Contratto quadro di intermediazione: forma scritta anche per la procura a terzi.

(Corte di Cassazione Civile, sez. III civile, sentenza 15.12.2015, n. 25212)

Svolgimento del processo

Con citazione del maggio 2008 Z.D. convenne dinanzi al Tribunale di Bologna la società Simcasse s.p.a. e R.C. , direttrice della succursale di Bologna, deducendo che, con contratto del 14 aprile 1998, aveva conferito l’incarico alla Simcasse di negoziare in borsa, nel mercato futures, per suo conto ed ordine, gli strumenti finanziari derivati denominati FIB 30, versando contestualmente la somma di lire 100 milioni per la provvista. In data 29 aprile 1998, contattato telefonicamente dalla Simcasse, si era recato in sede, ove veniva rassicurato da un operatore che tutto procedeva secondo gli accordi.

Il 4 maggio 1998, sorprendentemente, aveva ricevuto note informative su negoziazioni mai autorizzate ed effettuate dalla Simcasse il 14, 15, e 16 aprile 1998 in suo nome e per conto che egli, il giorno successivo, con telegramma, aveva formalmente contestato per non esser mai state autorizzate; ciononostante alcuni giorni dopo venne informato di ulteriori operazioni, anch’esse non autorizzate, effettuate il 22 e 27 aprile 1998, anch’esse contestate con telegramma del 13 maggio 1998. In data 18 maggio 1998 la Simcasse, malgrado tutte le suesposte contestazioni, gli comunicò un saldo debitore di lire 265.658.060, invitandolo ad estinguere il debito.

Perciò le convenute avevano violato gli accordi contrattuali e compiuto negoziazioni non autorizzate né da lui né da un soggetto dal medesimo preventivamente indicato nel contratto – quadro (neppure consegnato in copia), né avevano dato conferma dei pretesi ordini, e neppure avevano inoltrato la documentazione relativa alle operazioni effettuate – senza perseguire il fine del contenimento dei costi per il cliente – entro il settimo giorno dal compimento, né lo avevano informato sulla perdita eccedente il 50% della provvista, neppure dopo che dal 27 aprile 1998 risultava già a suo carico una passività di circa L. 150.000.000, in violazione anche delle disposizioni di cui al D.L.gs. 415 del 1996, delle delibere e circolari della Consob del 9 dicembre 1994 n. 8850 e del 10 settembre 1997, nonché del dovere generale di buona fede. Né avevano assunto dal cliente preventive informazioni sulla sua esperienza in materia di investimenti finanziari, sulla sua situazione finanziaria, sulla propensione al rischio e sugli obbiettivi prefissati.

Le convenute perciò, gravemente inadempienti al contratto e responsabili per illecito precontrattuale ed extracontrattuale, dovevano esser condannate a risarcirgli i danni che quantificò in lire 368.658.060, corrispondenti alla somma della provvista e alla perdita sofferta. Aggiunse poi che le operazioni di acquisto ed immediata rivendita compiute dalle convenute erano annullabili per violenza, dolo e/o errore riconoscibile, essendo stata imposte a suo fratello, Z.E. , con la minaccia, in caso di mancato acquisto dei titoli, dell’immediato rientro dell’esposizione debitoria maturata, e per la successiva rivendita, di vendita di ufficio. Chiese altresì di accertare la non debenza della somma di lire 265.658.060 pretesa da Simcasse, e la condanna di R.C. a manlevarlo di quanto eventualmente dovuto a Simcasse. In subordine chiese la compensazione tra il credito risarcitorio ed il debito nei confronti di Simcasse.

La Simcasse dedusse che la R. non era una sua dipendente, ma un agente di cambio autonomo, legata alla Simcasse da un contratto di negoziazione di ordini di acquisto o vendita raccolti presso la propria clientela. Rilevò che le operazioni eseguite erano state ordinate da Z.E. , fratello dell’attore, a cui questi aveva conferito specifica procura in data 14 aprile 1998, cliente di Simcasse dal 1994 e profondo conoscitore del mercato dei FIB 30 e a questi era stata fornita ogni informativa sugli ordini, conformi ai precedenti.

