Carabiniere scelto imputato di essersi appropriato di un braccialetto in oro rinvenuto sulla pubblica via da un cittadino ed a lui consegnato, di avere occultato il verbale da lui redatto attestante il rinvenimento del braccialetto. Assolto in primo grado. Condannato in secondo grado.

(Corte di Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 24-06-2016, n. 26570)

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.M., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 27/01/2014 della Corte d’appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Alessandra Bassi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cedrangolo Oscar, che ha concluso chiedendo che la sentenza sia annullata con rinvio; udito il difensore del G. Avv. Domenico Oropallo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia, in riforma della sentenza assolutoria del Giudice dell’udienza preliminare del capoluogo veneto del 13 dicembre 2012, ha dichiarato G.M. responsabile dei reati ascritti, assorbito il reato di cui al capo C) (ex art. 323 c.p. e art. 61 c.p., n. 1) in quello di cui al capo A) (art. 314 c.p.) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche nonchè la continuazione fra i reati di cui ai capi A) e B) (ex artt. 490 e 476 c.p. e art. 61 c.p., n. 2) – stimato più grave il primo -, ha determinato la pena complessiva inflitta all’imputato in anni uno, mesi quattro e giorni venti di reclusione, con sospensione condizionale e condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile.

Mette conto rilevare che all’imputato – Carabiniere scelto in servizio presso la stazione di (OMISSIS) – è contestato di essersi appropriato di un braccialetto in oro con la scritta “(OMISSIS)” rinvenuto sulla pubblica via da M.D. ed a lui consegnato (capo A), di avere occultato il verbale da lui redatto attestante il rinvenimento del braccialetto (capo B) e di avere commesso un abuso d’ufficio per essersi intenzionalmente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale omettendo di annotare nella pratica n. (OMISSIS) del 2008 la dichiarazione della M., da lui ricevuta, di rinvenimento del prezioso (capo C).

1.1. A sostegno del decisum, il Giudice di secondo grado ha rilevato come sia pacifica la sussistenza del fatto materiale – ovvero la sostituzione dell’oggetto e la scomparsa del verbale originale -;

come non sia seriamente credibile che ciò sia avvenuto soltanto per l’incuria, il disordine ed il “pressapochismo” che connotavano la Stazione dei Carabinieri, ove G. prestava servizio; come le riferite modalità di conservazione del bene – un plico nella bacheca pur trattandosi di un oggetto di un certo valore -, la mancata registrazione della consegna del bene ed il fatto che, allorchè la signora M. rivendicò l’oggetto, G. non si premurasse di segnalare la scomparsa del bracciale e di proporre immediatamente le sue giustificazioni, ma cercasse di coprire la sparizione acquistando un altro monile che assomigliasse al primo, costituiscono elementi dimostrativi della commissione dei reati di appropriazione e di falso assistiti da dolo, mentre il reato di abuso d’ufficio deve ritenersi assorbito in quello di peculato.

2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso G.M. e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi.

2.1. Violazione di legge penale in relazione all’art. 533 c.p.p. e vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello ribaltato il giudizio assolutorio di primo grado sulla base di una mera rivalutazione degli elementi già considerati dal primo giudice e senza pervenire ad una ricostruzione dotata di una forza persuasiva superiore, “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Il ricorrente pone in luce come l’innocenza del Carabiniere G. risulti comprovata, come già ritenuto dal primo giudice: 1) dalla consegna di copia del verbale di rinvenimento del bracciale alla signora M., con contestuale informazione del diritto alla rivendica del bene in caso di mancata richiesta da parte del proprietario; 2) dall’attendibilità del racconto compiuto dall’imputato, il quale ha dichiarato di avere acquistato un secondo bracciale per sostituirlo a quello andato perduto.

