta velocità da chi gli punta contro una pistola. Oppure si può fare l’esempio, molto frequente in verità, del testimone che depone il falso minacciato dalla mafia.

Ovviamente per invocare la scriminante in esame occorre che ci siano tutti i presupposti dello stato di necessità, cioè la costrizione con conseguente impossibilità di scegliere.

A differenza del costringimento fisico (previsto dall’articolo 46 c.p.) che esclude la suitas, il costringimento psichico esclude l’antigiuridicità.

Casistica.

La mancanza di alloggi

Un caso molto frequente riscontrato nella pratica è quello dell’occupazione abusiva di alloggi da parte di soggetti indigenti e senza casa.

In linea di massima la giurisprudenza di legittimità più risalente è abbastanza restrittiva e ritiene che in tale ipotesi non si integrano gli estremi dell’articolo 54, in quanto la situazione è più correttamente definibile come stato di bisogno. Del resto viviamo in una società in cui ci sono appositi strumenti di tutela degli indigenti che escludono l’inevitabilità e la necessità dell’occupazione abusiva (Cass. 11863/1995).

La giurisprudenza di merito invece tendenzialmente ha sempre riconosciuto lo stato di necessità, escludendo quindi il reato di invasione di edifici; specie perché gli strumenti di tutela degli indigenti cui accenna la Cassazione operano con una lentezza elefantiaca, mentre le situazioni in oggetto richiederebbero una risposta immediata e concreta.

Di recente anche la Cassazione ha adottato orientamenti meno restrittivi, e ha affermato che “il concetto di danno grave alla persona può essere esteso, in armonia con quanto stabilito dall’articolo 2 della Costituzione anche a quelle situazioni che minacciano solo indirettamente l’incolumità fisica, riferendosi alla sfera primaria dei diritti ricollegati personalità, come quello all’abitazione, in quanto l’esigenza di un alloggio rientra tra i bisogni primari di una persona” fermo restando che, dovendosi in tal caso comprimere i diritti di terzi estranei, vanno attentamente vagliati dal giudice l’esistenza dei parametri costitutivi dell’esimente (necessità e inevitabilità): Cass. 35580/2007 e Cass. 24290/2003.

La violenza da parte di organi pubblici

L’esimente di cui all’articolo 54 è stata invocata nel caso in cui agenti di polizia avevano inflitto violenze fisiche e morali a dei terroristi, per strappare informazioni necessarie a sventare piani eversivi. Tuttavia la tesi, sostenuta dagli avvocati delle parti, è stata demolita in sede giurisdizionale, data l’operatività del principio di legalità che deve presiedere in ogni caso al funzionamento degli organi pubblici. Nella specie, poi, secondo la Cassazione, mancava il requisito dell’attualità dato che, per essere tale, il pericolo si deve presentare ben individuato e circoscritto, e non generico e rivolto genericamente alla “collettività nazionale”.

Altre ipotesi

Non può invocare l’articolo 54 il mafioso che fa parte della cupola e che ha votato a favore dell’esecuzione di un delitto per evitare vendette da parte degli altri, perché si tratta di un pericolo a cui il soggetto si è volontariamente esposto.

Non è applicabile l’articolo 54 a chi ruba per procurarsi droga, perché lo stato di tossicodipendenza è volontariamente causato e l’astinenza non è un pericolo grave.

E’ applicabile la norma in esame al medico che interviene senza il consenso del paziente, per evitargli un danno grave e irreparabile (ovviamente quando il medico non abbia un dovere di intervenire in base ad altre norme, come nell’ipotesi del medico del pronto soccorso).

Non è invocabile lo stato di costringimento psichico nei confronti del lavoratore che commette un illecito sotto minaccia di licenziamento da parte del datore di lavoro.

Chi guida senza patente per trasportare un malato grave, deve dimostrare l’assoluta impossibilità di utilizzare altri mezzi di soccorso, pubblici, o privati, sì che l’unica possibilità residua fosse quella di mettersi personalmente alla guida pur non avendo mai conseguito la patente di guida (Cass. 1702/1990).

consulenza legale a cura dell’Avv. Antonio MEZZOMO