R.C. eccepì di non aver assunto mai nessuna garanzia nei confronti dello Z. essendosi limitata a raccogliere gli ordini tramite il fratello, e a trasmetterli alla Simcasse e che la procura succitata prevedeva anche una preventiva ratifica e conferma dell’operato del rappresentante.

Avendo la Simcasse ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti di Z.D. per il pagamento di lire 265.658.060 a titolo di perdita delle operazioni di borsa ordinate tra il 14 e il 27 aprile 1998, al netto della liquidità e dei margini di garanzia esistenti, con separato atto dell’ottobre 1998 questi si oppose, per tutte le ragioni suesposte.

Le convenute formularono le medesime difese.

I due procedimenti furono riuniti.

Con sentenza del 24 maggio 2006 il Tribunale rigetto la domanda e l’opposizione delle Z. .

A fondamento della decisione il Tribunale rilevò: 1) il disconoscimento della procura, prodotta in copia dalla R. in allegato alla comparsa di risposta del 10 ottobre 1998, da ricondurre all’art. 2719 c.c. e non 214 c.p.c., era tardivo, essendo stato proposto soltanto con la memoria per l’udienza del 20 maggio 1999 e non all’udienza successiva alla costituzione della R. , mentre era tempestivo il disconoscimento proposto avverso la medesima procura prodotta dalla Simcasse, che perciò doveva fornire altre prove dei fatti dedotti; 2) i testi escussi avevano confermato il rilascio della procura da parte di Z.D. al fratello E. , e la testimonianza di costei non era idonea a contrastare le testimonianze predette, avendo il fratello interesse al giudizio; 3) pertanto le operazioni compiute da costui erano in nome e per conto del mandante; 4) nessuna corresponsabilità extracontrattuale era addebitabile alla R. , né contrattuale, non essendo parte del contratto, né vi era prova dei dedotti vizi della volontà di Z.E. , esperto investitore che nei tempi remoti e coevi aveva effettuato analoghe operazioni con ingenti profitti; 5) la violazione dell’obbligo della consegna della copia del contratto, di informazione da parte degli interraediari finanziari e di buona fede, non comportava la nullità dei contratti e degli ordini; 6) gli ordini eseguiti erano conformi a quelli impartiti, ed infatti lo Z. aveva lamentato la carente o negligente informazione, non la non corrispondenza di essi; 7) la clausola n. 8 della procura del 14 aprile 1998 prevedeva espressamente che l’investimento in derivati comportava un grave rischio di perdite, anche non quantificabili ed eccedenti l’originario esborso; 8) perciò l’investitore era stato reso edotto della natura altamente speculativa dell’operazione anche avuto riguardo al profilo soggettivo del mandatario, esperto del settore, il che escludeva l’inadeguatezza dell’investimento, e peraltro le operazioni compiute da questi erano speculari a quelle commissionate in proprio; inoltre la congrua provvista conferita da Z.D. lasciava supporre che i nuovi ordini erano adeguati al suo patrimonio; 9) l’operatività superiore ai margini di garanzia era rilevante soltanto nei rapporti tra intermediari e non tra investitore e intermediario; 10) dopo le operazioni il teste M. aveva riferito di aver inviato allo Z. il contratto e le informative sull’esecuzione degli ordini per posta; 11) nessuno aveva rassicurato lo Z. del buon andamento delle operazioni, mentre la prospettazione della vendita di ufficio dei titoli era diretta a contenere le perdite già verificatesi.

