Circolazione stradale: scontro tra auto ad un incrocio privo di segnaletica. Di chi è la responsabilità? (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 13 febbraio 2019, n. 4161).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3886/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio del primo in (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso gli uffici dell’avvocatura capitolina in (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Roma, n. 14530/2016, pubblicata il 18 luglio 2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 gennaio 2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

RILEVATO IN FATTO

1. (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero in giudizio, davanti al Giudice di pace, Roma Capitale, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro stradale occorso in data 14/10/2013 per lo scontro tra l’autovettura condotta dalla prima (e di proprietà del secondo) e altra autovettura, all’incrocio tra la via (OMISSIS), percorsa dalla (OMISSIS), e la via (OMISSIS), percorsa dall’auto antagonista.

Secondo gli attori infatti la responsabilità del sinistro era da ascriversi, ex articolo 2051 cod. civ., all’amministrazione comunale per non avere ripristinato la segnaletica prima esistente su via (OMISSIS) che obbligava le auto provenienti da quest’ultima a dare la precedenza ai veicoli procedenti sulla via (OMISSIS).

Il Giudice di pace rigetto’ la domanda, condannando gli attori alle spese del grado.

2. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Roma ha rigettato il gravame interposto dai soccombenti, ritenendo insussistente il nesso causale tra il sinistro e l’assenza di segnaletica stradale.

Ha in tal senso in particolare osservato che:

– la segnaletica mancante faceva riferimento alla regola di guida dell’auto antagonista;

– parte attrice, in mancanza di diversa segnalazione, era tenuta a osservare le regole generali del codice della strada e in particolare l’obbligo di dare precedenza ai veicoli provenienti da destra e di regolare la velocita’ in prossimita’ dell’intersezione;

– la condotta di guida riferibile al conducente dell’auto antagonista configurava, per l’appellante, imprudenza altrui ragionevolmente prevedibile;

– dalla posizione statica assunta dai veicoli in esito al sinistro emerge che entrambe le autovetture mantenevano, al momento della collisione, una velocita’ di marcia non adeguata alla condizione dei luoghi.

3. Avverso tale decisione (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, cui resiste Roma Capitale, depositando controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 2051 e 2697 c.c., per avere il tribunale ritenuto che presupposti della invocata responsabilita’ della p.a. da cose in custodia siano, da un lato, la prova a carico del danneggiato della riconducibilita’ causale del fatto lesivo ad una condizione pericolosa del bene e, dall’altro, la riferibilita’ dell’evento anche a colpa della p.a..

Soggiungono che peraltro era stata nella specie prodotta ordinanza dirigenziale che imponeva all’ente di apporre la segnalazione stradale indicativa dell’obbligo di dare la precedenza i veicoli provenienti dalla via (OMISSIS).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 7, 14, 15, 37 e 38 C.d.S., per avere il tribunale ritenuto che la mancanza del cartello di prescrizione di precedenza non abbia avuto alcuna influenza causale nella determinazione del sinistro.

Tale assunto comporta, secondo i ricorrenti, violazione delle norme sopra riportate le quali prescrivono l’obbligo di apporre le segnalazioni al fine di prevenire gli incidenti ed omette inoltre di considerare che il conducente del veicolo antagonista aveva affermato che, provenendo da via (OMISSIS), aveva oltrepassato l’incrocio non avendo rilevato segnaletica orizzontale ne’ verticale di sorta.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano inoltre, ancora ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli articoli 40 e 41 c.p. e articolo 1227 c.c., in punto di nesso causale e di eventuale concorso di colpa delle parti.

Rilevano che la corretta apposizione della cartellonistica stradale avrebbe con altissima probabilita’ evitato l’incidente.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti infine denunciano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 e dell’articolo 111 Cost. per avere il tribunale giustificato la decisione con motivazione “apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile, seguendo un iter logico incongruente tra la premessa e le conclusioni adottate”.

