EDILIZIA E URBANISTICA: concessione edilizia, in genere Costruzioni abusive (T.A.R. Campania Napoli, Sezione VIII, Sentenza 5 giugno 2012, n. 2653).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

con l’intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Paolo Corciulo, Consigliere, Estensore

Renata Emma Ianigro, Consigliere

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 4206/03 R.G., integrato da motivi aggiunti, proposto da:

1. Spa, in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dagli avvocati Carmelo Sandomenico, Felice Laudadio, Luigi Signoriello e Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso Antonio Palma in Napoli, via G. Orsini,30;

contro

Comune di Montesarchio, in persona del Sindaco p.t. rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Modugno e Giuseppe Abbamonte, con domicilio eletto presso il secondo in Napoli, viale Gramsci, 16;

Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesistici di Caserta e Benevento, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domiciliano ex lege in Napoli, via A. Diaz n.11;

e con l’intervento di ad adiuvandum:

A.F. e altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso Antonio Palma in Napoli, via G.Orsini,30;

ad opponendum:

Assoocentro S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’avvocato Raffaele Moreno, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via Ferdinando Galiani n.8;

sul ricorso n. 4123/10 R.G., proposto da:

F.M. & (ampersand) C. Srl, in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dagli avvocati Felice Laudadio, Luigi Signoriello e Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso il primo in Napoli, via Caracciolo n.15;

contro

Comune di Montesarchio in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Abbamonte, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, viale Gramsci, 16;

Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, in persona del Ministro p.t. rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domicilia ex lege in Napoli, via A. Diaz, 11;

Soprintendenza per i Beni Architettonici di Caserta e Benevento, in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domicilia ex lege in Napoli, via A. Diaz, 11;

e con l’intervento di ad adiuvandum:

Universita’ degli Studi del Sannio, in persona del Rettore p.t. e Universita’ degli Studi di Napoli Federico II, in persona del Rettore p.t. rappresentate e difese dall’avv. Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso Antonio Palma in Napoli, via G. Orsini,30;

A.F. e altri, rappresentati e difesi dall’avv. Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso Antonio Palma in Napoli, via G.Orsini,30;

ad opponendum:

Assocentro S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’avvocato Raffaele Moreno, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via Ferdinando Galiani n.8;

sul ricorso n. 1457/ 11 R.G., proposto da:

F.M. e C. S.a.s., in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’avvocato Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso Antonio Palma in Napoli, via G. Orsini, 30;

contro

Comune di Montesarchio in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Abbamonte, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, viale Gramsci, 16;

Regione Campania, in persona del Presidente p.t., non costituita in giudizio;

Soprintendenza Beni Archittettonici e Paesistici e Patrimonio storico, artistico e etno. delle Province di Caserta e Benevento, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio; Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, in persona del Ministro p.t. rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domicilia ex lege in Napoli, via A. Diaz, 11;

e con l’intervento di ad opponendum:

Assocentro s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. rappresentato e difeso dall’avvocato Raffaele Moreno, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via Ferdinando Galiani n.8;

sul ricorso n. 4465/11 R.G., proposto da:

Industria Olearia B.M. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’avvocato Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via G.Orsini n.30, presso l’avvocato Antonio Palma;

contro

Comune di Montesarchio in persona del Sindaco p.t.;

Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali e Soprintendenza Beni Archittettonici e Paesistici e Patrimonio storico, artistico e etno. delle Province di Caserta e Benevento, in persona dei rispettivi legali rappresentanti , rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domiciliano ex lege in Napoli, via A. Diaz, 11;

sul ricorso n. 4580/11 R.G., proposto da:

Comune di Montesarchio in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Abbamonte, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, viale Gramsci, 16;

contro

Provincia di Benevento, in persona del presidente p.t. e Ing.Luigi Fusco quale Commissario ad acta, non costituiti in giudizio;

Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali e Soprintendenza Beni Archittettonici e Paesistici e Patrimonio storico, artistico e etno. delle Province di Caserta e Benevento, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domiciliano ex lege in Napoli, via Diaz, 11;

nei confronti di

1. Spa, Industria Olearia B.M. Srl, F.M. & (ampersand) C. Srl, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t. rappresentate e difese dall’avvocato Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso in Napoli, via G.Orsini,30, presso l’avvocato Antonio Palma;

e con l’intervento di ad adiuvandum:

Assocentro S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’avvocato Raffaele Moreno, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via Ferdinando Galiani n.8;

sul ricorso n. 4713/11 R.G., proposto da:

1. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’avvocato Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via G.Orsini n.30, presso l’avvocato Antonio Palma;

contro

Comune di Montesarchio in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Abbamonte, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, viale Gramsci, 16;

Provincia di Benevento, in persona del presidente p.t. e Ing.Luigi Fusco quale Commissario ad acta, non costituiti in giudizio;

Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali e Soprintendenza Beni Archittettonici e Paesistici e Patrimonio storico, artistico e etno. delle Province di Caserta e Benevento, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domiciliano ex lege in Napoli, via Diaz, 11;

Regione Campania in persona del Presidente p.t., non costituita in giudizio;

e con l’intervento di ad opponendum:

Assocentro S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’avvocato Raffaele Moreno, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via Ferdinando Galiani n.8;

sul ricorso N. 5120/11 R.G., proposto da:

F.M. & (ampersand)C. S.r.l., Industria Olearia B.M. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dall’avvocato Gherardo Maria Marenghi, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via G.Orsini n.30, presso l’avvocato Antonio Palma;

contro

Comune di Montesarchio in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;

Provincia di Benevento, in persona del presidente p.t. e Ing.Luigi Fusco quale Commissario ad acta, non costituiti in giudizio;

Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali e Soprintendenza Beni Archittettonici e Paesistici e Patrimonio storico, artistico e etno. delle Province di Caserta e Benevento, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domiciliano ex lege in Napoli, via Diaz, 11;

Regione Campania in persona del Presidente p.t., non costituita in giudizio;

per l’annullamento quanto al ricorso n. 4206/03 R.G.:

dell’ordinanza n 8/03 di ripristino stato dei luoghi.