Per altro verso, il ricorrente ha rimarcato come non possano considerarsi indizi, ma soltanto discutibili deduzioni su fatti contestati:

a) il fatto che gli accadimenti siano avvenuti all’interno di una caserma, la quale – come accertato nel processo – all’epoca dei fatti era oggetto di una gestione “approssimativa”;

b) la mancanza dell’originale del verbale di consegna, là dove G. consegnava alla M. copia di detto verbale, di tal che sarebbe stato “suicida” far sparire intenzionalmente l’originale dell’atto;

c) l’omessa annotazione nel registro n. (OMISSIS) del 2008 denominato “trasmissione documenti e/o valori rinvenuti”, là dove detto registro costituisce, non un “registro di consegna del bene”, ma soltanto un registro cartaceo di annotazione della trasmissione dei beni rinvenuti all’eventuale rintracciato proprietario ovvero all’ufficio beni smarriti del Comune; nella specie, il registro n. (OMISSIS) non veniva compilato perchè il bene era già stato smarrito prima della consegna ad un graduato per la relativa custodia.

Evidenzia il ricorrente che l’imputato ha spiegato in interrogatorio di avere depositato il bracciale ed il verbale in una busta gialla nella bacheca in uso ai Carabinieri e di avere poi imputato la rilevata sparizione della busta dalla bacheca all’avvenuto disbrigo della pratica da parte di un collega; per tale ragione non aveva segnalato ai superiori la scomparsa dell’oggetto; l’intenzione di appropriarsi del bene è smentita dal fatto che il Carabiniere G. forniva spiegazioni dettagliate alla signora M. circa la rivendica della proprietà dell’oggetto da ella rinvenuto;

l’acquisto di un altro bracciale ed il maldestro tentativo di sostituzione con quello perduto dimostrano la buona fede dell’imputato, il quale aveva agito in tale senso in quanto si sentiva responsabile della perdita del bracciale, mentre avrebbe potuto semplicemente negare di essere coinvolto nella sparizione. In subordine, il ricorrente pone in luce che, nella liquidazione del danno, la Corte d’appello non ha tenuto conto del fatto che, prima del processo, G. ha offerto alla signora M. il risarcimento del danno e che sussistevano comunque i presupposti di cui all’art. 62 c.p., n. 6.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e la sentenza deve essere annullata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.

2. La Corte di Venezia, investita del giudizio d’appello dal Procuratore della Repubblica di Venezia avverso la sentenza di assoluzione pronunciata dal primo giudice, ha condannato G. M., Carabiniere scelto in servizio presso la stazione di (OMISSIS), per i reati di peculato, con riguardo ad un braccialetto in oro rinvenuto da una cittadina sulla pubblica via ed a lui consegnato (capo A), e di occultamento del verbale di rinvenimento del braccialetto da lui redatto (capo B), stimando il reato di abuso d’ufficio (sub capo C) assorbito nella prima imputazione.

3. Giudica il Collegio che la decisione in verifica si ponga in contrasto con i consolidati principi espressi da questo Giudice di legittimità in tema di cd. ribaltamento in appello del giudizio assolutorio di primo grado.

3.1. Come hanno chiarito le Sezioni Unite di questa Corte, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231679).

Ancora, si è affermato che la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Cass. Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, Rv. 233083; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rv. 254638).

Con particolare riguardo al caso in cui si tratti di prova fondata sulle dichiarazioni di imputati dello stesso reato o di reato connesso (come appunto nella specie), questa Corte ha precisato che, nel caso di riforma da parte del giudice di appello di una decisione assolutoria emessa dal primo giudice, il secondo giudice ha l’obbligo di dimostrare specificamente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, trova applicazione anche in caso di radicale rovesciamento di una valutazione essenziale nell’economia della motivazione, in un processo nel quale siano determinanti i contributi dichiarativi di alcuni soggetti chiamanti in reità o in correità, non essendo sufficiente la manifestazione generica di una differente valutazione ed essendo, per contro, necessario il riferimento a dati fattuali che conducano univocamente al convincimento opposto rispetto a quello del giudice la cui decisione non si condivida (Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008, P.G. in proc. Aleksi e altri, Rv. 241169).

