Condannato per avere detenuto chilogrammi 220 di novellame di pesce azzurro.

(Corte di Cassazione penale, sez. III, sentenza 9 maggio 2016, n. 19113)

…, omissis …

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

D.V.C., n. a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro in data 21 luglio 2015;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDREAZZA Gastone;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale FIMIANI P., che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. D.V.C. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro di conferma, quanto all’affermazione di responsabilità, della sentenza del Tribunale di Castrovillari di condanna per il reato di cui alla L. n. 963 del 1965, art. 15, comma 1, lett. c), per avere detenuto chilogrammi 220 di novellame di pesce azzurro.

2. Con un primo motivo, di illogicità e contraddittorietà della motivazione nonchè di violazione di legge, lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto che la condotta contestata nell’imputazione di detenzione di novellame rientri comunque nell’ipotesi di reato contravvenzionale di cui al D.Lgs. n. 4 del 2012, art. 7, lett. a) anche senza alcun accertamento e riferimento all’elemento costitutivo riguardante gli esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima.

Evidenzia che al D.Lgs. n. 153 del 2004, art. 6, come richiamato dalla sentenza con riferimento al divieto di detenzione di novellame di sarda, è stato abrogato dal D.Lgs. n. 4 del 2012, art. 27, comma 1 e che nella specie non è stato effettuato alcun accertamento con riguardo alla avvenuta misurazione della taglia del prodotto, indispensabile per la configurabilità del reato.

Sulle specifiche censure sollevate con l’atto d’appello sul punto la Corte territoriale non ha fornito alcuna risposta motivazionale.

3. Con un secondo motivo lamenta l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 4 del 2012, art. 7, lett. c) e l’inosservanza del D.Lgs. cit., art. 10, lett. c); sostiene in particolare che, alla luce del confronto tra la condotta contemplata quale illecito penale dall’art. 7, lett. c) e la condotta contemplata, quale illecito amministrativo, dall’art. 10, lett. c), deve ritenersi che la prima previsione si riferisca alla detenzione da parte di chi detiene il prodotto ittico proveniente dalla propria attività di pesca mentre, nell’altro caso, ci si riferisce alla detenzione da parte di chi detiene il prodotto ittico non proveniente dalla propria attività di pesca.

4. Con un terzo motivo infine censura la motivazione della sentenza con riguardo alla denegata irrogazione di una pena più prossima al minimo ed in ordine al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, non avendo la sentenza valutato che il ricorrente non era nè proprietario, nè possessore e detentore del veicolo a bordo del quale si trovava il prodotto ittico, nè tantomeno alla guida dello stesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il primo motivo di ricorso è infondato quanto all’assunto della non sanzionabilità, sotto il profilo penale, della condotta contestata per effetto della sopravvenuta abrogazione della L. n. 963 del 1965, art. 15, lett. c) la cui violazione è stata addebitata all’imputato.

Se è vero infatti che il D.Lgs. 9 gennaio 2012, n. 4, art. 27, comma 1, lett. a) ha abrogato la L. 14 luglio 1965, n. 963, vigente all’epoca dei fatti (e dunque la fattispecie di cui all’art. 15, lett. c) di divieto di pescare, detenere, trasportare e commerciare il novellame di qualunque specie vivente marina oppure le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, senza la preventiva autorizzazione del Ministero della marina mercantile), è altrettanto indiscutibile che il D.Lgs. n. 4 del 2012, art. 7, comma 1, lett. a) di misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma della L. 4 giugno 2010, n. 96, art. 28, ha previsto l’illiceità penale della condotta di detenere, sbarcare e trasbordare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore, sanzionata, infatti, dall’art. 8, comma 1, con la pena dell’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da 2.000 Euro a 12.000 Euro.

Ne consegue che, come già affermato da questa Corte per altre fattispecie della normativa ex L. n. 963 del 1965 (Sez. 3, n. 50567 del 29 ottobre 2015, Santonocito, Rv. 265649), sussiste piena continuità normativa tra le suddette previsioni, avendo le nuove sostituito le precedenti (in tal senso, del resto, lo stesso D.Lgs. n. 4 del 2012, art. 27, comma 2, ha previsto che le norme abrogate dal comma 1 sono sostituite dalle disposizioni del presente decreto ) senza soluzione di continuità alcuna quanto alla tutela del bene giuridico.

Nè risulta comprensibile, nel senso dell’abrogazione invocata dal ricorrente, il riferimento al D.Lgs. n. 153 del 2004, art. 6 che si limitava a ribadire, in conformità con quanto già stabilito dalla L. n. 963 del 1965, art. 15, lett. c), il divieto comunitario di sbarco, trasporto, trasbordo e commercializzazione di esemplari di specie ittiche al di sotto della taglia minima prevista dai regolamenti comunitari, solo aggiungendo non essere sanzionabile la cattura accidentale o accessoria di tali esemplari, realizzata con attrezzi conformi alle norme comunitarie e autorizzati dalla licenza di pesca.

Quanto infine all’argomento, di cui al secondo motivo di ricorso, secondo cui, in realtà, sarebbe penalmente sanzionata la sola detenzione di prodotto ittico proveniente dalla propria attività di pesca e non anche di quello non proveniente dalla propria attività, l’assunto è smentito per tabulas dal dettato dal D.Lgs. n. 4 del 2012, art. 7: il fatto che, alla lett. a), sia previsto il reato di detenere, sbarcare e trasbordare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore e che, alla lett. b), sia ulteriormente previsto il reato di trasportare e commercializzare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore, senza alcuna distinzione in base alla provenienza del pescato, contrasta all’evidenza con quanto sostenuto dal ricorrente; nè è di alcuna rilevanza sul punto il D.Lgs. n. 4 del 2012, art. 10, lett. c), richiamato dal ricorrente, che punisce come illecito amministrativo tutt’altra fattispecie, ovvero quella di detenere, trasportare e commerciare il prodotto pescato in zone e tempi vietati dalla normativa comunitaria e nazionale.

6. E’ invece fondato il primo motivo laddove lo stesso lamenta la mancata motivazione della sentenza impugnata in ordine alla natura di novellame del pesce detenuto nel senso del mancato raggiungimento delle dimensioni minime di legge (si vedano infatti il D.P.R. 2 ottobre 1968, art. 86 quale regolamento di esecuzione della L. n. 963 del 1965, tuttora in vigore ad eccezione dell’art. 2 giacchè abrogato dal D.Lgs. n. 4 del 2012, art. 27, comma 1, lett. b), secondo cui per novellame devono intendersi gli esemplari allo stadio giovanile delle specie animali, viventi nel mare, non pervenuti alle dimensioni indicate negli articoli che seguono e, quanto alla lunghezza minima, D.P.R. cit., art. 87).

A fronte dell’espresso motivo di gravame sul punto la Corte territoriale si è infatti limitata ad affermare che il m.llo P. della Guardia di Finanza aveva fermato l’imputato a bordo di un furgoncino che trasportava 220 kg. di novellame di sarda (c.d. bianchetto) senza autorizzazione alla pesca di novellame, in tal modo dando per implicito (ovvero appunto che ciò che era detenuto era proprio novellame ) ciò che invece doveva essere oggetto di motivata argomentazione (sia pure solo basata, ad esempio, sull’osservazione visiva del pescato immediatamente evidenziante le ridotte dimensioni dello stesso e di cui, però, appunto, nessuna traccia vi è in sentenza).

7. La sentenza impugnata, assorbito il terzo motivo di ricorso, deve essere dunque annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro per nuovo esame sul punto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2016.