Condannati due poliziotti per falsa testimonianza. Due anni e sei mesi di reclusione.

(Corte di Cassazione penale, sez. VI, sentenza 14 giugno 2016, n. 24774)

Sentenza;

sui ricorsi proposti da:

1. A.G., nato a (OMISSIS);

2. P.G., nato a (OMISSIS);

3. S.M., nato in (OMISSIS);

avverso la sentenza del 15 ottobre 2015 della Corte di appello di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SCALIA Laura;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANIELLO Roberto, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;

udito il difensore, avv. Rando Giuseppe, per P.G., e, quale sostituto processuale dell’avv. Alagna Salvatore, per
A.G., che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Palermo, in parziale riforma, limitatamente al trattamento sanzionatorio, della sentenza del Tribunale di Trapani, ha condannato A.G., P.G. e S.M. alla pena, ciascuno, di due anni e sei mesi di reclusione, per i reati di falsa testimonianza a loro ascritti.

2. E’ stata in tal modo ritenuta la penale responsabilità dei prevenuti, ai sensi dell’art. 372 c.p., per avere costoro reso false dichiarazioni quali testi escussi in occasione del processo celebrato a carico di colleghi, operanti presso la Questura di Trapani.

A questi ultimi, quali pubblici ufficiali, era stato contestato, in concorso, il reato di falsità ideologica aggravata in atto pubblico (artt. 110 e 479 c.p. e art. 61 c.p., n. 2), per avere formato un falso verbale di arresto ai danni di un cittadino extracomunitario, L.O., che, arrestato dai verbalizzanti per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate, come attestato dall’indicato verbale, era poi stato assolto dalle imputazioni a lui ascritte con la formula perchè il fatto non sussiste, con sentenza divenuta irrevocabile.

Per la vicenda processuale che costituisce ante fatto di quella odierna, evidenzia la Corte di appello come l’assoluzione fosse derivata dall’accertata falsità di quanto riportato nel verbale di arresto sia in ordine alle aggressioni che il L. avrebbe perpetrato ai danni degli ufficiali ed agenti della Questura di Trapani che quanto alle espressioni offensive che l’arrestato avrebbe pronunciato alla volta degli operanti.

Il tribunale aveva infatti ritenuto l’intera ricostruzione dei fatti esposta nel verbale di arresto come artificiosamente costruita allo scopo di giustificare le lesioni riportate dall’arrestato nel corso di un pestaggio avvenuto all’interno del parcheggio della Questura e apprezzato come verosimilmente organizzato allo scopo di punire il L. che aveva assunto nei confronti dei verbalizzanti un atteggiamento giudicato eccessivamente sfrontato.

All’esito di siffatta pronuncia erano stati tratti a giudizio gli agenti che avevano sottoscritto il verbale di arresto del 4 febbraio 2005. Nell’ambito di detto processo venivano sentiti come testimoni i ricorrenti, anch’essi in servizio presso la questura di Trapani.

Il processo veniva definito con sentenza di condanna dei verbalizzanti per il reato di falso ed era disposta la trasmissione al Procuratore della Repubblica degli atti relativi alle deposizioni rese dai prevenuti.

3. Avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo propongono ricorso per cassazione, A.G. e P.G., a mezzo dei difensori di fiducia e S.M., in proprio.

4. La difesa di A.G. articola due motivi di ricorso, con cui denuncia vizio di motivazione e violazione di legge per i profili del travisamento della prova, per avere la Corte territoriale apprezzato la responsabilità del prevenuto attraverso una lettura delle emergenze processuali non destinata a porsi come unica ricostruzione del fatto e ad affermarsi, quindi, al di là di ogni ragionevole dubbio.

La Corte avrebbe poi immotivatamente negato al ricorrente l’applicazione delle attenuanti generiche e del beneficio della non menzione, senza valutare i parametri di cui all’art. 133 c.p..

5. S.M., in proprio, con i due articolati motivi denuncia la contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione dell’impugnata sentenza.

Per il primo motivo, il ricorrente lamenta che i giudici di appello hanno ritenuto la presenza del prevenuto nella prima parte della vicenda relativa all’arresto del cittadino extracomunitario, di contro a quanto dal primo sempre sostenuto nel corso del giudizio e riportato dal tribunale in primo grado.

La Corte territoriale inoltre non avrebbe apprezzato l’esistenza di due testimonianze di conforto della versione fornita dal S. (quelle del Q. e dell’ Ag.) non spiegando le ragioni dell’inattendibilità delle stesse.

Per il secondo motivo, il ricorrente denuncia la non proporzione della pena irrogata alla persona del reo, soggetto incensurato che aveva reso, per anni, impeccabile servizio presso le Forze dell’ordine.