3.2. Sotto diverso aspetto, vanno ricordati l’insegnamento dalla Corte EDU nella sentenza resa nel caso Dan contro Moldavia del 5 luglio 2011 e la conforme giurisprudenza di questo giudice di legittimità, alla stregua della quale, per riformare in peius una sentenza assolutoria, anche se emessa all’esito di giudizio abbreviato, il giudice di appello è obbligato – in base all’art. 6 CEDU, così come appunto interpretato dalla Corte EDU nella citata sentenza – alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale quando intende operare un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova orale, ritenuta in primo grado non attendibile (ex plurimis Sez. 6, n. 8654 del 11/02/2014, Costa Rv. 259107).

Si è peraltro chiarito che l’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo del 5 luglio 2011, impone di rinnovare l’istruttoria soltanto in presenza di due presupposti, id est la decisività della prova testimoniale e la necessità di una rivalutazione da parte del giudice di appello dell’attendibilità dei testimoni (Sez. 5, n. 38085 del 05/07/2012, Luperi e altri, Rv.

253541; Sez. 2, n. 46065 del 08/11/2012, Consagra, Rv. 254726).

3.3. Da quanto sopra esposto, si può affermare che il nostro sistema processuale certamente consente una pronuncia di condanna in grado di appello dopo un’assoluzione in primo grado pur in assenza di nuovi apporti probatori, non essendo richiesto nè dal dettato costituzionale nè dalle norme e dai principi pattizi internazionali che l’affermazione della penale responsabilità poggi su di una doppia condanna (cd. doppia conforme). Anzi, il nostro ordinamento ha costituzionalizzato un principio contrario, sancendo nel comma secondo dell’art. 111 Cost. la parità delle parti nel processo penale, salve le differenziazioni dei poteri processuali riconosciuti al pubblico ministero ed all’imputato giustificate dalle fisiologiche diversità che connotano le posizioni delle due parti, e sempre che l’alterazione della simmetria dei rispettivi poteri e facoltà trovi un’adeguata ratio e sia contenuta entro i limiti della ragionevolezza (v. C. Cost. sent. 24 gennaio 2007, n. 26).

Ne discende il riconoscimento in capo al pubblico ministero della facoltà di ricorrere avverso la sentenza assolutoria pronunciata in primo grado, con conseguente possibilità di ottenere legittimamente all’esito del giudizio d’impugnazione il cd. ribaltamento della decisione liberatoria.

Nè osta a detto ribaltamento la circostanza che avverso la sentenza di condanna pronunciata in appello a seguito di un’assoluzione l’imputato possa proporre soltanto il ricorso per cassazione senza poter più ottenere un’ulteriore rivalutazione del merito, là dove – come anche i Giudici delle leggi hanno avuto modo di riconoscere – la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sè, di un riconoscimento costituzionale (ex plurimis, C. Cost. sentenza n. 280/1995 e ordinanza n. 316/2002).

Va nondimeno chiarito come, ferma la legittimità della riforma in appello della pronuncia liberatoria a piattaforma probatoria invariata, il rovesciamento del giudizio assolutorio di primo grado comporti il rigoroso rispetto del principio codificato nell’art. 533 c.p.p., comma 1 (introdotto con L. n. 46 del 2006) – alla stregua del quale “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio” – ed imponga al decidente di merito la verifica e dunque la precisazione delle ragioni di fatto e di diritto che, proprio in considerazione dell’assoluzione pronunciata in primo grado, rendono evidente ed irrefutabile la penale responsabilità dell’imputato.

