Atti persecutori: anche se la vittima rimette la querela, si procede d’ufficio quando le lesioni superano i 30 giorni (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 1 agosto 2017, n. 38399).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –

Dott. CATENA Rossella – Consigliere –

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere –

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –

Dott. FIDANZA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

Sentenza

sul ricorso proposto da :

E.F.T., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 16 settembre 2016 della Corte di Appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Fidanza Andrea;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa Marinelli Felicetta che ha concluso per l’inammissibilità;

udito l’Avvocato (OMISSIS), che chiede l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 16 settembre 2016, la Corte di Appello di Bologna ha confermato la sentenza di primo grado con cui E.F.T. è stato condannato alla pena di giustizia per i delitti di atti persecutori e lesioni ai danni di V.D., coniuge legalmente separato.

2. Con atto sottoscritto dal suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato affidandolo ai seguenti motivi:

2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione di legge penale, in relazione alla procedibilità d’ufficio dei reati contestati, nonché vizio di motivazione e violazione di legge penale, i relazione alla ritenuta durata della malattia superiore ai 20 giorni ed alla ritenuta sussistenza dell’aggravante del nesso teleologico.

2.2. Lamenta il ricorrente che la motivazione con cui la Corte territoriale non ha tenuto conto della remissione di querela, ritenendo non credibile la dichiarazione con cui la persona offesa ha riferito, in sede di transazione, di essere guarita nel termine di venti giorni, è priva di logicità, non avendo, peraltro, nessuna valenza che la prognosi iniziale di 30 giorni provenisse da una struttura sanitaria pubblica.

2.3. Lamenta, inoltre il ricorrente, il difetto di motivazione di entrambi i giudici di merito in ordine alla sussistenza dell’aggravante del nesso teleologico.

3. Con il secondo motivo, è stata dedotta violazione di legge nonché vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo e dell’evento di danno del reato di atti persecutori.

3.1. Lamenta il ricorrente l’inattendibilità della persona offesa nonché la mancanza di reiterazione della condotta di minaccia e molestia penalmente rilevanti, ex art. 612bis, oltre al dolo che deve cementare i vari episodi, censure svolte già in appello e sulle quali la Corte territoriale nulla ha argomentato.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio.

4.1. Lamenta il ricorrente il difetto di motivazione per non aver il Giudice di secondo grado, indicato in modo analitico le ragioni per cui ha applicato le diminuzioni di legge previste per le attenuanti in misura inferiore al massimo consentito.

4.2. Lamenta, altresì, l’omessa specificazione nella determinazione dell’aumento per la continuazione in relazione al reato di lesioni.

5. Con il quarto motivo, è stato dedotto vizio di motivazione in ordine alla condanna alle spese processuali del grado.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo è inammissibile.

1.1. non vi è dubbio che il ricorrente, nel contestare al valutazione del giudice di secondo grado in ordine alla ritenuta durata della malattia per un periodo superiore ai venti giorni, formuli censure in merito, in quanto finalizzato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito e ad accreditare una diversa ricostruzione del fatto.

D’altra parte, le argomentazioni con cui la Corte territoriale ha ritenuto di attribuire, sul punto durata della malattia, maggiore valenza alla certificazione della struttura sanitaria pubblica piuttosto che alla dichiarazione della persona offesa, effettuata all’atto di ricevere transattivamente la cospicua somma di Euro 100.000.00, in quanto non manifestamente illogiche, si sottraggono ad ogni sindacato in sede di legittimità.

Coerentemente quindi la Corte territoriale ha ritenuto il delitto di lesioni procedibili d’ufficio e non a querela di parte, con conseguente irrilevanza dell’intervenuta remissione di querela da parte della persona offesa.

2. Manifestamente infondata è, inoltre, la doglianza secondo cui non sarebbe stata motivata la sussistenza dell’aggravante della connessione teleologica tra i delitti di lesioni ed atti persecutori.

