Dire ad un magistrato che è omofobo non è diffamazione se si sta esercitando un diritto di critica.

(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 giugno 2016, n. 26745)

Ritenuto in fatto

Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Caltanisetta ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado nei confronti del ricorrente R.V. , che lo aveva condannato alla pena della reclusione di mesi quattro, oltre al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile, applicando la sola pena pecuniaria di Euro mille e confermando la decisione nel resto, per il delitto di diffamazione aggravata per aver arrecato l’offesa col mezzo della pubblicità costituito dalla rete internet nei confronti di un magistrato della Procura di Palermo, dr C. ; fatto del (omissis) .

1.Ha presentato ricorso l’imputato, che col primo motivo ha lamentato l’illogicità della motivazione e la violazione degli artt. 124 cp e 336 cpp circa la tempestività della querela, presentata un anno ed otto mesi dopo la pubblicazione dell’articolo.

La Corte avrebbe ignorato che il dr C. nella sua deposizione non aveva menzionato lo scritto dell’associazione articolo 3, tra quelli, di contenuto offensivo, visti tramite internet, nel (omissis) , evento a seguito del quale aveva sporto querela dopo due mesi.

1.1 Nel secondo motivo è stata dedotta l’illogicità della motivazione ed il travisamento della prova testimoniale, dalla quale era stata desunta l’attribuzione dello scritto ritenuto diffamatorio all’imputato. Il teste che svolse le indagini,infatti, aveva riferito di non aver individuato l’indirizzo IP, codice numerico che permette di conoscere l’utenza associata al dispositivo dal quale vengono immessi i dati in internet.

La sentenza, inoltre, aveva valorizzato anche l’esame dell’imputato per attribuirgli la paternità dell’articolo mentre risultava dal relativo verbale che egli non ricordava chi lo avesse pubblicato sul sito.

1.2 Oggetto del terzo motivo di ricorso è stata la violazione della legge in riferimento all’art. 51 cp, poiché i Giudici del merito avevano trascurato l’interpretazione data dalla Corte di legittimità al diritto di critica, che per sua natura, esprimendosi in un giudizio o in un’opinione, non può essere rigorosamente obbiettivo ed imparziale.

Inoltre il riferimento contenuto nell’articolo ai metodi da rivoluzione culturale cinese rispondeva al vero, essendo presente nell’atto di appello firmato dal dr C. , come dallo stesso confermato al processo.

Era stato rispettato anche il requisito della continenza, poiché da nessun passaggio del processo era emersa ostilità personale da parte dell’imputato nei confronti del dr C. ed anzi R. nel suo esame aveva tra l’altro – dichiarato che la Magistratura era forse unica istituzione che era venuta incontro alle istanze del movimento LGBT.

1.3 Col quarto motivo di ricorso è stata criticata la sentenza per violazione della legge ed illogicità di motivazione per la mancata applicazione dell’art. 10 CEDU e dell’art. 10 Costituzione.

La Corte siciliana avrebbe ignorato una pluralità di arresti giurisprudenziali della CEDU sul diritto di critica – puntualmente citati – riguardanti la giustizia e l’imparzialità della magistratura, la qualità di persona pubblica dei soggetti criticati, l’interesse pubblico verso le informazioni relative all’amministrazione della giustizia, ambiti ben presenti nella fattispecie.

All’odierna udienza il Pg, dr G. , ha concluso per il rigetto del ricorso; l’Avv. Alfano per la parte civile si è riportato alle conclusioni della memoria depositata ed il difensore Avv. Lollini per l’imputato ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

È opportuno un breve riepilogo della vicenda processuale per cui è ricorso.

1. L’antefatto oggetto delle sentenze di merito è collegato ad un procedimento penale istruito dal magistrato, persona offesa nel presente processo, nei confronti di un’insegnate, imputata di aver abusato dei mezzi di correzione ai danni di un alunno, per averlo costretto a scrivere sul quaderno per cento volte “sono un deficiente”, a causa del suo comportamento verso un compagno, apostrofato come gay.

1.1 La donna era stata assolta ed il dr C. aveva interposto appello in cui aveva scritto tra l’altro – che i metodi educativi dell’insegnante erano paragonabili a quelli della rivoluzione culturale maoista del 1966 e che era costume dei ragazzi e dei giovani apostrofarsi reciprocamente (spesso per scherzo) con espressioni omofobiche… abitudine non commendevole ma largamente diffusa e… anche largamente tollerata dalla società.