6. La difesa del P. affida il proposto mezzo a quattro motivi.

6.1. Con il primo motivo, si fa valere la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale per avere ritenuto la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato di cui all’art. 372 c.p., anche se le dichiarazioni rese dal prevenuto non avrebbero turbato o menomato l’attività giudiziaria, risultando le prime non riferibili ai fatti del processo e comunque non idonee ai fini dell’accertamento della verità.

Il prevenuto avrebbe infatti riferito in sede testimoniale su di un momento antecedente alla falsità ideologica contestata nel distinto e presupposto processo avente ad oggetto la falsa formazione del verbale di arresto, attività, quest’ultima, alla quale il P. non aveva neppure assistito.

6.2. Con il secondo motivo, il ricorrente fa valere vizio di motivazione per cattivo governo del compendio di prova dovuto a travisamento della prova e contraddittorietà processuale.

La Corte di appello avrebbe infatti condannato il ricorrente nonostante le dichiarazioni da questi rese – come quelle di altri due testi oculari, il Q. e l’ Ag. – coincidessero con quanto riferito da altro testimone, il Le., nella prima versione dei fatti da questi fornita che era stata apprezzata dai giudici come fondamentale per l’accusa.

6.3. Con il terzo motivo, il ricorrente fa valere vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, avendo la Corte territoriale affermato la responsabilità dell’imputato nonostante questi non fosse presente nell’edificio in cui era stato redatto il verbale di arresto.

Il prevenuto non avrebbe mai utilizzato nel corso dell’incriminata deposizione testimoniale, le espressioni portate nel verbale di arresto, dal primo non conosciuto, contenuti che avrebbero dovuto invece sostenere, nelle valutazioni dei giudici di appello, la difesa dei colleghi del P., chiamati a rispondere del falso.

La Corte territoriale avrebbe inoltre valutato erroneamente il referto medico escludendo che le lesioni ivi indicate potessero essere conseguenti alla condotta, riferita dal teste P., di trascinamento del L. lungo il selciato e la scalinata da parte degli amici che tentavano di allontanarlo con l’uso della forza, nella precisazione, portata in ricorso, che non di scalinata si trattava, ma solo di scalini e che il trascinamento era avvenuto lungo una strada asfaltata e solo per pochissimi metri.

Il P., come il teste Le., non avrebbero poi riferito di lesioni o comunque di episodi in grado di apportare danni al L..

Quanto alle dichiarazioni rese dal teste Le. il prevenuto lamenta la mancata valutazione da parte della Corte di appello della decisione del Tribunale, giudice di primo grado, di procedere nei confronti del Le. per falsa testimonianza, in ragione della seconda versione dei fatti da questi fornita, quella del 31 maggio 2010 rispetto a quella del 31 maggio 2007 per cui il teste era stato ritenuto attendibile.

6.4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la mancata concessione delle attenuanti generiche e comunque la circostanza che la pena applicata si discosti ampiamente dal minimo edittale senza motivare (art. 133 c.p.).

Considerato in dirittto

1. I ricorsi proposti dai prevenuti sono inammissibili non riuscendo gli stessi a fornire una lettura alternativa del dato di prova in grado di affermarsi, come tale, in punto di logica persuasività, su quella ritenuta dai giudici di merito.

Nè i motivi articolati dai ricorrenti riescono a sostenere discontinuità e cadute argomentative censurabili per la figura del vizio di motivazione nelle sintomatiche accezioni della carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

2. Le presupposte ricostruzioni della vicenda da cui muovono le imputazioni di falsa testimonianza – così per il falso ideologico commesso da pp.uu. nella formazione del verbale di arresto di L. O. – operate dai prevenuti hanno Infatti già ricevuto pieno e soddisfacente vaglio ad opera della Corte di appello che è quindi giunta, per conseguenzialità logico – giuridica, ad un piano epilogo decisorio di affermazione della responsabilità dei prevenuti.

E’ stata quindi esclusa la fondatezza della versione alternativa fornita dai prevenuti (per la quale, causa delle lesioni riportate dal L. doveva individuarsi nella rissa che aveva coinvolto, con l’arrestato gli amici che a questi si accompagnavano) quanto al segmento delle condotte che avevano trovato svolgimento nell’area antistante la Questura di Trapani, per un giudizio in cui sono stati congruamente composti nei loro esiti: la convergenza delle testimonianze dei giovani che si accompagnavano al L. e delle dichiarazioni da questi rese; la tipologia delle lesioni dall’arrestato riportate come attestate nel redatto referto medico e la compatibilità delle stesse con il racconto dell’arrestato e dei suoi amici.