5. I motivi tutti, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, sono manifestamente infondati.

Ci si potrebbe al riguardo fermare al rilievo che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’assenza di una intelligibile segnaletica stradale, laddove la circolazione possa comunque avvenire senza inconvenienti anche in mancanza di essa, essendo sufficienti e idonee a regolarla le norme del codice della strada, non puo’ ritenersi causa degli eventuali incidenti occorsi, e quindi non determina alcuna responsabilita’ dell’ente custode della strada per tali incidenti (Cass. 13/02/2002, n. 2074; 28/04/2017, n. 10520).

La sentenza impugnata, lungi dall’esporre una motivazione incomprensibile e perplessa (quarto motivo), si esprime chiaramente in questi termini, conformandosi pertanto all’indirizzo sopra esposto.

Le censure non prospettano ragioni che possano indurre a discostarsene.

In particolare, la preesistenza (evocata genericamente in ricorso) sui luoghi di una segnaletica che giustificasse il convincimento del diritto di precedenza in deroga alle regole ordinarie del codice stradale, oltre a non trovare nella sentenza alcuna univoca conferma, rimane comunque in tale prospettiva irrilevante, dal momento che, anche in tal caso, la circolazione stradale può avvenire senza inconvenienti, essendo sufficiente ed idoneo a regolarla il codice della strada, mentre appartiene all’insindacabile potere discrezionale dell’ente gestore provvedere alle segnalazioni per creare condizioni di traffico migliori.

Ne’ può ricevere tutela con riferimento alla c.d. “insidia” l’eventuale affidamento dell’utente sulla presenza di segnalazione non in atto in quanto e’ per contro preciso dovere dello stesso prestare la massima attenzione alle reali condizioni della strada ed adeguare ad esse la propria condotta di guida (cosi’, in motivazione, Cass. n. 2074 del 2002, cit.).

6. Appare tuttavia preliminare e dirimente il rilievo che sia detto principio e la sentenza che ne fa applicazione, sia le censure mosse dal ricorrente, si muovono in realta’ su un piano diverso da quello dedotto a fondamento della dedotta responsabilita’ (oggettiva) per i danni da cose in custodia, ex articolo 2051 cod. civ. (chiaro in tal senso, in particolare, il precedente di Cass. n. 2074 del 2002 che il secondo si limita a richiamare), il quale pero’ risulta palesemente estraneo e non pertinente alla fattispecie concreta quale dedotta e accertata.

I ricorrenti imputano, con il primo motivo, un tale errore alla sentenza impugnata (assumendo che il tribunale sarebbe incorso in errore di diritto per avere postulato la necessita’, in realta’ insussistente, di accertare profili di colpa in capo alla p.a.), ma in realta’ essi stessi finiscono in sostanza a commettere analogo errore (piu’ propriamente errore di sussunzione), laddove da un lato deducono (correttamente) che la responsabilita’ (oggettiva) per i danni da cose in custodia prescinde dalla colpa e richiede, oltre alla relazione con la cosa, (solo) l’esistenza di un nesso causale tra questa e l’evento di danno, dall’altro contraddittoriamente assumono che tale presupposto avrebbe dovuto nella specie ravvisarsi con riferimento (non alla cosa ma) al comportamento omissivo dell’amministrazione (mancata attuazione della determina dirigenziale che ordinava l’apposizione della segnaletica), cosi’ anch’essi muovendosi sul piano generale della clausola aquiliana (articolo 2043 c.c.), diverso e incompatibile con quello evocato in giudizio della responsabilita’ da cosa in custodia (articolo 2051 c.c.).

In tale ultima prospettiva, l’unica evocata nel presente giudizio (secondo quanto incontestatamente affermato in sentenza: v. pag. 4, primo cpv.), si appalesa come detto preliminare e dirimente il rilievo della impossibilita’ di configurare nella fattispecie uno dei presupposti della responsabilita’ dell’ente, rappresentato – accanto alla configurabilita’ di un rapporto di custodia, intesa come relazione di fatto cui si accompagni di un potere di governo della cosa – dall’esistenza di un nesso causale tra la cosa stessa e l’evento dannoso.