Posto che ai fini della configurabilità di tale circostanza aggravante è sufficiente che la volontà del soggetto agente sia diretta alla commissione del reato-fine e che a tale scopo egli si sia servito del reato-mezzo (Cass. 2, n. 29486 del 19 maggio 2009, Rv. 244434), ha articolatamente evidenziato il Giudice di secondo grado che la violentissima aggressione fisica perpetrata ai danni della persona offesa in data (OMISSIS) non fu che l’epilogo di una condotta persecutoria posta in essere dal ricorrente ai danni della moglie separata, persecuzione che era indotta dall’accecante gelosia che lo spingeva ad imporle la propria presenza e ad assillarla costantemente, a pedinarla ed a spiare i suoi movimenti, esattamente come avvenne quella sera quando si scagliò contro la persona offesa inveendo ed aggredendola fisicamente, dopo averla vista con il suo accompagnatore, allo scopo di continuare ad intromettersi nella vita privata e sentimentale della ex moglie.

Emerge, quindi, dalla motivazione della Corte territoriale come anche tale aggressione fosse finalisticamente diretta a perseguitare la persona offesa, costituendo l’epilogo di una complessa condotta persecutoria che in tale episodio assunse una connotazione anche violenta.

3. Il secondo motivo è inammissibile per genericità.

E’ evidente che il ricorrente, nel sostenere la mancanza di reiterazione della condotta persecutoria e l’insussistenza del dolo, non si sia affatto confrontato con le argomentazioni della Corte territoriale, che ha evidenziato come anche le dichiarazioni testimoniali di soggetti terzi abbiano confermato le condote sempre più insistenti e pressanti poste in essere dal ricorrente nei confronti della ex moglie, travalicanti i contrasti conseguenti alla separazione.

3.1 Il Giudice di secondo grado, ha messo in luce la pervicacia e la valenza incisiva di tali condotte del ricorrente, l’irrefrenabile e pericolosa carica intenzionale dello stesso, che lo ha spinto ad inferire violentemente anche in presenza di tersi.

E’ stato, inoltre, descritto in modo dettagliato ed esaustivo come la condotta del ricorrente abbia prodotto cumulativamente tutti e tre gli eventi previsti dall’art. 612bis c.p. (vedi pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).

A fronte di un apparato argomentativo molto articolato della sentenza impugnata, le doglianze del ricorrente sono generiche ed apodittiche; non si preoccupano di confutare le singole affermazioni del giudice di secondo grado, limitandosi ad invocare l’insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori e prescindendo ad ogni considerazione inerente al caso concreto, incorrendo quindi proprio nelle manchevolezze che infondatamente imputano al provvedimento impugnato.

4. Il terzo motivo è inammissibile.

4.1. Il principio consolidato di questa Corte che la determinazione del trattamento sanzionatorio, la concessione o meno delle attenuanti generiche, il il bilanciamento delle circostanze rientrano nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del Giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soliti limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (cfr. Cass. Sez. 6, n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, Rv. 248737).

4.2. Nel caso di specie , con argomentazioni lineari e coerenti, la Corte territoriale ha evidenziato le ragioni per cui la pena base non è stata assestata al minimo edittale , ciò in relazione alla portata violenta e vessatoria degli atti persecutori, oltretutto protratta nel tempo.

Nè il Giudice era tenuto ad applicare le attenuanti generiche nella loro massima ampiezza, in virtù del chiaro tenore letterale dell’art. 612bis c.p. (che consente discrezionalmente una diminuzione in misura non eccedente il terzo).

5. Il quarto motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

5.1. La Corte territoriale ha confermato integralmente la sentenza di primo grado, rigettando quindi l’appello del ricorrente, con la conseguenza che assolutamente corretta è stata la condanna dello stesso al pagamento delle spese di grado.

6. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo stabilire nella misura di 2000,00 Euro (Duemila/00).

A norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, deve disporsi l’oscuramento dei dati.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Dispone l’oscuramento dei dati.

Così deciso in Roma, nel Palazzo della Corte di Cassazione, il 10 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2017.