Chiede la licenza di detenzione armi per difesa. Negata.

(TAR per il Lazio, sezione Prima Ter, sentenza 15 marzo 2016, n. 3775)

Sentenza

sul ricorso numero di registro generale 1560 del 2016, proposto da Alessandro Bitti, rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Iolis, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, Via Valsolda, n. 31;

contro

U.T.G.-Prefettura di Viterbo, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del decreto di divieto di detenzione armi munizioni e materiale esplodente del 27.11.2015.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura di Viterbo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2016 il dott. Italo Volpe e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Col ricorso in epigrafe parte ricorrente ha impugnato – chiedendone interinalmente la sospensione cautelare degli effetti – il divieto oppostogli dall’Amministrazione resistente di detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente, pure in epigrafe indicato, formulando i seguenti motivi:

a) violazione degli artt. 39 e 40 del r.d. n. 773/1931, violazione degli artt. 13 della l.n. 241/1990 e 6 della l.n. 152/1975, eccesso di potere per carenza di motivazione;

b) violazione dell’art. 6 della l.n. 241/1990.

In sintesi, premesso di non essere possessore di armi né titolare di porto d’armi né di averne mai fatto richiesta, ad avviso della parte l’Amministrazione avrebbe errato nell’adottare il provvedimento gravato inferendo l’inopportunità che la stessa potesse disporre di armi da una sua denuncia sporta nei riguardi di persone ritenute molestatrici.

La parte aggiunge che risulta essere paradossale che colui che ha subito comportamenti suscettibili di configurare reato, e che conseguentemente dovrebbe assumersi essere persona da altri offesa, di fatto subisca limitazioni nelle proprie facoltà, quali quelle disposte col provvedimento censurato.

2. Si è costituita l’Amministrazione dell’interno producendo documentazione, difendendo il proprio operato e concludendo per la reiezione non soltanto della domanda cautelare proposta ma anche dello stesso ricorso, giacchè infondato nel merito.

3. Chiamata la causa all’odierna camera di consiglio, la stessa è stata trattenuta in decisione, informandosi le difese che per la sua definizione si sarebbe potuto procedere anche con sentenza.

4. Il ricorso risulta infondato e, come tale da respingere,

4.1. Persuasive sono, in particolare, le delucidazioni fornite dall’Amministrazione resistente con sua nota del 25.1.2016, depositata il 19.2.2016, con le quali si lumeggia più dettagliatamente lo scenario dei fatti che ha condotto la stessa Amministrazione ad adottare cautelativamente il provvedimento qui censurato.

Emerge che il ricorrente, in disparte la propria denuncia, sia stato fatto a propria volta oggetto di una denuncia-querela tale da indurre il locale Comando dei Carabinieri – a seguito di indagini – a deferirlo in stato di libertà per lesioni personali, ingiurie e minacce.

Il quadro valutativo così emerso ha condotto alle valutazioni – tipicamente discrezionali in fattispecie del genere, proprio perché connotate da esigenze di preventive cautele – che sono valse a portare al giudizio da cui, poi, è scaturito il provvedimento in discorso.

Valutazioni non mutate, se non addirittura rafforzatesi, in occasione degli approfondimenti istruttori seguiti alla difesa in sede amministrativa che parte ricorrente ha inteso articolare nella speranza di un ripensamento e, quindi, di un’autotutela da parte dell’Amministrazione.

In buona sostanza, il giudizio tratto è stato nel senso che fosse opportuno – in prevenzione – impedire al ricorrente di potersi dotare di strumenti di offesa (armi, in particolare) idonei a far precipitare i rapporti critici venutisi a concretare fra lo stesso ed i soggetti che, nei riguardi del ricorrente, erano al tempo stesso denunciati e denuncianti.

Peraltro non si può far a meno di tenere in debita considerazione la spontanea ammissione ripetuta più volte da parte ricorrente nel suo atto introduttivo del giudizio secondo la quale la stessa parte né mai è stato possessore di armi né mai ha inteso divenirlo.

E’ agevole dunque ricavarne che il provvedimento impugnato – anche al di là della sua positiva valenza, quale strumento idoneo a prevenire conseguenze spiacevoli pure allo stesso ricorrente – non può minimamente conculcare componenti giuridiche soggettive della parte che, essa stessa, esclude così apertamente di avere o di avere avuto.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, in favore dell’Amministrazione resistente in euro 800,00.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione resistente delle spese del giudizio, liquidate come in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2016