Nonché mediante motivi aggiunti:

del Provv. n. 1329 del 18 gennaio 2011;

del verbale n. 7147 del 25.3.2009;

della relazione n. 236/SUE del 27.4.2009;

nonché mediante ulteriori motivi aggiunti

del Provv. n. 13367 del 5 novembre 2007;

del Provv. n. 14249 del 15 luglio 2011;

dell’ordinanza di demolizione n. 44 del 21.5.2009;

della nota n. 8594 del 19.4.2011.

quanto al ricorso n. 4123 del 2010:

dell’ordinanza n.8892/2010 con la quale si dichiara decaduto il permesso di costruire in sanatoria.

Della direttiva sindacale n. 8295 del 2.4.2010;

del permesso di costruire n. 63 del 31.7.2008 in parte qua;

nonché mediante motivi aggiunti:

del Provv. n. 9480 del 4 maggio 2011;

della relazione di accertamento n. (…)/SUE del 18.6.2007;

dell’ordinanza di sospensione lavori n. 54 del 26.6.2007;

dell’ordinanza dirigenziale n. 78 del 20.9.2007;

della relazione n. 530 del 7.10.09;

dei Provv. n. 8892 del 13 aprile 2010, Provv. n. 12399 del 28 maggio 2010, Provv. n. 193/SE del 19 maggio 2010;

quanto al ricorso n. 1457 del 2011:

ordinanza n. 8 del 29/01/2003 di ripristino dello stato dei luoghi e successivo provvedimento di acquisizione al patrimonio disponibile del Comune di Montesarchio di una parte del capannone ubicato in area P.I.P., in catasto al f. 33, p.lla 234;

della relazione n. 13 UTC del 24.1.2009;

del piano paesistico regionale;

del Provv. n. 1329 del 18 gennaio 2011; del verbale n. 7147 del 25.3.2009, della relazione n. 236/SUE del 27.4.2009, dell’ordinanza dirigenziale n. 44 del 21.5.2009;

quanto al ricorso n. 4465 del 2011:

del Provv. n. 9480 del 2011 di acquisizione gratuita al patrimonio comunale emessa dal Comune di Montesarchio;

della relazione di accertamento del 18.6.2007 n. 12949;

dell’ordinanza dirigenziale n. 78 del 20.9.2007;

della relazione n. 530 del 7.10.09;

dei Provv. n. 8892 del 13 aprile 2010, Provv. n. 12399 del 28 maggio 2010, Provv. n. 193/SE del 19 maggio 2010;

quanto al ricorso n. 4580 del 2011:

del decreto della Provincia di Benevento n.20/2011 con il quale è stato nominato un commissario ad acta.

Dei successivi provvedimenti del commissario ad acta del 16 giugno 2011;

quanto al ricorso n. 4713 del 2011:

del provvedimento del commissario ad acta n.3/2010 avente ad oggetto accertamento di conformità urbanistica e compatibilità paesaggistica della pratica edilizia n.18995/2004 presentata dalla ditta ricorrente.

quanto al ricorso n. 5120 del 2011:

dei provvedimenti emessi dal comm.ad acta nominato dal presidente della Provincia di Benevento nn.7-8-9 del 15/06/2011 nella parte in cui determinano il non luogo a provvedere sulle domande di sanatoria n.16176/2009-22097/2010-16738/2010.

Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Montesarchio, del Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesistici di Caserta e Benevento, della M. Spa, di Industria Olearia B.M. Srl e di F.M. & (ampersand) C. Srl;

Visti gli interventi di giudizio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Data per letta nell’udienza pubblica del giorno 7 marzo 2012 la relazione del consigliere Paolo Corciulo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo

In data 11 ottobre 2001 la società M. s.p.a. presentava al Comune di Montesarchio istanza n. 19098 per il rilascio di titolo edilizio per la realizzazione di un opificio industriale per la produzione di olii alimentari su un appezzamento di terreno di sua proprietà ubicato in area P.I.P. fol. 33, particelle 183/A,225/A,216,218 e 219, di superficie pari a 28.141 mq per una volumetria di 56.282 mc.

In data 1 marzo 2002, acquisito il parere favorevole della Commissione Edilizia e maturato il silenzio assenso rispetto alla Soprintendenza, il Comune di Montesarchio rilasciava alla M. s.p.a. la concessione edilizia n. 4/2002 per la costruzione dell’opificio, consistente in due fabbricati di forma rettangolare, disposti a forma di elle rovesciata, con annesse opere di risistemazione del piazzale antistante e realizzazione di parcheggi e aree a verde.

A seguito di un esposto presentato da soggetti privati che lamentavano la scomparsa di una strada e la copertura di un vecchio torrente, il Comune di Montesarchio disponeva in data 15 gennaio 2003 un sopralluogo; all’esito della verifica, si accertava che, in difformità dalla concessione edilizia, la lunghezza dell’opificio era stata aumentata di 50 mt e la superficie di 4.000 mq, interessando anche la fascia di rispetto di mt 80 di cui all’art. 9 del piano paesistico; riguardo al torrente, si accertava che parte di esso confinante con la proprietà della società era stata coperta per circa 60 mt, mentre per la restante parte vi era una tubazione in pvc di mt 0,50 di diametro,parzialmente interrata e quindi visibile.