1.2 In seguito l’associazione omosessuale “articolo 3” aveva pubblicato sul sito Gay Today un comunicato con le parole riportate in imputazione, dirette esplicitamente al PM C. e questi aveva presentato querela per diffamazione.

2. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.

I primi due motivi di ricorso sono generici poiché ripetitivi dei motivi di Appello, per come riportati nella parte della sentenza di secondo grado ad essi dedicata, e non si sono confrontati con il ragionamento decisorio dei Giudici, chiaramente sviluppato nei paragrafi 2) e 3) della sentenza.

2.1 Invero, per quanto attiene alla dedotta tardività della querela, la Corte ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto credibile la versione della persona offesa, secondo la quale egli aveva appreso casualmente della presenza delle espressioni denigratorie della motivazione solo nel (OMISSIS) ; ha, infatti, razionalmente osservato che sarebbe stato illogico ipotizzare che la persona offesa avesse omesso di adottare ogni tempestiva iniziativa al fine di impedire la protrazione di contenuti ritenuti offensivi della sua reputazione, anche in considerazione della funzione di Magistrato ricoperta.

Ha precisato, altresì, che da nessuna delle informazioni a disposizione emergeva che la persona offesa potesse aver avuto conoscenza degli scritti offensivi in epoca precedente.

2.2 Riguardo al motivo inerente l’attribuzione dello scritto ritenuto diffamatorio all’imputato, ugualmente adeguata risulta la giustificazione elaborata dalla sentenza tramite il riferimento all’username, composto anche dal nome Vincenzo, cioè quello dell’imputato, ed alla sue dichiarazioni secondo le quali egli era parte del direttivo dell’associazione “Articolo 3”, aveva seguito in prima persona la vicenda, aveva espresso solidarietà all’insegnate oggetto del processo istruito dal dr C. ed aveva condiviso – quale membro del direttivo – il contenuto del comunicato incriminato, pur aggiungendo che si trattava di un contenuto elaborato coralmente dall’associazione.

La ponderazione combinata dei predetti elementi processuali e della mancata negatoria di responsabilità da parte di R. , aveva condotto alla ineccepibile conclusione logica che all’imputato doveva ascriversi fa paternità morale e materiale dello scritto.

2.3 L’argomento della mancata individuazione dell’indirizzo IP – suscitato in ricorso – dunque, non è in grado di incidere sulla conclusione probatoria della Corte, fondata su una diversa e complessiva valutazione dei dati di prova ed adeguatamente esposta. Entrambi i motivi, pertanto, propongono a questa Corte una nuova e diversa valutazione del merito della decisione gravata, inconcepibile – come noto – in questa fase.

3. A diverse conclusioni deve giungersi quanto al terzo e quarto motivo di ricorso.

Va premesso che la motivazione in esame si è occupata solo di una parte del comunicato giudicato offensivo, ritenendo che nella fattispecie mancasse la proporzione tra l’assenta finalità di critica ed alcune delle affermazioni contenute nell’articolo, in cui alla persona offesa si attribuivano atteggiamenti di “grettezza machista, omofobia e misoginia”, mentre il capo di imputazione esplicitamente ha richiamato l’intero contenuto dello scritto.

3.1 In proposito deve, altresì, osservarsi che i motivi del gravame di secondo grado hanno fatto riferimento proprio al complessivo testo del comunicato, che aveva criticato l’intero atto di appello del PM, anche nella parte in cui questi aveva scritto che i metodi educativi dell’insegnante erano paragonabili a quelli della rivoluzione culturale cinese del 1966.

3.1.1 Nel ricorso si è, infatti, argomentato che le espressioni incriminate erano state un espediente retorico usato per censurare anche le predette affermazioni, oltre quelle che sembravano giustificare – pur deplorandole – l’uso di espressioni omofobiche.

3.2 Così definiti i termini della vicenda processuale va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il diritto di critica si differenzia dal diritto di cronaca poiché non si concretizza nella narrazione di fatti – come quest’ultimo – ma nell’espressione di un’opinione, che come tale non può pretendersi rigorosamente obbiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su una interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e comportamenti (così Cass., Sez. 5, 14 aprile 2000 – 27 giugno 2000, n. 7499, CED 216534).

