Disinteresse genitoriale: è illecito.

(Corte di Cassazione civile, sezione VI, sentenza 16 febbraio 2015, n. 3079)

Il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole.

Cassazione civile, sezione sesta, sentenza del 16.02.2015, n. 3079

…omissis….

Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 147 c.c. e art. 116 c.p.c. anche in relazione art. 30 Cost. ( art. 360 c.p.c. , n. 3). Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059 e art. 2947 c.c. (rectius art. 2697 c.c. ) e art. 116 c.p.c. ( art. 360 c.p.c. , n. 3).

I due motivi, intimamente connessi, sono esaminati congiuntamente.

Essi non sono fondati per le ragioni che seguono.

In primo luogo, vale sottolineare che, a di là delle violazioni denunciate, in realtà le ricorrenti perseguono un nuovo riesame di merito, non consentito in questa sede, a fronte di una puntuale e corretta motivazione.

Così, in ordine alla prospettata violazione dell’art. 147 c.c. , ritenuta dalla Corte di merito motivatamente esistente, da parte del G., per il suo comportamento violativo dei doveri genitoriali.

La vicenda s’inserisce nella più vasta problematica della responsabilità aquiliana nei rapporti familiari oggetto di una rielaborazione condotta sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali della persona.

Ora, l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (Cass.20 dicembre 2011, n. 27653; Cass.3 novembre 2006. n. 23596).

E ciò perchè la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento comportando per il genitore, ai sensi dell’art. 261 c.c. , tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’art. 148 c.c..

L’obbligazione, infatti, trova la sua ragione giustificatrice nello status di genitore, la cui efficacia retroattiva è datata appunto al momento della nascita del figlio (fra le varie Cass. 6.11.2009 n. 23630).

Inoltre, l’obbligo dei genitori di mantenere i figli ( artt. 147 e 148 c.c. ) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda.

La conseguenza ineludibile è che, anche nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, per ciò stesso non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale.

La ragione è evidente, poichè il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato, nei confronti di entrambi i genitori, è sorto fin dalla sua nascita (Cass. 22.11.2013 n. 26205;

Cass. 10.4.2012 n. 5652; Cass. 2.2.2006 n. 2328;Cass. 14.5.2003 n. 7386).

Quanto al secondo profilo, relativo al risarcimento del danno non patrimoniale ( art. 2059 c.c. ), la decisione adottata dalla Corte di merito è ineccepibile.

Nella giurisprudenza di legittimità (fra le varie Cass.22.11.2013 n. 26205; Cass. 10.4.2012 n. 5652; Cass.15.9.2011 n. 18853), è stata, infatti, da tempo enucleata la nozione di illecito endofamiliare.

Su tale base, la violazione dei relativi doveri non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia.

La natura giuridica di tali obblighi, infatti, comporta che la relativa violazione, nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c. , come reinterpretato alla luce dei principi enucleatati dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella nota decisione n. 26972 del 2008.

Ed è su tale base che la Corte di merito – nel pieno rispetto dei principii relativi al danno – conseguenza, – lo ha riconosciuto sussistere: sulla base delle risultanze probatorie acquisite ed accuratamente esaminate, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c..

Il che vuoi dire la risarcibilità del pregiudizio di natura non patrimoniale, quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale.

Il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di una figlia – come accertato in sede di merito – , integra da un lato, la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, e determina, dall’altro, un’ immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30), e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela.

Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico solidale delle ricorrenti. Sussistono le condizioni per l’applicazione del disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater introdotto dalla L. n. 228 del 2012 .

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3 della Corte di cassazione, il 11 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2015