Con riferimento alla strada si acclarava che l’originario tracciato di quella catastalmente denominata via Pagliarone II, che attraversava la proprietà della società, non era più visibile, in quanto l’intera zona era stata pavimentata con pietrame; infine, lo sbocco della strada risultava ostruito da alcune staffe di ferro che fuoriuscivano dalle fondazioni di un muro di recinzione della proprietà, sormontato da ringhiera metallica di altezza di circa un metro e lungo 400 metri.

Ricevuta la relazione di sopralluogo del 24 gennaio 2003, il Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale di Montesarchio, con ordinanza n. 8 del 29 gennaio 2003, ingiungeva alla società M. s.p.a. il ripristino dello stato dei luoghi in riferimento alle dimensioni eccedenti del manufatto, anche in considerazione della violazione della distanza minima rispetto alla riva del torrente, alla copertura del medesimo corso d’acqua, alla cancellazione del tracciato originario ed ostruzione della strada Pagliarone II, nonché per la realizzazione del muro di recinzione.

Avverso tale ordinanza la società M. s.p.a. proponeva ricorso a questo Tribunale Amministrativo Regionale, rubricato al n. 4206/03 R.G., chiedendone l’annullamento.

Mentre con il primo e secondo motivo di impugnazione veniva contestata la mancata comunicazione di avvio del procedimento e del parere della commissione edilizia, con la terza censura la società ricorrente deduceva che la totale difformità di un’opera rispetto al titolo edilizio che ne ha legittimato la realizzazione non consiste in modifiche che ne abbiano alterato, anche in modo rilevante, la struttura o la volumetria, ma nel sostanziarsi essa in una costruzione completamente nuova e diversa, tale non essendo un incremento di lunghezza dell’edificio progettato di mt. 50.

Inoltre, nessun fondamento avrebbe avuto la violazione dei limiti di distanza dal torrente denominato Badia, previsto dal piano paesistico e dal D.Lgs. n. 490 del 1994 , dal momento che si tratterebbe, più riduttivamente, di un impluvio naturale di piccole dimensioni, in parte già declassato dall’Ufficio del Demanio; del resto, lo stesso Comune di Montesarchio aveva in corso di realizzazione una fognatura che non rispettava i limiti di distanza da tale corso d’acqua.

Quanto alla contestata copertura del torrente, la società ricorrente rilevava che per le attività di movimento terra non occorreva munirsi di alcun titolo edilizio, così come nemmeno per il rifacimento di un tracciato stradale che costituisce un intervento di manutenzione ordinaria; analogamente si deduceva riguardo all’apposizione di staffe di ferro sulla strada e per la realizzazione del muro di recinzione.

Si costituiva in giudizio il Comune di Montesarchio concludendo per il rigetto del ricorso, evidenziando che l’intero territorio comunale è sottoposta alla normativa del P.T.P. del Massiccio del Taburno, il cui art. 9 delle Norme di Attuazione pone una fascia minima di rispetto dai cigli spondali dei corsi d’acqua di 80 mt.

Con memoria depositata in data 14 ottobre 2010, nel costituirsi un nuovo difensore in aggiunta a quello originario, il Comune di Montesarchio eccepiva l’inammissibilità del ricorso per omessa notifica al Ministero BB.AA.CC. e alla locale Soprintendenza, titolari di un potere consultivo di natura vincolante sull’istanza di rilascio dell’originario titolo concessorio, essendo l’intera zona compresa nel P.T.P. del Taburno; in termini analoghi si eccepiva l’omessa notifica dell’impugnazione alla Regione Campania, settore provinciale del Genio civile, titolare del potere di accertamento delle violazioni alla normativa antisismica.

Spiegavano intervento ad adiuvandum in giudizio 203 dipendenti del Gruppo M. s.p.a.

Intanto, con nota n. 7494 del 14 aprile 2004 – successivamente integrata con istanza n. 11465 dell’8 giugno 2004 – la M. s.p.a. aveva presentato istanza di sanatoria edilizia, ottenendo il rilascio del permesso di costruire n. 29 del 2 maggio 2005, subordinato all’esecuzione della variazione catastale delle opere eseguite, al deposito in sanatoria degli atti al Genio Civile ed alla osservanza delle norme del P.T.P., in particolare gli artt. 7 e 9, secondo comma.

Con nota del 25 marzo 2009 n. 7147 il responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale, rilevando che le prescrizioni al permesso di costruire in sanatoria non erano state adempiute, disponeva verifiche ed indagini al riguardo; in data 9 aprile 2009 funzionari comunali eseguivano un sopralluogo – su cui relazionavano al dirigente con nota SUE n. 236 del 27 aprile 2009 – accertando sia l’inosservanza delle prescrizioni al permesso di costruire, sia la realizzazione di nuove opere abusive.

In particolare, riguardo al primo oggetto di accertamento, si rilevava che:

1) non era stata realizzata la parete divisoria tra la parte sanata del capannone e quella oggetto di procedimento amministrativo;

2) l’altezza interna dell’edificio e quella esterna del fronte, rispettivamente di mt. 6,60 circa e mt. 9,10 erano superiori a quelle di progetto, pari a mt. 6,00e mt. 8,40;

3) le altezze interne dei locali destinati a uffici e servizi, per il piano terra di mt. 4,08 e per il primo piano di mt. 2,90, erano superiori a quelle progettate, rispettivamente di mt. 3,53, e mt. 2,44;

4) vi era una diversa distribuzione interna dei predetti locali;

5) era mancato il completamento del locale destinato a deposito stoccaggio delle acque;

6) era mancata la realizzazione delle aree esterne;

7) la quota altimetrica del piazzale era inferiore di mt1,25 rispetto al dato di progetto;

8) era mancata la demolizione del muro di recinzione a confine con la strada comunale zona P.I.P.

