Coltiva nel cortile della propria abitazione 4 piante di marijuana. Quello che conta non è la quantità ma l’idoneità delle piante.

(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 dicembre 2014 – 17 giugno 2015, n. 25316)

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 7 maggio 2014 la Corte di appello di Cagliari, riqualificato il fatto contestato a M.S. non più come violazione dell’art. 73, comma 1, dei d.p.r. n. 309 dei 1990, attenuato ai sensi del comma 5 della medesima disposizione, ma come violazione dell’art. 73, comma 5, del citato DPR, ha ridotto la pena a lui inflitta dal Tribunale di Cagliari in occasione del processo di primo grado, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, portandola a mesi 6 di reclusione e euro 1800,00 di multa.

Al M. era contestato il fatto di avere coltivato nel cortile della propria abitazione 4 piante di marijuana.

Ha proposto ricorso per cassazione avverso detta sentenza il M., tramite il proprio difensore, il quale ha dedotto la illegittimità di essa in quanto nella fattispecie, in violazione dell’art. 73 del d.p.r. n. 309 del 1990, si era giunti alla pronunzia della condanna pur non essendo stata provata l’idoneità delle piante in questione a produrre sostanze stupefacenti, difettando perciò il requisito della offensività della condotta.

Considerato in diritto

Il ricorso, risultato infondato, va, pertanto, rigettato.

Premesso che in materia di offensività della condotta di coltivazione di piante atte alla produzione di sostanza stupefacente il quadro giurisprudenziale presenta un aspetto per certi versi variegato, posto che, secondo un determinato orientamento, la punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa allorché il giudice ne accerti l’inoffensività “in concreto”, nel senso che la condotta deve essere così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 30 luglio 2014, n. 33835), tanto che tale offensività è stata esclusa anche in una ipotesi in cui essa era stata fondata esclusivamente sull’avvenuto rinvenimento di due piante di canapa indiana in fase di vegetazione nonché nella detenzione di kg 1,9 di foglie essiccate di tale pianta e di gr. 1,5 di marijuana (Corte di cassazione, sezione VI penale, 18 marzo 2013, n. 12612).

A tale orientamento se ne contrappone un altro, più rigoristico, secondo il quale ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, attese la formulazione delle norme e la ratio della disciplina, anche comunitaria, in materia, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 24 maggio 2013, n. 22459; sostanzialmente orientate nello stesso senso anche idem Sezione VI penale, 12 febbraio 2014, n. 6753; idem Sezione IV penale, 22 ottobre 2013, n. 43184).

Ritiene questa Corte di dovere aderire a detto secondo orientamento, il quale ravvisa il requisito della offensività anche nella sola potenziale attitudine della coltivazione di piante atte alla produzione di sostanze stupefacenti a fornire il principio attivo idoneo a produrre l’effetto drogante, a prescindere dalla quantità di esso immediatamente estraibile, atteso che tramite l’espressione “coltiva” il legislatore ha voluto sollecitare l’attenzione dell’interprete sulla idoneità della singola pianta coltivata a fornire nel tempo quantità di stupefacente ben maggiori di quelle immediatamente ricavabili in un dato momento; ciò in ragione della naturale capacità della pianta, una volta che ne siano state raccolte le parti da cui possa essere estratto il principio attivo drogante, di rigenerarne altrettante aventi le medesime caratteristiche, in tal modo producendo nuovamente la sostanza stupefacente, operazione questa suscettibile di essere ripetuta, anche nel caso della coltivazione non professionale, più volte durante tutto il ciclo vitale della pianta medesima.

Nel caso in esame la Corte territoriale, nell’affermare la penale responsabilità del M. ha ben tenuto presente siffatta caratteristica, rilevando sia che le piante, la cui appartenenza alla specie botanica cannabis indica è indiscussa, avevano raggiunto un elevato grado di sviluppo, sicché le stesse erano pienamente produttive di principio attivo, in quanto alcune di esse erano alte oltre due metri, sia che le stesse già erano state oggetto di una precedente potatura, tanto che taluni rami erano stati già posti ad essiccare.

Siffatta idoneità della attività di coltivazione a riprodurre nel tempo quantitativi non infimi di sostanze aventi l’effetto drogante, costituisce elemento in sé sufficiente a ritenere la offensività della condotta.

Sarà evidentemente compito dell’interprete valutare, caso per caso, in considerazione delle peculiarità della fattispecie se, premessa la sua offensività, siffatta condotta possa o meno essere sussunta, così come quella di cui alla fattispecie ora in esame, entro il parametro normativo dell’art. 73, comma 5, del d.p.r. n. 309 del 1990.

Al rigetto dei ricorso dei M. segue la sua condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.