Si offre, al riguardo, l’occasione per una necessaria puntualizzazione sulla corretta interpretazione di tale presupposto.

7. Questo, come noto, si ricava dalla previsione normativa, a mente della quale il custode risponde del danno “cagionato” dalla cosa che ha in custodia.

Il danno, di cui si e’ chiamati a rispondere, deve dunque essere causato dalla cosa (l’articolo 1384 del Code Napoleon richiedeva, con espressione concettualmente impropria ma assai efficace, una derivazione causale dal “fatto della cosa”: “dommage… qui est cause’ par le fait des choses que l’on a sous sa garde”, articolo 1384).

Da tale previsione si ricavano due corollari.

7.1. Il primo e’ l’irrilevanza di ogni profilo comportamentale del responsabile.

Responsabile del danno cagionato dalla cosa e’ si’ colui che essenzialmente ha la cosa in custodia, ma il termine non presuppone ne’ implica uno specifico obbligo di custodire la cosa, e quindi non rileva la violazione di detto obbligo. Qui la nozione di “custodia” non ha la stessa valenza del diritto romano, ne’ quella propria della responsabilita’ contrattuale, per cui non comporta l’obbligo comportamentale del soggetto di controllare la cosa per evitare che essa produca danni: essa non descrive null’altro che la relazione tra un soggetto e la cosa che gli appartiene. Il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente se la cosa ha provocato danni a terzi (v. Cass. 06/07/2006, n. 15383).

La deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’articolo 2043 cod. civ., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacita’ di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso.

La responsabilita’ e’ esclusa (solo) dal caso fortuito, che pero’ rileva – anch’esso – solo sul piano oggettivo e causale, quale fattore interruttivo del nesso di causa che lega la cosa al danno.

Esso puo’ essere rappresentato da fatto naturale o del terzo o dello stesso danneggiato e deve essere connotato da imprevedibilita’ ed inevitabilita’, da intendersi pero’ da un punto di vista oggettivo e della regolarita’ causale (o della causalita’ adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere (v. Cass. 01/02/2018, n. 2481; v. anche Cass. 01/02/2018, n. 2477; Cass. 01/02/2018, n. 2478; Cass. 01/02/2018, n. 2479; Cass. 01/02/2018, n. 2480; Cass. 01/02/2018, n. 2482).

7.2. Il secondo corollario attiene al nesso di causalita’ ed e’ quello che viene maggiormente in rilievo nella fattispecie.

Esso deve coinvolgere, con ruolo efficace e diretto, la cosa in custodia.

Questa, per la sua consistenza materiale e fisica o per la sua conformazione o per le sue anche contingenti condizioni, deve inserirsi nella sequenza causale e non rappresentare mera circostanza esterna o neutra o elemento passivo di una serie causale che si esaurisce in realta’ all’interno e nel collegamento di altri e diversi fattori.

Il concetto e’ stato a volte espresso con l’affermazione che il danno, per essere causa di responsabilita’ ex articolo 2051 cod. civ., deve essersi verificato nell’ambito del “dinamismo connaturato alla cosa o dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa”.

E’ pure ricorrente, nella giurisprudenza, la precisazione che nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento, ma richieda che l’agire umano (di un terzo o dello stesso danneggiato) si unisca al modo di essere della cosa, di per se’ statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosita’, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno (Cass., 05/02/2013, n. 2660, in un caso nel quale il danneggiato aveva inciampato in un cordolo, lasciato dagli operai che stavano eseguendo lavori stradali, andando a sbattere contro alcune pietre).

In realta’, come questa Corte ha gia’ chiarito, il requisito prescinde dalle caratteristiche della cosa custodita, sia quindi essa o meno pericolosa, c.d. se-agente (ovvero dotata di intrinseco dinamismo) oppure no e comprende sia i casi in cui la cosa, per il suo “intrinseco dinamismo”, viene a svolgere un ruolo di attiva interazione con la condotta umana, fino a diventare preponderante od esclusiva (casi in cui cioe’ l’apporto concausale della condotta dell’uomo e’ persino assente), sia all’opposto i casi in la cosa e’ del tutto inerte ed in cui l’interazione del danneggiato e’ indispensabile per la produzione dell’evento (v. Cass. n. 2481 del 2018, cit., in motivazione § 5.13).