Relativamente alle nuove opere si accertava l’esistenza:

  1. a) di un manufatto in struttura metallica di 400 mq destinato a locale tecnico;
  2. b) di un locale adibito a cabina per l’alloggio della pompa dell’acqua di 14 mq;
  3. c) di due cancelli scorrevoli di lunghezza ciascuno di mt 12 circa lungo il muro prospiciente la strada comunale P.I.P.;
  4. d) di un muro di lunghezza di mt 83 circa sul lato sud del fondo a 10 metri di distanza dalla parte del capannone.

Con ordinanza n. 44 del 21 maggio 2009, notificata alla società in data 22 maggio 2009, il responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Montesarchio, richiamando la relazione istruttoria, disponeva il ripristino dello stato dei luoghi, sotto comminatoria di acquisizione delle opere e delle aree di sedime al patrimonio comunale.

Con atto n. 1329 del 18 gennaio 2011, il Comune di Montesarchio, nel rilevare che il permesso di costruire in sanatoria n. 29/2005 non aveva avuto riguardo anche alla parte di capannone interessata dalla fascia di rispetto fluviale, per la quale non vi era mai stata una richiesta in tal senso, richiamando la comunicazione di avvio del procedimento n. 7147 del 25 marzo 2009, nonché l’accertamento di inottemperanza all’ordine di demolizione n. 8 del 2003 eseguita con nota n. 236 del 27 aprile 2009, procedeva all’acquisizione al patrimonio comunale della parte di capannone e relativa area di sedime non oggetto di sanatoria e segnatamente identificata con atto n. 10/SE in pari data.

Avverso tale atto la M. s.p.a. ha proposto motivi aggiunti di impugnazione, notificati il 2 marzo 2011 e depositati il 15 marzo 2011.

Con tale atto integrativo del thema decidendum sono state proposte 14 censure, oltre ad una domanda di risarcimento danni.

Con la prima censura è stata lamentata la mancata adozione di un’autonoma ordinanza di demolizione, necessaria essendo intervenuta rispetto all’ordinanza n. 8 del 2003 una concessione in sanatoria che aveva ridotto e modificato l’entità e la consistenza delle opere abusive originariamente contestate; di tale carenza sarebbe conferma il criterio adottato per l’individuazione delle opere da acquisire, identificate per differenza rispetto a quelle sanate nel 2005.

Con il secondo motivo aggiunto è stata rilevata l’erronea identificazione da parte del Comune di Montesarchio della parte di capannone da acquisire, dal momento che, mentre si assume una sua posizione lineare e frontista rispetto alla sponda del torrente, in realtà tale posizione è obliqua per cui solo una parte violerebbe la distanza di 80 mt dalla sponda del torrente.

Con la terza censura aggiunta è stata dedotta la mancata comunicazione dell’ordinanza di demolizione all’autorità statale titolare del vincolo in violazione del quale sarebbe stata realizzata l’attività di edificazione dell’opificio.

In quarto luogo è stata dedotta l’incompetenza del Comune di Montesarchio sia a provvedere in merito alla violazione di una norma di tutela paesaggistica, qual è l’art. 9 del P.T.P. riferibile alla distanza minima dal torrente Badia, sia riguardo all’acquisizione al patrimonio immobiliare, sanzione non prevista in caso di violazione di un vincolo paesaggistico.

Con il quinto motivo aggiunto è stata dedotta l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 9 delle norme di attuazione del P.T.P., non essendo configurabile alcun vincolo paesaggistico riferibile al torrente Badia; questo sarebbe al più un fosso, non inserito nell’elenco delle acque pubbliche della Provincia di Benevento; né ricorrerebbero i criteri oggettivi di rilevanza paesaggistica stabiliti dal D.Dirig. n. 261 del 2 luglio 2008 della Regione Campania; anzi, il corso d’acqua in esame sarebbe inserito nell’elenco regionale di quelli irrilevanti sotto il profilo paesaggistico, già con riferimento alle porzioni che scorrono nel territorio di altri comuni ed anche in prospettiva per il Comune di Montesarchio.

Altro profilo di illegittimità della verifica della violazione della fascia di rispetto sarebbe l’individuazione della medesima, calcolata come distanza retta e lineare e non anche seguendo l’andamento curvilineo della sponda, in tal modo giungendo a misurare una ampiezza di fascia superiore a 80 metri; ciò rileverebbe anche nella prospettiva di calcolare esattamente l’area di sedime da acquisire.

Con la sesta censura è stata rilevata la mancata indicazione nell’ordinanza di demolizione n. 8 del 2003 della sanzione dell’acquisizione del bene e dell’area di sedime in caso di inottemperanza, essendo soltanto stata prospettata l’esecuzione delle opere di demolizione in danno.

La settima censura ha riguardato l’impossibilità di procedere alla demolizione ed acquisizione delle opere, dal momento che formano un corpo unico con la parte di manufatto oggetto della sanatoria del 2005 e dalla stessa non fisicamente e funzionalmente separabile.

Con l’ottavo motivo è stata denunciata la carenza di motivazione e di istruttoria, non avendo l’amministrazione comunale valutato la modificazione della situazione di fatto conseguente alla sanatoria di parte dell’opificio, con consequenziale impossibilità di demolizione.