Ciò comporta che non si pone in materia di diritto di critica un problema di veridicità delle proposizioni assertive dell’articolista (Cass., Sez. 5, 8 febbraio 2000 – 17 marzo 2000 n. 3477, CED 215577), essendo il requisito delle verità limitato alla oggettiva esistenza del fatto assunto a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Cass., Sez. 5^, 14 febbraio 2002 – 24 maggio 2002, n. 20474, in CP 03, 3019).

3.3 Per quanto attiene in specie il diritto di critica giudiziaria, con la sentenza citata in ricorso, Sez 5 nr 34432 del 2007, è stato, tra l’altro, osservato che “il diritto di critica dei provvedimenti giudiziari e dei comportamenti dei magistrati deve essere riconosciuto nel modo più ampio possibile, non solo perché la cronaca e la critica possono essere tanto più larghe e penetranti, quanto più alta è la posizione dell’homo publicus oggetto di censura e più incisivi sono i provvedimenti che può adottare, ma anche perché la critica è l’unico reale ed efficace strumento di controllo democratico dell’esercizio di una rilevante attività istituzionale che viene esercitata è bene ricordarlo – in nome del popolo italiano da persone che, a garanzia della fondamentale libertà della decisione, godono giustamente di ampia autonomia ed indipendenza”.

3.4 La sentenza impugnata non ha tenuto in considerazione il suddetto chiaro criterio interpretativo,che ha ribadito i caratteri di estensione e profondità inerenti il diritto di critica giudiziaria, ed avendo limitato il proprio giudizio solo su una parte dello scritto ritenuto diffamante, non ha dato risposta allo specifico profilo della questione posto con i motivi di appello.

3.5 In essi, infatti, il ricorrente ha collegato esplicitamente l’uso delle espressioni indubbiamente aspre usate nei confronti del Magistrato – e giudicate offensive della sua reputazione – alla critica complessiva del suo atto, in cui egli – in modo invero improprio per l’iperbolicità del confronto – paragonava i metodi dell’insegnante a quelli usati dalle guardie rosse di Mao durante la rivoluzione culturale cinese e, per altro verso, sembrava giustificare l’uso di espressioni omofobiche, ormai ritenuto abitudinario soprattutto tra i giovani, pur definendolo non commendevole.

4. Per le ragioni che precedono, in considerazione della carenza di motivazione innanzi ravvisata, va osservato che i due motivi di ricorso di cui sopra appaiono suscettibili di accoglimento e, pertanto – tenuto conto che da quanto emerge dalle decisioni di merito non ricorrono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 129 co 2 cpp – risulta possibile rilevare la prescrizione del reato, maturata dopo la sentenza di secondo grado.

4.1 Sul punto deve ancora chiarirsi che nella sentenza impugnata è scritto che durante la discussione il difensore ha rinunziato alla prescrizione ma per la natura di diritto personalissimo dell’imputato, esso non rientra tra gli atti che possono essere compiuti dal difensore (Così, Sez. 1, Sentenza n. 21666 del 14/12/2012 Ud. (dep. 21/05/2013) Rv. 256076).

“La rinuncia alla prescrizione è un diritto personalissimo riservato all’imputato e non rientra, pertanto, nel novero degli atti processuali che possono essere compiuti dal difensore a norma dell’art. 99 cod. proc. pen.”.

5. Restano da esaminare gli effetti civili della sentenza, poiché il Giudice di Appello ha confermato la condanna generica dell’imputato al risarcimento del danno.

In proposito va ricordata la giurisprudenza di questa Corte espressa in un caso analogo al presente, secondo la quale:

“il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta prescrizione dei reato unitamente al riscontro nella sentenza di condanna impugnata di un vizio di motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputato ne comporta l’annullamento senza rinvio – in conseguenza della predetta causa estintiva – ai fini penali, e per quel che concerne gli effetti civili, l’annullamento delle relative statuizioni, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello” (così: Sez. 5, Sentenza n. 594 del 16/11/2011 Ud. (dep. 12/01/2012) Rv. 252665. In senso conforme: Sez. 2, Sentenza n. 32577 del 27/04/2010 Ud. (dep. 01/09/2010) Rv. 247973; Sez. 5, Sentenza n. 15015 del 23/02/2012 Ud. (dep. 18/04/2012) Rv. 252487).

6. Da tali principi non vi sono ragioni per discostarsi ed alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione; la stessa va annullata agli effetti civili e gli atti rinviati al giudice civile competente per valore in grado di Appello.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione.

Annulla la sentenza agli effetti civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di Appello.