Cassazione: anche ingigantire un fatto vero è reato.

Non solo mentire attribuendo a qualcuno una colpa inesistente, ma anche ingigantire un fatto allo scopo di farlo apparire più grave di quello realmente posto in essere è reato.

Così la sesta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 9874/2016, ha confermato la condanna nei confronti di un uomo per il reato di calunnia per aver “infarcito” una narrazione vera con particolari “volutamente falsi integranti autonomi e distinti profili di responsabilità penale”. 

Nella specie, l’imputato portato in caserma dai carabinieri, intervenuti nel corso di una rissa ingaggiata dallo stesso con alcuni cittadini stranieri per motivi connessi alla compravendita di sostanze stupefacenti, subiva lesioni e violenze da parte degli agenti, realmente accertate con sentenza definitiva.

Ma, l’uomo non si limitava a raccontare i fatti nudi e crudi, bensì a colorire il racconto denunciando una falsa circostanza aggravante, ossia la lesione dello sfregio permanente del viso e l’avulsione di un dente, procurata da un pugno che in realtà non era attribuibile ai due carabinieri.

Per il giudice di merito, non c’è dubbio sulla sussistenza del reato di calunnia, poiché l’uomo aveva denunciato una condotta diversa posta in essere dagli accusati della cui falsità egli “era pienamente consapevole”.

Anche per gli Ermellini, il ragionamento del giudice di merito è corretto e a nulla valgono le doglianze della difesa che sosteneva che pur a voler ritenere accertata la falsità del racconto, la stessa non avrebbe comportato alcuna modifica essenziale della condotta effettivamente realizzata dagli accusati e, in ogni caso, la modifica della qualificazione giuridica del fatto.

Il reato di calunnia, hanno sostenuto infatti dal Palazzaccio, sussiste “anche quando il fatto, oggetto della falsa incolpazione, sia diverso e più grave di quello effettivamente commesso dalla persona incolpata, condizione che si verifica allorché la diversità, incidendo sull’essenza del fatto, riguardi modalità essenziali della sua realizzazione, che ne modifichino l’aspetto strutturale e incidano sulla sua maggiore gravità ovvero sulla sua identificazione”.

Nella specie, l’imputato, si legge in sentenza, “non si è limitato alla enfatizzazione dei fatti narrati o alla loro ricostruzione con modalità particolarmente allarmanti, ma ha compiuto una descrizione nella quale denunciava un fatto che incideva sull’essenza degli illeciti denunciati e sulla qualificazione giuridica della condotta degli agenti ai quali è valso la contestazione del reato di cui all’art. 583 c.p., da altri commesso in danno del ricorrente“.

Da qui il rigetto del ricorso e la condanna anche alle spese del procedimento.

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