Nel nono motivo aggiunto è stata dedotta la mancata comunicazione di avvio del procedimento, indispensabile dal momento che rispetto alla originaria ordinanza di demolizione n. 8 del 2003, vi era stata una parziale sanatoria che avrebbe dovuto imporre una rinnovazione del procedimento a cui la società ricorrente avrebbe dovuto essere posta nelle condizioni di partecipare.

Con il decimo motivo aggiunto è stato poi dedotto che, in presenza di una situazione di fatto diversa rispetto al 2003, quindi all’ordinanza di cui si assume l’omessa esecuzione spontanea, trattandosi di un abuso parziale, l’amministrazione avrebbe dovuto motivare la propria scelta sanzionatoria in applicazione del principio di proporzionalità.

Con l’undicesimo motivo aggiunto è stata rilevata la mancata verifica tecnica da parte del Comune di Montesarchio in merito all’eseguibilità della demolizione per solo una parte del capannone.

Con il dodicesimo motivo aggiunto è stato poi evidenziato che, non avendo la ricorrente la materiale detenzione dell’immobile – nella attuale disponibilità della Industria Olearia B.M. s.r.l.- l’unica sanzione applicabile sarebbe la demolizione in danno, tra l’altro prospettata nell’ordinanza n. 8 del 2003, e non anche l’acquisizione al patrimonio comunale.

Con il penultimo motivo aggiunto è stata lamentata la mancata notificazione del verbale di accertamento di inottemperanza all’obbligo di demolizione, verifica comunque mancata nel caso di specie, essendosi i funzionari del Comune limitati riscontrare le opere eseguite in esecuzione del permesso di costruire in sanatoria n. 29 del 2005.

Da ultimo si assume che il codice dell’ambiente non prevederebbe l’acquisizione al patrimonio in caso di eventuale violazione delle fasce di rispetto di tutela paesaggistica.

Con ulteriore atto, notificato il 10 marzo 2011 e depositato il 15 marzo 2011 – congiuntamente ai motivi aggiunti che precedono – la ricorrente ha proposto ulteriori motivi di impugnazione; in primo luogo ha rilevato che erano state presentate due istanze di sanatoria, la prima recante il n. 7494 prot. del 14 aprile 2004 e successiva integrazione n. 11465 dell’8 giugno 2004, relativa all’ampliamento del capannone mediante la realizzazione di una campata in più verso est e la chiusura della zona silos, la seconda, avente il n. 18995 prot. del 14 ottobre 2004 e successiva integrazione n. 5719 del 6 aprile 2005, relativa ad un ulteriore ampliamento del capannone, mediante la realizzazione di tre campate in più verso est.

Ebbene, mentre sulla prima istanza il Comune di Montesarchio aveva provveduto, rilasciando il P.d.C. n. 29/05, sulla seconda era rimasto inerte, ciò nonostante procedendo alla successiva acquisizione al patrimonio comunale delle opere.

Con altra censura è stata dedotta la violazione dell’ art. 5 del D.P.R. del 20 ottobre 1998, n. 447, relativo a progetti implicanti la modifica di strumenti urbanistici; in tal senso, sarebbe mancata ogni valutazione sull’opportunità da parte del Sindaco di convocare una conferenza di servizi, trattandosi non già di un progetto difforme dagli strumenti urbanistici, ma di un’ipotesi in cui lo stesso era conforme alla disciplina di settore, ma mancavano o erano insufficienti le aree da destinare all’iniziativa; in questo caso con la regola della prevalenza degli interessi in sede di conferenza, ben avrebbe potuto preferirsi quello alla sanatoria delle opere rispetto alla salvaguardia del territorio e dell’ambiente.

Con memoria depositata in data 11 marzo 2011 la difesa del Comune di Montesarchio ha eccepito l’inammissibilità dei motivi aggiunti per omessa impugnazione dell’ordinanza di demolizione n. 44 del 21 maggio 2009, provvedimento divenuto inoppugnabile.

A seguito dell’accertamento del 27 aprile 2009 la società M. s.p.a. il 29 aprile 2009 presentava istanza di permesso di costruire in sanatoria e con istanza del 30 ottobre 2009, sulla base del permesso di costruire n. 29 del 2 maggio 2005, richiedeva il rilascio del certificato di agibilità dell’opificio, che otteneva con il Provv. n. 3951 del 17 febbraio 2010.

In data 19 aprile 2011 con nota n. 8594 il Comune di Montesarchio comunicava l’avvio del procedimento di annullamento del certificato di agibilità, evidenziando che le opere realizzate non erano conformi a quelle descritte nel progetto connesso al permesso di costruire in sanatoria n. 29/05, provvedimento rispetto al quale si evidenziava una scorretta rappresentazione delle opere progettate riguardo alle altezze dei corpi di fabbrica.

Con Provv. n. 13367 del 5 luglio 2011, il Comune di Montesarchio annullava il permesso di costruire n. 29 del 2 maggio 2009; in primo luogo, si evidenziava l’erronea descrizione progettuale del manufatto, sia con riferimento all’originaria concessione edilizia n. 4 del 2002, sia riguardo al procedimento di sanatoria, essendo le dimensioni ivi indicate inferiori a quelle riportate nel progetto strutturale depositato presso l’ufficio del Genio Civile di Benevento con nota n. 171 del 19 marzo 2002; di conseguenza, giammai sarebbero stati rilasciati i richiamati titoli edilizi, in considerazione del superamento degli indici di fabbricabilità e di copertura massimi dio zona; in secondo luogo, si evidenziava l’inattendibilità della perizia tecnica del danno causato da intervento in zona vincolata presentata in allegato alla richiesta del permesso di costruire in sanatoria n. 29/05, per avere le minori dimensioni del manufatto ivi indicate determinato un erroneo convincimento nel Comune di Montesarchio in merito alle sanzioni da applicare per il rilascio della sanatoria; inoltre, pure infedele si era rivelata la domanda di rilascio del certificato di agibilità del 30 ottobre 2009; infine non risultavano ottemperate due delle prescrizioni speciali di cui al permesso di costruire n. 29/05, oltre ad essere stati rilevati ulteriori abusi edilizi e paesaggistici sul manufatto oggetto di sanatoria.