L’indicato costrutto – come evidenziato dalla Corte di appello di Palermo per argomenti sostenuti da logica e che in alcun modo si prestano al dedotto scrutinio di legittimità per carenze o manifeste illogicità della motivazione o, ancora, travisamento della prova –

ed il derivato dato di accertamento resta, più in generale, riscontrato e confortato, nella sua obiettiva consistenza, dagli esiti dei presupposti giudizi.

Tanto è destinato a valere quanto agli epiloghi sia del giudizio nel quale il L. è stato assolto dai reati di resistenza e lesioni al medesimo ascritti sia del derivato procedimento introdotto a carico degli operanti che procedettero a formare il relativo verbale di arresto e che è stato definito per condanna degli stessi per falsità ideologica in atto pubblico.

Il ruolo dei testi Ag. e Q., valorizzato nel ricorso P. quale elemento espressivo di distonia logica della decisione impugnata, si apprezza invece come debitamente devalutato dalla Corte di appello di Palermo quanto a rilevanza probatoria per congrui giudizi di inverosimiglianza ed inaffidabilità del racconto dibattimentale dai medesimi reso, muovendo correttamente la Corte:

dalla peculiare posizione di osservazione, quanto al primo teste;

dalle incertezze nella ricostruzione, quanto al secondo, e ciò a fronte della sottolineata convergenza del dato dichiarativo dei testi Ca. e Sch., che al L. si accompagnavano.

Ancora, quanto alla posizione del P., debitamente la Corte territoriale sottolinea la diversità tra il racconto reso dal medesimo imputato e la deposizione del teste Le. che al L. si accompagnava: riferendo il primo, che il L. era stato afferrato per il collo dal Le. in modo tale da cadere in terra ed era stato quindi trascinato con violenza per un braccio mentre era ancora sdraiato in terra; narrando il secondo di aver cinto con le braccia il L., scendendo con lui la scalinata della Questura).

Di alcuna conducenza appare quindi il relativo motivo articolato dal prevenuto che da una dedotta, e del tutto contraddetta dalle perspicue conclusioni raggiunte dalla Corte di merito, identità di contenuto muove per sottolineare contraddizioni logiche dell’impugnata motivazione.

Le posizioni A. e S., le cui dichiarazioni sono dirette a coprire l’ulteriore segmento fattuale, in cui il L. si era avvicinato per la seconda volta all’ingresso della Questura e nel corso del quale gli agenti lo avevano caricato su autovettura di servizio, risultano del pari congruamente apprezzate dai giudici di appello facendo piana e logica applicazione del richiamato compendio di prova, anche per i profili di riscontro segnati dagli esiti dei separati e presupposti giudizi, sopra indicati.

Resta in modo inconcludente articolata la difesa, pure portata negli esaminati ricorsi, laddove la stessa prospetta, per inferirne l’estraneità dei ricorrenti ai fatti, la non presenza degli imputati nei locali in cui venne formato il verbale di arresto inficiato dalle accertate falsità ideologiche, la non partecipazione dei primi alla formazione dell’atto e comunque il mancato utilizzo nel corso della deposizione delle espressioni contenute in verbale.

I prevenuti risultano essere stati giudicati, nel procedimento definito in appello per l’impugnata sentenza, non per concorso nel presupposto reato di falso, ma per falsa testimonianza (art. 372 c.p.) e quindi per avere reso – nel corso dell’esame testimoniale svoltosi nel giudizio in cui loro colleghi, appartenenti alla Questura di Trapani, erano giudicati per falso ideologico nella formazione del verbale di arresto del cittadino extracomunitario L. – dichiarazioni false, ricostruendo gli accadimenti che all’arresto avevano dato luogo, in adesione ai sostanziali contenuti riportati nel presupposto falso verbale.

Peraltro in alcun modo venendo in considerazione, quanto al profilo da ultimo indicato, l’identità del linguaggio utilizzato in corso di deposizione rispetto a quello contenuto nell’atto.

Ogni critica portata in ricorso al giudizio espresso dalla Corte di merito su natura e consistenza delle lesioni accertate sulla persona del L. risulta poi del tutto inconcludente, rispetto al voluto fine di evidenziare discontinuità logiche dell’impugnata sentenza.

Quest’ultima infatti ampiamente e logicamente dà conto di quelle lesioni al fine di tracciare, con logico argomento, l’effettivo svolgimento degli accadimenti che avevano preceduto la formazione del verbale di arresto.

Generico ed aspecifico poi si appalesa ogni motivo articolato in ordine al trattamento sanzionatorio applicato dalla Corte non confrontandosi il primo con gli argomenti spesi sul punto in sentenza.

3. All’inammissibilità dei ricorsi segue (art. 616 c.p.p.) la condanna dei prevenuti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, a quello di una somma in favore della Cassa delle ammende, in ragione dei profili di colpa individuati nella spiegata articolazione dei motivi, per un importo che si reputa equo stimare in Euro 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, a quello della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016.