Con sentenza dell’11 aprile 2012 la Corte di appello di Bologna ha accolto l’appello di Z.D. sulle seguenti considerazioni:

1) pur essendo il disconoscimento della procura depositata in copia dalla R. tardivo ai sensi dell’art. 215, primo comma, n. 2 c.p.c., l’eccezione di tardività non era rilevabile di ufficio ed era incompatibile con l’istanza di verificazione, formulata dalla R. all’udienza del 14 ottobre 1999, e dunque la procura deve aversi per disconosciuta anche nei confronti di costei;

2) il disconoscimento effettuato dallo Z. non era della conformità della copia all’originale, bensì dell’autenticità della sua sottoscrizione, come si desumeva dal verbale di udienza del 14 gennaio 1999;

3) pertanto le parti avevano l’onere di produrre l’originale e chiedere la verifica della sottoscrizione e quindi il documento prodotto in copia era inutilizzabile;

4) la prova testimoniale era inammissibile in ragione della clausola del contratto di futures – contratto di mandato a negoziare in borsa il contratto uniforme a termine collegato all’indice di borsa FIB30 – relativa alla forma del conferimento degli ordini e all’indicazione delle persone abilitate a operare per conto del mandante;

5) infatti l’art. 2 di detto contratto prevede: “gli ordini verranno impartiti oralmente o per iscritto dal cliente e/o dalle persone che il cliente indicherà. Qualsiasi variazione a tale elenco sarà apportata esclusivamente per iscritto e avrà effetto dal giorno successivo al suo ricevimento da parte della Simcasse”; 6) perciò, se era prescritta la forma scritta per la modifica dell’elenco delle persone abilitate ad operare in nome e per conto del mandante, a maggior ragione era necessaria tale forma per l’iniziale conferimento della procura, necessaria quanto meno ad probationem;

7) tale forma convenzionale, in difetto di smarrimento incolpevole del documento, preclude la prova testimoniale e per presunzione del conferimento della procura;

8) in ogni caso la prova testimoniale sarebbe inammissibile per violazione dell’art. 215 c.p.c. mirandosi con essa ad accertare esclusivamente l’autenticità della sottoscrizione;

9) pertanto gli ordini impartiti dal fratello Z.E. non sono riferibili a Z.D. e costui non deve rispondere delle perdite verificatesi; 10) conseguentemente il decreto ingiuntivo nei confronti di costui doveva esser revocato e la Simcasse condannata a restituirgli lire 284.489.089, pari ad I Euro 146.926,35, oltre agli interessi legali dal 16 sett. 1998, nonché Euro 51.645,69, corrispondenti alla provvista di lire 100 milioni indebitamente utilizzata per coprire le iniziali perdite, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Ricorre per cassazione ICCREA banca s.p.a. (incorporante mediante fusione la Simcasse s.p.a.), cui resiste Z.D. .

Le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce: “Violazione del combinato disposto dell’art. 23 del D.L.gs. 24 febbraio 1998 n. 58, degli artt. 1704 e 1392 e segg. c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)” in quanto il precitato art. 23, nel prevedere l’obbligo di redazione per iscritto – a pena di nullità – dei contratti di prestazione di servizi di investimento, è applicabile soltanto al contratto – quadro concluso al momento dell’instaurazione del rapporto gestorio fra intermediario e cliente, ma non anche ai singoli ordini di borsa e cioè agli specifici incarichi affinché l’intermediario concluda, in nome e per conto del cliente, una o più operazioni aventi ad oggetto l’acquisto, la vendita o la sottoscrizione di strumenti finanziari, ed anche il regolamento Consob del primo luglio 1998 n. 11522 escludeva la forma scritta soltanto per i contratti di investimento relativi ai servizi di collocamento, ai servizi accessori e a quelli stipulati con operatori qualificati ed individuava il contenuto minimo del contratto di intermediazione finanziaria con investitore non qualificati prevedendo la definizione delle modalità di trasmissione degli ordini e/o istruzioni di borsa.