L’inerzia vale pero’, nel detto contesto argomentativo, a descrivere solo l’inattitu’dine della cosa a sprigionare una propria autonoma energia o dinamismo nella serie causale; non anche a qualificare come insussistente il contributo in essa della cosa medesima. Il cordolo o l’ostacolo non segnalato e’ cosa inerte, ma nondimeno e’ certamente causa della caduta del soggetto che in esso inavvertitamente inciampi: non da esso, nell’esempio dato, origina per legge fisica il processo causale che al suo termine determina l’evento dannoso, ma piuttosto questo nasce dal movimento della stessa vittima che interagendo e scontrandosi con l’ostacolo, di per se’ fermo e inerte, determina la caduta.

Per quanto inerte la cosa (perche’ sia fonte di responsabilita’ per il suo custode ex articolo 2051 cod. civ.) deve pur sempre avere un ruolo nel processo causale, cosa che non puo’ affermarsi ove questa si ponga rispetto ad esso come elemento neutro o passivo o meramente terminale di una sequenza gia’ altrove originatasi ed esauritasi.

L’evento deve pur sempre essere riferibile causalmente alla cosa in custodia, al qual fine non e’ sufficiente che essa figuri nel complesso dei vari elementi della complessiva sequenza terminata con l’evento stesso, ma e’ necessario che in tale sequenza essa costituisca momento in concreto dotato di “qualificata capacita’ eziologica” rispetto all’evento nella sua specificita’, secondo l’acquisito principio di causalita’ adeguata (Cass. 29/05/2018, n. 13392).

8. Nel caso di specie non e’ possibile identificare un ruolo siffatto della cosa in custodia (l’incrocio stradale), costituendo essa mero teatro o luogo dell’incidente che, dal modo di essere fisico della strada medesima, non ha ricevuto alcun contributo causale.

La serie causale determinativa dell’evento origina e si esaurisce, infatti, interamente nel comportamento dei conducenti dei veicoli che non ha trovato alcun contributo causale oggettivo riferibile alla fisica conformazione o modo di essere della cosa o nelle sue condizioni di manutenzione.

Prova ne sia che nella stessa prospettazione dei danneggiati l’evento non si sarebbe (probabilmente) verificato se fosse stata presente la segnaletica, con il che pero’:

a) da un lato, si attribuisce non gia’ alla cosa ma, come detto, a un comportamento umano omissivo un ruolo causale (esso stesso peraltro di regola non configurabile, alla stregua del principio prima ricordato, per l’esistenza della sussidiaria regolamentazione comunque dettata dal cod. strada oltre che dalla norme di comune prudenza);

b) dall’altro, come pure s’e’ già detto, supponendosi la violazione di obblighi di regolamentazione dell’area, ci si muove nel campo della responsabilità per colpa del tutto estraneo alla fattispecie invocata.

9. Tale ricostruzione causale dimostra altresi’ la distanza e non assimilabilita’ dell’ipotesi considerata a quella del sinistro stradale causato dalla presenza di un animale selvatico in autostrada, per la quale la giurisprudenza di questa Corte ammette la configurabilita’ di una responsabilita’, ex articolo 2051 cod. civ., dell’ente gestore (v. Cass. 12/05/2017, n. 11785; 29/03/2007, n. 7763; 02/02/2007, n. 2308), salva ovviamente la prova del caso fortuito, nei termini sopra esposti.

