Durante l’inno di Mameli fanno il saluto romano: è apologia del fascismo.

(Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 maggio 2016, n. 20450)

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa il 20/07/2011 il Tribunale di Udine, in composizione monocratica, giudicava A.D.S., D.G., A.L., A.M., C.Z., S.T. e A.S. colpevoli del reato di cui all’art. 2, comma 1, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, che si assumeva commesso a Udine il 10/09/2008.

Al riconoscimento della colpevolezza conseguiva la condanna degli imputati D.S., G., L., M., Z. e T. alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione e 100,00 euro di multa, con sospensione condizionale della pena, nonché la condanna dell’imputato Stecca alla -p a alla pena di mesi quattro di reclusione e 150,00 euro di multa.

2. Con sentenza emessa l’08/04/2014 la Corte di appello di Trieste, decidendo sull’impugnazione proposta dagli imputati, confermava il giudizio di colpevolezza formulato dal giudice di primo grado, rideterminando la pena irrogata agli appellanti D.S., G., L., M., Z. e T. in mesi uno e giorni dieci di reclusione ed euro 60,00 di multa, nonché la pena irrogata all’appellante Stecca in mesi due di reclusione ed euro 90,00 di multa. La pena così rideterminata veniva sostituita, fatta eccezione per lo Stecca, in quella di 1.520,00 euro di multa, cui faceva seguito la revoca della sospensione condizionale concessa in primo grado.

3. Da entrambe le sentenze di merito emergeva che gli imputati, durante l’incontro di calcio Italia-Georgia, svoltosi a Udine il 10/09/2008, dagli spalti avevano fatto il “saluto fascista”, anche noto come “saluto romano”, per tutta la durata dell’inno nazionale italiano, compiendo in tal modo una manifestazione esteriore tipica di un’organizzazione politica perseguente finalità vietate ai sensi dell’art. 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654.

4. Avverso tale sentenza gli imputati ricorrevano per cassazione, a mezzo dell’avv. G.A., proponendo un unico ricorso, con il quale deducevano il vizio di motivazione della sentenza impugnata, nella quale non si dava adeguatamente conto degli elementi probatori acquisiti e della ricorrenza dell’elemento soggettivo della fattispecie contestata, che erano stati valutati con un percorso motivazionale contraddittorio.

4.1. Tale ricorso veniva integrato dalla memoria depositata dallo stesso difensore di fiducia degli odierni ricorrenti in data 07/03/2016, con cui si precisavano le ragioni poste a fondamento dell’atto di impugnazione introduttivo del presente procedimento.

4.2. Si deduceva, in particolare, che il “saluto fascista”, in quanto tale, non possedeva alcuna valenza discriminatoria e non era accompagnato da comportamenti violenti che potessero essere ricondotti, direttamente o indirettamente, al regime fascista, in relazione al quale non venivano pronunciate espressioni inneggianti o apologetiche dagli imputati.

5. Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. In via preliminare, deve rilevarsi che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, ai vizi della motivazione, dovendo essere ricondotti in tali patologie tutti i casi in cui la motivazione risulti priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare apparente, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione.

2.1. Nel caso di specie, i ricorrenti non criticavano la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento della Corte territoriale, ma, postulando carenze motivazionali della sentenza impugnata, chiedevano la rilettura del quadro probatorio e il riesame nel merito della vicenda processuale.

2.2. Tuttavia, tali risultanze processuali venivano correttamente vagliate nelle pagine 4 e 5 del provvedimento impugnato, mediante richiamo dell’annotazione della DIGOS della Questura di Udine del 25/11/2008, che consentiva di individuare con certezza i ricorrenti D.S., G., L., M. Z., T. e Stecca, come i partecipanti all’incontro di calcio Italia-Georgia che avevano fatto il “saluto fascista” per tutta la durata dell’inno nazionale italiano.

3. Sul punto, risultano immuni da vizi logici o giuridici le argomentazioni sviluppate dai giudici di appello, laddove si sosteneva che il “saluto fascista” o “saluto romano” costituisce una manifestazione che rimanda all’ideologia fascista e a valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza, ai quali la Corte territoriale si richiamava nel passaggio argomentativo esplicitato a pagina 5 della sentenza, evidenziando che la fattispecie contestata non richiede che le manifestazioni siano caratterizzate da elementi di violenza, svolgendo una funzione di tutela preventiva, secondo quanto previsto dall’art. 2 del decreto­legge n. 122 del 1993 (cfr. Sez. 1, n. 25184 del 04/03/2009, Saccardi, Rv. 243792).

3.1. La Corte territoriale, inoltre, osservava che tali condotte, di per sé sole giustificative della condanna, andavano inserite in uno scenario più ampio, evidenziando che gli imputati erano noti alle forze dell’ordine per fare parte di un gruppo di ultras friulani attestato su posizioni politiche di estrema destra, rappresentando ulteriormente che due degli odierni ricorrenti – il T. e lo Stecca – risultavano sottoposti a DASPO.

4. A tutto questo occorre aggiungere che le condotte contestate venivano esternate nel corso di un incontro di calcio valido per la partecipazione ai campionati mondiali di calcio, al quale assistevano 20.000 spettatori, trasmesso in televisione, rendendo infondato – anche in conseguenza della diffusione mediatica della manifestazione sportiva in esame – l’assunto difensivo finalizzato a escludere l’elemento soggettivo indispensabile per configurare il reato di cui all’art. 2, comma 1, della legge n. 122 del 1993.
Ne discende l’infondatezza delle doglianza in esame.

4.1. Deve, tuttavia, rilevarsi che, nelle more dei procedimento, il reato contestato, essendo stato accertato il 10/09/2008, deve ritenersi estinto per intervenuta prescrizione, interamente decorsa alla data del 10/03/2015.

5. La declaratoria di estinzione del reato può essere adottata in questa sede, in quanto la difesa degli imputati, pur non sollecitando espressamente tale pronunzia, non ha manifestato espressamente la volontà di rinunciare alla causa estintiva, mostrando al contempo di non contestare l’insussistenza dei presupposti per il proscioglimento con formula di merito a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

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