Il successivo regolamento Consob n. 16190 del 2007 all’art. 37 ha confermato la libertà di forma per i contratti conclusi con operatori qualificati, proprio al fine di rafforzare la tutela del contraente debole investitore richiamando la sua attenzione sul tipo di operazioni che intendeva compiere e sui rischi che comportavano nonché conoscere il contenuto del contratto. Pertanto, al di fuori del contratto – quadro, vige il principio per gli ordini di borsa della libertà della forma che il regolamento rimette all’autonomia delle parti (art. 30, secondo comma, lett. c) del regolamento Consob del 1998) ed infatti l’art. 29 del medesimo regolamento riconosce all’investitore la facoltà di ordini telefonici.

Nella specie infatti, come riconosciuto dalla sentenza impugnata, l’art. 2 prevedeva che gi ordini potessero essere impartiti dal cliente oralmente o per iscritto e/o dalle persone che il cliente indicherà. Peraltro secondo lo schema dell’art. 1704 c.c. il mandato è un contratto a forma libera e il conferimento può esser dimostrato con ogni mezzo di prova e soltanto se il mandato prevede il compimento di un’attività giuridica per la cui validità necessita la forma scritta, il mandato dovrà rivestire la stessa forma.

Altrettanto nel caso che al mandato si accompagni la procura, questa avrà la stessa forma del mandato.

Il precitato art. 2 del contratto prevedeva che qualsiasi variazione all’elenco delle persone abilitate a conferire ordini alla Simcasse per il cliente doveva avvenire per iscritto e che tuttavia la Simcasse non era responsabile dell’accertamento dell’identità della persona che impartiva gli ordini, e poteva registrare la relativa conversazione telefonica, e dunque l’ordine di borsa poteva esser anche verbale, mentre solo per la variazione delle persone indicate era necessaria la forma scritta per maggiore certezza dei rapporti tra investitore e Simcasse.

Perciò la Corte di merito ha trascurato di esaminare la volontà delle parti che ha limitato la forma scritta alla variazione dell’elenco delle persone abilitate ad agire in nome e per conto dell’investitore e il ricorso all’interpretazione degli accordi è possibile solo se la clausola è ambigua o interpretabile in più sensi, prevalendo di norma (art. 1362 c.c.) il criterio letterale, diversamente il giudice sostituisce la propria opinione soggettiva alla volontà delle parti.

Dunque il mandato conferito dall’investitore ad un terzo per gli ordini di borsa non è soggetto, né ad substantiam, né ad probationem, ad alcun onere di forma scritta ed infatti le parti avevano privilegiato la forma telefonica.

2.- Con il secondo motivo lamenta: “Insufficiente motivazione in relazione alla ritenuta necessità della forma scritta per la prova del conferimento del mandato ad impartire ordini di borsa (art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c.)” per il salto logico commesso dalla Corte nel ritenere che poiché per la variazione dell’elenco delle persone abilitate occorreva la forma scritta, analogamente era necessaria per il conferimento della procura, senza nessuna ulteriore argomentazione ed in spregio alla volontà contrattuale che prevedeva la forma orale per gli ordini di borsa, e alla disciplina del mandato che è a forma libera, e senza esaminare l’ampio materiale probatorio di primo grado che dimostrava l’infondatezza delle pretese creditorie avanzate dallo Z. .

3.- Con il terzo motivo deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2725 c.c. anche in relazione all’art. 215 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.), nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che, effettuato il disconoscimento della sottoscrizione della procura, necessitava il procedimento di verificazione, mentre invece, non avendo le parti pattuito la forma scritta per il mandato, l’esistenza del negozio giuridico poteva esser provata per testimoni e perciò la Corte di merito ha equivocato tra disconoscimento della scrittura e prova dell’esistenza del rapporto sottostante, che poteva esser dimostrato per testimoni. Inoltre la Corte di merito ha violato la scelta dei mezzi difensivi affermando che disconosciuta la scrittura non si può provare l’esistenza del contenuto di essa con testimoni.

4.- Con il quarto motivo la ricorrente si duole per: “Insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta inammissibilità della prova per testi al fine di dimostrare il conferimento del mandato ad impartire ordini di borsa (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.)” per non avere la Corte di merito considerato che la parte che produce un documento in copia può darne la prova, se disconosciuta, diversamente, e tanto ha fatto Simcasse, per tabulas e per testimoni.