Pertanto, in virtù della regola di giudizio introdotta nel 2006, il giudice d’appello che riformi radicalmente la precedente decisione in mancanza di nuovi elementi conoscitivi deve non solo sostenere la propria diversa deliberazione con una motivazione che sia intrinsecamente esistente, non manifestamente illogica e non contraddittoria – come usualmente sufficiente, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per dar conto dell’apprezzamento di merito proprio del grado -, ma deve anche confrontarsi in modo specifico e completo con le argomentazioni contenute nella prima sentenza, dimostrandone l’insostenibilità per incompletezza e/o incoerenza, con la conseguenza che ricorre il vizio di omessa motivazione quando quel confronto manchi su circostanze ed apprezzamenti che hanno concorso in modo determinante a fondare il primo e diverso giudizio (per tutte, Sez. U, sent. n. 45276 del 30/10/2003 – dep. 24/11/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226093;
Sez. 6, n. 22120 del 29/04/2009 – dep. 27/05/2009, Tatone e altri, Rv. 243946; Sez. 2, n. 17812 del 09/04/2015 – dep. 29/04/2015, Maricosu, Rv. 263763).

In altri termini, allorchè riconosca la responsabilità penale dell’imputato negata in primo grado, in ossequio al principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, il decidente di secondo grado non può limitarsi ad una mera rilettura dello stesso materiale probatorio e dunque alla sostituzione delle valutazioni sottese alla decisione impugnata con le proprie, ma – ponendosi in diretto confronto con i passaggi argomentativi sviluppati nel provvedimento gravato – deve evidenziare gli errori in diritto in cui sia incorso il primo giudice e/o i vizi logico argomentativi del ragionamento da questi seguito ed esplicitare le ragioni per le quali non siano sostenibili ipotesi dotate di razionalità e plausibilità diverse da quella recepita nel proprio pronunciamento.

4. Come anticipato, di tali coordinate ermeneutiche non ha fatto buon governo la Corte veneta.

4.1. Ed invero, per un verso, il Giudice distrettuale si è limitato a rivalutare le emergenze degli atti processuali ed a pervenire ad una diversa deliberazione senza confrontarsi in modo specifico e completo con le argomentazioni contenute nella prima sentenza, dimostrandone – con argomenti puntuali e logici l’insostenibilità per incompletezza e/o incoerenza.

4.2. Per altro verso, la Corte non ha poggiato la condanna a piattaforma probatoria invariata su di una ricostruzione dei fatti e di una valutazione suscettibile di escludere la plausibilità di qualunque ipotesi alternativa, in altri termini di un giudizio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.

Correttamente il ricorrente pone in luce come, sulla scorta delle emergenze storico fattuali, non possa stimarsi implausibile anche una spiegazione alternativa della vicenda ed, in particolare, che altri – intraneo o estraneo al Corpo militare – si sia appropriato del braccialetto, giusta anche la situazione di “incuria, pressapochismo e disordine” che regnava all’epoca nella Caserma, delineata dai Giudici della cognizione (v. pagine 4 della sentenza), e che l’imputato, proprio perchè aveva steso il verbale di ricezione del bene e dunque “primo indiziato” abbia, per vero maldestramente, provveduto alla sostituzione dell’oggetto sparito per evitare possibili conseguenze sanzionatorie.

5. Conclusivamente, la motivazione della decisione in verifica non offre una ricostruzione dei fatti dotata di una forza persuasiva maggiore di quella assolutoria – sviluppata dal Giudice di primo grado che, correttamente, ha stimato che gli elementi raccolti nell’istruttoria dibattimentale costituiscano senza dubbio degli indizi a carico del G. e che, nondimeno, non si atteggino in termini di gravità, precisione e concordanza – come richiesto dall’art. 192 c.p.p. -, lasciando aperto il dubbio insuperabile che il bene altrui non sia mai entrato nella sfera esclusiva di dominio dell’imputato. Con il che, difettando la prova circa l’integrazione dell’appropriazione, manca il fondamentale elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice in contestazione.

Analoghe conclusioni valgono per l’occultamento del verbale di ricezione del bene (capo B), non emergendo dalla motivazione del provvedimento in verifica la certa ed irrefutabile riconducibilità di tale condotta al militare, suscettibile di dimostrare l’implausibilità di una qualunque ricostruzione alternativa e di scardinare la decisione liberatoria di primo grado.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016