In data 15 luglio 2011 con Provv. n. 14249 l’Amministrazione comunale annullava anche il certificato di agibilità n. 3951 del 17 febbraio 2010, sia per l’avvenuto annullamento del permesso di costruire in sanatoria n.29 del 2 maggio 2005, sia per infedele rappresentazione delle dimensioni del manufatto nel progetto presentato in sede di sanatoria rispetto a quanto depositato presso l’ufficio del Genio Civile di Benevento.

Avverso i predetti provvedimenti di annullamento la società ricorrente ha proposto motivi aggiunti, notificati in data 5 agosto 2011 e depositati l’8 agosto 2011.

Con il primo sono stati dedotti profili di eccesso di potere per sviamento, assumendo che i provvedimenti impugnati sarebbero stati adottati all’esclusivo fine di chiudere l’opificio; indizi di tale illegittimo obiettivo sarebbero da individuarsi nell’avere assunto il Comune di Montesarchio la difformità urbanistica del manufatto ancora prima di procedere all’adozione degli impugnati atti di autotutela e segnatamente in sede di partecipazione alla conferenza di servizi indetta dalla Regione Campania per il rilascio di un provvedimento autorizzatorio all’emissione di fumi in atmosfera.

Con il secondo motivo aggiunto è stata rilevata l’assenza delle condizioni di cui all’ art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241 per procedere all’annullamento; in particolare, sarebbe mancata l’indicazione dell’interesse pubblico specifico ed attuale all’eliminazione di atti, la cui illegittimità si assumeva consistere nella mera mancata allegazione di una fedele tavola di progetto, poi correttamente trasmessa; sarebbe poi anche decorso un ragionevole arco temporale rispetto all’esercizio del potere di autotutela, atteso che erano ormai trascorsi cinque anni dalla realizzazione delle opere e dal rilascio del certificato di agibilità; in terzo luogo, sarebbe poi mancata ogni valutazione dell’interesse della società in termini di affidamento alla conservazione delle opere e delle opportunità occupazionali che lo stabilimento in piena attività aveva assicurato.

Con il terzo motivo aggiunto è stata poi rimarcata l’incidenza del termine di cinque anni rispetto al consolidamento dell’attività di produzione dell’opificio industriale.

Con la quarta censura poi sono state contestate le ragioni sostanziali addotte a sostegno degli impugnati provvedimenti di autotutela.

Innanzitutto, non sarebbe vero che non erano stati depositati gli atti progettuali all’ufficio del Genio Civile, circostanza comunicata al Comune di Montesarchio con nota del 31 marzo 2009; inoltre, il permesso di costruire n. 29/05 – così come la relazione di accertamento del 27 aprile 2009 n. 236 e l’ordinanza n. 44 del 2009 – non concernerebbe parti di opificio costruiti in violazione della fascia di rispetto fluviale, né conterebbe prescrizioni speciali di tipo demolitorio. La parte costruita entro la fascia di rispetto concernerebbe, infatti, solo le tre campate e non anche la struttura autonoma dell’opificio.

Ne discende che nessuna violazione di ordini o prescrizioni di demolizione esisterebbe come ragione di autotutela.

Non sussisterebbe poi un’infedele rappresentazione dei fatti, dal momento che ogni possibile questione concerneva l’erronea trasmissione di una tavola progettuale, poi sostituita con quella corretta, ottenendo sia il parere della Commissione edilizia, sia il nulla osta della Soprintendenza; proprio sulla scorta di tale nuova allegazione era stato rilasciato il certificato di agibilità e autorizzata l’installazione di un impianto fotovoltaico, in entrambi i casi dall’Amministrazione comunale. Infine, non sarebbe vero quanto asserito dal Comune di Montesarchio circa l’allegazione di una tavola progettuale non fedele come ragione di errore di calcolo nel risarcimento del danno ambientale e dei costi di costruzione, dal momento che per gli opifici industriali tali valori sono calcolati sulla base della superficie e non anche delle altezze, dati che non corrispondevano con quelli indicati nella tavola progettuale poi comunque sostituita.

In quinto luogo è stato contestato l’automatismo tra provvedimento di annullamento del permesso di costruire n. 29/05 e annullamento della certificazione di agibilità, trattandosi di due aspetti distinti già a livello di collocazione sistematica dei rispettivi istituti; né l’annullamento del certificato troverebbe giustificazione nell’assenza o enl venir meno delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico, valori a presidio dei quali ne è presupposto il rilascio.

Con la sesta censura è stata dedotta la violazione del principio di proporzionalità, in quanto a causa della mancanza di una tavola progettuale verrebbe messa a rischio l’esistenza di una azienda con oltre duecento dipendenti.

Con il settimo motivo aggiunto è stato rilevato che l’esistenza di un mero errore materiale, come l’allegazione di una tavola progettuale non conforme, non può incidere sulla dichiarazione di agibilità di opere ed impianti produttivi ai sensi dell’ art. 10 del D.P.R. n. 160 del 2010, né ai fini del collaudo secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 447 del 1998 .