Sotto il profilo che qui interessa, l’affermazione in tale ipotesi di una responsabilita’ dell’ente gestore ex articolo 2051 cod. civ. riposa, da un lato, sul carattere circoscritto e delimitato della sede autostradale e sulla conseguente possibilita’ di tenerla al riparo dall’ingresso di agenti esterni dalle aree circostanti, per essere la stessa destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza e, dall’altro, sul rilievo che al concetto di cosa in custodia, ai fini della norma, vanno ricondotti anche gli elementi accessori, pertinenze inerti e qualsivoglia altro fattore che, a prescindere dalla sua intrinseca dannosita’ o pericolosita’, venga a interferire nella fruizione del bene da parte dell’utente (Cass. 05/02/2013, n. 2660; Cass. 19/05/2011, n. 11016).

Cio’, del resto, al pari di quanto pacificamente si afferma nel caso di sinistri causati dalla presenza di una pozzanghera o di una macchia d’olio o di un masso caduto da rocce o pareti attigue alla sede stradale: tutti fattori che, in ragione di serie causali del tutto prevedibili, possono modificare la condizione della cosa creando situazioni di pericolo. Il potere di governo della cosa, nel quale si risolve, come detto, il concetto di custodia, giustifica la presunzione di responsabilita’ anche in tali ipotesi proprio perche’ e’ in ragione di esso pretendibile una manutenzione e cura della cosa volta ad evitare l’intervento di detti fattori e il determinarsi di situazioni di pericolo, restando anche in tali casi esclusa la responsabilita’ ove si dimostri, con onere a carico del custode, l’ascrivibilita’ del fatto dannoso a caso fortuito (ad es. per l’imprevedibile e improvvisa presenza dell’animale o di altro ostacolo in quanto, in ipotesi, poco prima caduto da un veicolo).

Orbene un tale schema teorico non puo’ costituire chiave di lettura dell’ipotesi qui considerata, atteso che: i fattori che intervengono nella concatenazione causale risiedono tutti nella condotta degli utenti della strada e come tali non si prestano a essere considerati alla stregua di accessori, pertinenze della stessa o altri elementi idonei a interferire sul modo di essere e sulla fruizione della cosa in custodia.

Per converso, il comportamento la cui omissione si addebita all’ente non attiene al governo (o alla manutenzione) della cosa, quanto piuttosto alla regolamentazione e al controllo del comportamento degli utenti della strada, e come tale puo’ rilevare giuridicamente solo nella prospettiva di una responsabilita’ per colpa nel concorso dei relativi presupposti (nei casi gia’ indicati dal richiamato precedente di Cass. n. 2074 del 2002, ove si crei una situazione di pericolo determinata dal contrasto tra le condizioni di transitabilita’ reali e quelle apparenti non percepibile dall’utente della strada con l’uso della normale diligenza e non rimediabili con l’osservanza delle regole del codice della strada).

10. Puo’ in conclusione affermarsi il seguente principio di diritto: “la responsabilita’ oggettiva ex articolo 2051 c.c. e’ configurabile, nel concorso degli altri presupposti, in presenza di un nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso.

Perche’ un tale nesso possa affermarsi e’ necessario che la cosa si inserisca, con qualificata capacita’ eziologica, nella sequenza che porta all’evento e non rappresenti mera circostanza esterna o neutra o elemento passivo di una serie causale che si esaurisce all’interno e nel collegamento di altri e diversi fattori.

Nel caso di scontro tra veicoli ad un incrocio non assistito da segnaletica non puo’ a quest’ultimo attribuirsi un siffatto ruolo causale per il solo fatto che l’incidente si sia in esso verificato; in tal caso, infatti, la cosa in custodia costituisce mero teatro o luogo dell’incidente, mentre la serie causale determinativa dell’evento origina dal comportamento dei soggetti coinvolti nello scontro e in esso interamente si esaurisce.

Resta in tale ipotesi configurabile una eventuale responsabilita’ dell’ente per colpa, secondo la generale clausola aquiliana, ove il danneggiato alleghi e dimostri la sussistenza di una situazione di pericolo determinata dal contrasto tra le condizioni di transitabilita’ reali e quelle apparenti non percepibile dall’utente della strada con l’uso della normale diligenza e non rimediabile con l’osservanza delle regole del codice della strada”.

11. Il ricorso deve in definitiva essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, inserito dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.