I motivi, congiunti, sono infondati.

5.- La questione risolta dalla Corte di merito non è se l’esecuzione del contratto di mandato da parte dell’intermediario secondo il programma negoziale di prestazione di servizi concluso con l’investitore possa avvenire anche verbalmente o invece necessariamente per iscritto – come ritiene una parte della giurisprudenza di merito sulla considerazione che mentre la legge n. 1 del 1991 nel richiedere la forma scritta si riferiva espressamente al contratto – quadro, il DL.GS n. 415 del 1996 e l’art. 23 del TUF si riferiscono più ampiamente “ai contratti relativi ai servizi di investimento”, sì da potervi ricomprendere anche i singoli ordini di borsa a maggior tutela dell’investitore e onde precostituire una reciproca prova – ma se le parti dèi contratto – quadro, nell’aver previsto tra “le modalità attraverso cui l’investitore può impartire ordini e istruzioni” quella orale – clausola n. 2 trascritta in narrativa e nel ricorso, art. 30, comma 2, lett. c) regolamento Consob n. 11522 del 1998 – abbiano in essa ricompreso la facoltà dell’investitore di conferire ad un terzo, in suo nome e per conto, la legittimazione ad impartire ordini all’intermediario.

La Corte di merito, con corretta interpretazione della clausola n. 2 del contratto gestorio, riassunta in narrativa, lo ha escluso.

Alle ragioni esposte dalla Corte di merito può aggiungersi che, se il contratto quadro, per espressa previsione normativa – art. 23 D.L.gs. del 1998 n. 58 – deve esser stipulato per iscritto, a pena di nullità, la stessa forma deve rivestire la procura che l’investitore conferisce ad terzo ad agire in suo nome e in sua vece con l’intermediario in quanto, essendo un negozio incidente sui requisiti essenziali del contratto a forma vincolata, a pena di nullità a protezione dell’investitore – il cui nome deve esser attestato negli ordini (art. 60. 1, lett. a) del Regolamento Consob n. 11522 del 1998) – e che perciò non ammette equipollenti o ratifiche (Cass. 3889 del 2014), vale il principio della forma per relationem.

E perciò correttamente la Corte di merito ha ritenuto che, quanto meno ad probationem, come è desumibile anche dall’art. 60.2 del precitato regolamento, secondo il quale gli intermediari registrano su nastro magnetico o su altro supporto equivalente gli ordini impartiti telefonicamente dagli investitori – se non ad validitatem del contratto di mandato tra il rappresentante ed il rappresentato, secondo la presunzione contenuta nell’art. 1352 cod. civ. – la forma scritta del conferimento della procura da parte di Z.D. al fratello Z.E. non poteva esser sostituita dalla prova testimoniale o presuntiva (artt. 2725 primo comma e 2729, ultimo comma cod. civ.).

5.1- Quanto poi agli effetti del disconoscimento della sottoscrizione di una scrittura privata prodotta in fotocopia da chi intenda avvalersene, è fermo il principio secondo il quale, se la parte contro cui è avvenuta la produzione disconosca espressamente ed in modo formale l’autenticità della sottoscrizione, il giudice, mentre non resta vincolato alla contestazione della conformità all’originale, potendo ricorrere ad altri elementi di prova, anche presuntivi, per accertare la rispondenza della copia all’originale ai fini della idoneità come mezzo di prova ex art. 2709 c.c., per l’accertamento dell’autenticità della sottoscrizione è vincolato all’esito della procedura prevista dagli artt. 216 e ss., cod. proc. civ. della cui instaurazione, producendo l’originale (Cass. 1831 del 2000, 16551 del 2015), è onerato colui che intenda far valere in giudizio il documento, non potendo il giudice desumere l’autenticità da altre prove prescindendo dalla verificazione.

6.- Concludendo il ricorso va respinto.

Le spese giudiziali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione che si liquidano in Euro 7.200 di cui Euro 7.000 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.