Con la penultima censura è stata evidenziata la mancata comunicazione di avvio del procedimento volto all’annullamento del permesso di costruire in sanatoria n. 29/05, essendovi stato solo quello riguardante l’annullamento della certificazione di agibilità; violazione tanto più grave, ove si consideri che tra le cause di annullamento di tale ultimo atto figurava proprio l’eliminazione della sanatoria, rispetto alla quale la società ricorrente non aveva potuto esplicare alcuna partecipazione procedimentale.

Con l’ultima censura è stata dedotta la violazione dell’ art. 38 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per non avere l’Amministrazione, una volta caducato il permesso di costruire in sanatoria, valutato la possibilità di conservare il manufatto, sostanzialmente conforme alla disciplina urbanistica di zona.

E’ stata altresì proposta istanza di risarcimento dei danni.

Si sono costituiti in giudizio il Ministro per i BB.AA.CC. e il Soprintendente per i beni architettonici e paesistici di Caserta e Benevento che hanno chiesto l’estromissione dal giudizio per carenza di legittimazione passiva.

Ha spiegato intervento ad opponendum la società Assocentro s.r.l., titolare di un centro commerciale sito in adiacenza all’opificio della ricorrente M. s.p.a.

La ricorrente ha eccepito l’irritualità di tale intervento per mancanza di procura speciale.

In vista dell’udienza di discussione sono state depositate memorie conclusionali e di replica.

Altra vicenda aveva inizio con la richiesta di rilascio di permesso di costruire presentata dalla F.M. & (ampersand) C. s.a.s. al Comune di Montesarchio per la realizzazione alla via Badia fol 33, particelle n. 243 e 160 di un opificio industriale per la creazione di “preforme” in PET per contenitori di grossa capienza; l’istanza veniva accolta con il rilascio del permesso di costruire n. 28 del 30 novembre 2004.

Con successiva istanza del 10 febbraio 2006 la società chiedeva il rilascio di permesso di costruire in variante al P.d.C. n. 28/04, per la realizzazione anche di un Centro Ricerche per la creazione di “preforme” in PET per contenitori di grossa capienza; anche tale istanza veniva accolta con il rilascio del permesso di costruire n. 38 del 16 maggio 2006.

A seguito di esposti presentati da privati in data 20 febbraio e 16 marzo 2007 tecnici del Comune di Montesarchio compivano un sopralluogo il 16 maggio 2007, constatando che le opere consistevano in due manufatti, il primo destinato ad opificio ed il secondo a Centro Ricerche; l’accertamento consentiva di verificare l’esistenza di lavori realizzati in difformità rispetto all’edificio destinato a Centro Ricerca, al capannone industriale e alle opere di recinzione.

Specificamente, in relazione al Centro Ricerche, la distanza dal confine sud con la strada comunale zona p.i.p., pari a ml 23,70, era inferiore a quella di progetto – che era di 26,15 ml – di 2,50 ml; la distanza dal confine ovest dal confine stradale era di 11,30 ml, quindi inferiore di ml 2,19 rispetto a quella da progetto che misurava ml. 13,49; le distanze tra i due edifici in costruzione risultavano di 5 metri sul lato est e di 6,60 ml sul lato nord, difformi da quelle di progetto rispettivamente di ml 3,00 e 5,00.

In riferimento al capannone industriale, invece, si accertava che la distanza tra il confine nord e precisamente tra lo spigolo nord ovest e il confine con la proprietà privata della Legno Design Napoletano s.r.l., è di circa 14,50, difforme da quella di progetto che misurava 12,18 ml. L’altezza dello stabilimento misurata dal piano terra risultava di mt. 9 rispetto a quella progettata di ml. 10.

Quanto alle opere di recinzione, si accertava l’esistenza di un muro in c.a. di 120 ml lungo il confine sud prospiciente la strada comunale della zona p.i.p.; ancora, risultava realizzato lungo il lato ovest del fondo un muro di cemento armato di 50 ml; altro muro di contenimento lungo 240 ml risultava presente lungo il confine nord a confine con la proprietà ditta Legno Design Napoletano s.r.l.

Tutte tali opere risultavano difformi rispetto al permesso di costruire n. 38 del 16 maggio 2006 che comprendeva solo un muro di recinzione alto ml. 0,70 lungo la viabilità di piano e comunque da arretrarsi di ml10 rispetto al confine stradale.

Con ordinanza n. 54 del 26 giugno 2007 il Comune di Montesarchio intimava la sospensione dei lavori, eseguendo un ulteriore sopralluogo in data 20 luglio 2007, all’esito del quale accertava che la distanza tra lo stabilimento ed il torrente Badia era conforme alle prescrizioni di piano, ma che l’altezza esterna dell’edificio destinato a Centro Ricerca era di 12,80 ml dal piano di campagna, quindi superiore a quella di progetto pari a 10 ml.

Con ordinanza n. 78 del 20 settembre 2007 il Comune di Montesarchio ingiungeva alla società M.F. & (ampersand) C s.a.s. la demolizione delle opere abusivamente accertate con il sopralluogo del 16 maggio e del 20 luglio 2007, dando atto della presentazione di una istanza di sanatoria in data 26 luglio 2007.

In data 27 marzo 2008 con nota n. 6802 la società M.F. & (ampersand) C. s.a.s. presentava istanza di permesso di costruire in sanatoria, riscontrata favorevolmente dal Comune di Montesarchio con il rilascio del P.d.C. n. 63 del 31 luglio 2008. Il provvedimento concerneva la sanatoria del muro di contenimento lato nord di altezza variabile da mt 1,50 a mt 3,40 e la minore altezza del capannone di 9 metri rispetto ai 10 di cui al progetto.

