Cerca di rubare gasolio nell’autoparco comunale e scoperto dai militi entra in colluttazione con un ispettore.

(Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza 9 giugno 2016, n. 24014)

sentenza;

sul ricorso proposto personalmente da:

O.S., n. a (OMISSIS), rappresentato e assistito dall’avv. Salvatore Dionesalvi, d’ufficio, avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo, in funzione di giudice del riesame, n. 1771/2015, in data 30/12/2015;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Spinaci Sante, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore, avv. Salvatore Dionesalvi, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 30 dicembre 2015, il Tribunale di Palermo rigettava la richiesta di riesame presentata nell’interesse di O.S. avverso il provvedimento emesso a suo carico dal giudice per le indagini preliminari di Marsala in data 21 dicembre 2015 impositivo della custodia in carcere per il reato di rapina impropria.

O., travisato con una calza, era stato sorpreso da militari dell’arma dei carabinieri all’interno dell’autoparco (OMISSIS) nell’atto di asportare gasolio dal serbatoio dei mezzi ivi parcheggiati; i militari decidevano di intervenire prontamente e raggiungevano il soggetto allorquando costui, dopo aver forzato il tappo di un trattore comunale, aveva riempito parte di un bidone da 25 litri; lo stesso, alla loro vista, dava una spinta all’ispettore P. con il quale aveva una colluttazione, all’esito della quale quest’ultimo cadeva in terra. O. veniva infine bloccato dagli altri militari e tratto in arresto.

2. Avverso tale ordinanza, O.S. propone ricorso per cassazione lamentando violazione di legge in merito alla configurazione del reato in contestazione ritenendo che il fatto debba essere inquadrato nella diversa fattispecie del tentativo di furto di un bene di modico valore in concorso con i reati di violenza/minaccia o al più in quello di tentata rapina impropria con l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.
Motivi della decisione

1. Il ricorso appare manifestamente infondato e, come tale, risulta inammissibile.

2. E’ anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame e/o dell’appello sulla libertà personale.

2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno interessato l’art. 606 cod. proc. pen. (cui l’art. 311 cod. proc. pen. implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Si è anche precisato che la richiesta di riesame – mezzo di impugnazione, sia pure atipico – ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen., ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò premesso, si è evidenziato che la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato art., ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; conforme, dopo la novella dell’art. 606 cod. proc. pen., Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012).

2.2. Si è successivamente osservato, sempre in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).

3. Il provvedimento impugnato appare, sotto tutti i profili di doglianza denunciati, congruo e privo di qualsivoglia vizio logico- giuridico a partire dalla qualificazione giuridica del fatto.

Osservano i giudici del Tribunale di Palermo come, in ossequio alla consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di rapina impropria, la violenza necessaria ad integrare la figura criminosa de qua è costituita da ogni energia fisica adoperata dall’agente verso la persona offesa al fine di annullarne o limitarne la capacità di autodeterminazione; di tal che, la violenza può consistere anche in una spinta o in un semplice urto in danno della vittima finalizzati a realizzare l’impossessamento della cosa (Sez. 2, n. 3366 del 18/12/2012, dep. 2013, Fadda Mereu, Rv. 255199): situazione che risulta essersi verificata nella fattispecie “avendo l’indagato inferto una spinta al militare dei carabinieri di Mazara del Vallo che si era posizionato davanti a lui per bloccarlo dopo la commissione del furto al fine di guadagnarsi la fuga”.

4. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2016