Cancelliere di un Ufficio Giudiziario imputato di falso ideologico per induzione e di truffa aggravata dall’abuso di poteri inerenti alla propria funzione (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 20 novembre 2017, n. 52781).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Mariastefania – Presidente –

Dott. SARACENO Rosa Anna – rel. Consigliere –

Dott. APRILE Stefano – Consigliere –

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere –

Dott. CAIRO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.A., N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 363/2016 TRIB. LIBERTA’ di SALERNO, del 18/07/2016;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SARACENO ROSA ANNA;

lette/sentite le conclusioni del P.G..

Uditi:

– il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TAMPIERI Luca, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

– il Difensore dell’indagato, avvocato BASCO Lucio, che ha insistito per l’accoglimento dell’impugnazione.

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale del riesame di Salerno, decidendo a seguito di annullamento, ha rigettato l’appello proposto, nell’interesse di C.A., avverso l’ordinanza, 10 ottobre 2015, con la quale il G.i.p del Tribunale in sede aveva disposto nei suoi confronti la misura interdittiva della sospensione per mesi nove dall’esercizio del pubblico servizio.

1.1 Alla C., all’epoca dei fatti addetta alla cancelleria dell’ufficio del Giudice di pace di Amalfi, sono attribuiti i reati di falso ideologico per induzione e di truffa aggravata dall’abuso di poteri inerenti alla propria funzione, per avere eseguito acquisti di beni personali, alterando le fatture e sostituendo le tipologie merceologiche, in modo da farne gravare il costo sulla Corte d’appello di Salerno.

1.2 La quinta sezione di questa Corte, con sentenza del 18.4.2016, ha annullato con rinvio per nuovo esame il provvedimento del Giudice dell’appello cautelare, emesso in data 15.12.2015, confermativo dell’ordinanza applicativa della misura, ritenendo non completamente giustificato il ritenuto pericolo di recidiva, apprezzato nel profilo della sua concretezza, ma non anche della sua attualità, alla luce delle mutate mansioni della ricorrente, nelle more assegnata presso altro ufficio giudiziario, come operatore giudiziario Area F2, ex operatore 81, con compiti di mera ricezione degli atti presso l’ufficio Re.Ge.

1.3 A ragione della decisione, il Tribunale ha osservato che anche presso il nuovo ufficio di destinazione la C. avrebbe occasione di compiere dei falsi ideologici in atti pubblici in cambio di denaro o altra utilità, falsificando la data di ricezione degli atti ovvero inducendo in errore sulla data di ricezione il funzionario dotato del corrispondente potere certificativo.

2. Ricorre la C., a mezzo del difensore, chiedendo l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.

Denunzia violazione dell’art. 292 cod. proc. pen., comma 2, lett. c e c-bis, nonchè carenza e manifesta illogicità della motivazione.

Lamenta che il Tribunale, per giustificare l’attualità del pericolo, “si è avventurato in una laboriosa ed inverosimile ricostruzione delle competenze spettanti all’operatore giudiziario”, che si esauriscono nella mera e materiale attività di ricezione degli atti, spettando al funzionario dotato di potere certificativo attestare il deposito dell’atto.

Illogico è il richiamo ad una prassi irregolare invalsa in molti uffici giudiziari, in base alla quale anche gli operatori provvedono al deposito formale degli atti.

E’ come sostenere che l’indagata, sulla base delle sue effettive mansioni, non può reiterare il reato, ma potrebbe farlo in virtù di una prassi contra legem.

Incongruamente, pertanto, è stata ravvisata l’attualità del pericolo, sebbene non vi siano occasioni e circostanze favorevoli alla sua reiterazione.

Motivi della decisione

Il ricorso va dichiarato inammissibile, risultando dallo stesso testo del provvedimento impugnato che la misura è divenuta inefficace alla data del 22.7.2016.

1. Secondo costante insegnamento di questa Corte (tra le molte: Sez. 6 n. 4180 del 3/11/1994 n. 4180, Isaia, Rv. 200832; Sez. 4 n. 14422 del 24/11/2005, Riccardi, Rv. 234023; Sez. 6 n. 12816 del 19/01/2006, Bertolucci, Rv. 233731; Sez. 6 n. 24637 del 21/04/2006, Casu, Rv. 234734), l’interesse alla decisione sull’appello cautelare deve ritenersi caducato dalla intervenuta revoca o cessazione di efficacia della misura interdittiva, atteso che la permanenza dell’interesse alla ridetta decisione non può prescindere da effettivi caratteri di concretezza e attualità, che nel caso di specie non è dato ravvisare, la stessa ricorrente, che ha presentato l’impugnazione dopo la data di cessazione di efficacia della misura, astenendosi dall’enunciare i referenti di simili potenziali danni.

Laddove è palese che alcun nocumento può derivare all’attività e alla stessa immagine professionali dell’impugnante dalla inefficace misura interdittiva e non piuttosto ed unicamente dalla pendenza, effettiva, del procedimento penale nei suoi confronti per i reati a suo carico ipotizzati.

Il risalente, e in sostanza isolato, orientamento di legittimità (Sez. 6 n. 3928 del 14/10/1997, Spadafora, Rv. 210311) che ha affermato un persistente interesse impugnatorio pur dopo la revoca della misura interdittiva deve considerarsi, infatti, ampiamente superato dai più recenti e stabili arresti giurisprudenziali di questa Corte, alla cui stregua non può non ribadirsi che la sopravvenuta inefficacia di una misura cautelare interdittiva elide la persistenza di un concreto e giuridicamente significativo interesse all’impugnazione contro il provvedimento applicativo della misura, anche sotto ipotetici profili riparatori (coltivabili ex art. 314 cod. proc. pen. soltanto con riguardo a misure coercitive personali), di guisa che nessun residuo negativo effetto giuridico extrapenale è ravvisabile (salvo quello – del tutto diverso e autonomo – della perdurante pendenza del procedimento penale) per colui al quale sia stata applicata la misura interdittiva venuta meno o cessata nel corso del procedimento incidentale di appello.

Consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

P.Q.M. 

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. 

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2017.