Il Comune poneva alcune condizioni speciali, tra cui figurava la demolizione entro 12 mesi dal rilascio del permesso di costruire della palazzina uffici per la parte eccedente i 10 mt assentiti, del muro di recinzione e contenimento posto sul lato ovest – oltre a sistemazione dell’area circostante come da progetto – e di quello di cemento armato posto lungo il confine sud; infine, pure avrebbe dovuto essere demolito un locale tecnico abusivamente realizzato sul lato nord.

In data 20 agosto 2009 il Comune di Montesarchio disponeva un ulteriore sopralluogo, all’esito del quale si accertava la mancata demolizione della palazzina uffici per la parte eccedente i 10 mt – per la quale il 29 luglio 2009 la società aveva presentato un’istanza di permesso di costruire in sanatoria – nonché quella del muro di recinzione posto sul lato ovest; né era stata sistemata l’area circostante; il muro di cemento armato sul confine sud risultava invece in parte demolito. Infine, non era stato depositato il progetto esecutivo per le aree standard.

Erano poi stati rinvenuti alcuni interventi mai autorizzati e specificamente la pavimentazione industriale in cls dello spiazzo esterno dell’edificio ed una rampa in calcestruzzo per autocarri in aderenza al capannone sulla parte nord.

Previa direttiva sindacale n.8295 del 2 aprile 2010, il responsabile del settore edilizia abusivismo, con determinazione n. 8892 del 13 aprile 2010, assumendo la portata dilatoria della richiesta di sanatoria presentata, dichiarava la decadenza dal P.d.C. n. 63 del 31 luglio 2008 per mancata ottemperanza entro il termine del 30 luglio 2009 alle condizioni speciali di demolizione ivi imposte, incaricando il r.u.p. di dare avvio al procedimento di acquisizione delle opere al patrimonio comunale, ai sensi dell’ art 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per effetto dell’ordinanza di demolizione n. 78 del 29 settembre 2007, rimasta inottemperata.

Avverso tale provvedimento la F.M. & (ampersand) C. s.r.l. ha presentato ricorso a questo Tribunale, rubricato al n. 4123/10 R.G., chiedendone l’annullamento.

Con il primo motivo di impugnazione, dopo aver rilevato che la comminatoria di inefficacia era stata indicata solo nelle condizioni speciali del P.d. C n. 63/08 e che comunque si tratterebbe di una conseguenza diversa rispetto alla decadenza, parte ricorrente ha lamentato la mancata attivazione delle necessarie garanzie procedimentali.

In secondo luogo privo di fondamento giuridico sarebbe l’effetto decadenziale dal titolo edilizio de quo, dal momento che l’ art. 15 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ne sancisce l’avveramento nei soli casi di mancato inizio e completamento dei lavori, rispettivamente entro il termine di uno e tre anni; in ogni caso la fissazione nel permesso di costruire in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008 di un termine di dodici mesi per la demolizione di parte delle opere, oltre ad essere irragionevole in relazione alla concreta consistenza dell’opificio, violerebbe la garanzia minima che la normativa di settore prevede per simili interventi, cioè tre anni.

Con il terzo motivo di impugnazione è stato contestato l’assunto di dare reviviscenza di efficacia all’ordinanza di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007, provvedimento definitivamente superato dal P.d.C. n. 63 del 2008, per cui occorreva comunque che l’Amministrazione comunale adottasse una nuova ingiunzione di demolizione.

Con la quarta censura è stata poi contestata l’illegittima pretermissione dell’istanza di sanatoria del 29 luglio 2009, sbrigativamente qualificata dal Comune di Montesarchio come dilatoria, mentre avrebbe dovuto essere esaminata per poi eventualmente procedere oltre nel procedimento sanzionatorio; relativamente alla stessa, era mancata anche la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di cui all’ art. 10 bis della L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.

Con il quinto motivo è stato contestato che nel caso in esame si sia in presenza di opere in totale difformità dal titolo edilizio; innanzitutto, perché considerando il complesso industriale come funzionalmente unitario – quindi a prescindere dalla separazione fisica dei singoli elementi che lo compongono – i volumi e le superfici realizzate sono inferiori a quelli di progetto; inoltre, ulteriori aspetti di contestata difformità il Comune li aveva rilevati quando i lavori erano in corso: ad esempio, l’altezza del Centro Ricerche, calcolata in mt. 12,80, era avvenuta prima che fosse ripristinato l’originario livello del piano di campagna. In tal senso del tutto illegittimamente era stata emanata l’ordinanza n. 78 del 20 settembre 2007.

L’inapplicabilità dell’ art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, imponeva di qualificare la fattispecie piuttosto nell’ambito di operatività dell’art. 34, quindi di parziale difformità dal permesso di costruire, imponendo all’Amministrazione di valutare l’eventuale pregiudizio che la demolizione avrebbe potuto arrecare alla parte di edificio legittimamente edificata; senza considerare le attività di ricerca e di collaborazione anche universitaria che verrebbero sacrificate dalla rigida applicazione della sanzione demolitoria.

Con l’ultima censura è stata dedotta la violazione dell’ art. 14 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non avendo tenuto conto il Comune di Montesarchio dell’opportunità di rilasciare un titolo edilizio in deroga agli strumenti urbanistici, essendo il complesso industriale, per le sue caratteristiche, da ritenersi come un’opera di pubblica utilità.

Si è costituito in giudizio il Comune di Montesarchio, eccependo l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione della nota della Soprintendenza n. 6598 del 1 aprile 2010 con cui era stata negata la compatibilità paesaggistica delle opere, insuscettibili di sanatoria ai sensi dell’ art. 146 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

Ha spiegato intervento ad adiuvandum in giudizio l’Università degli Studi del Sannio.

Con atto depositato in data 21 marzo 2011 per la società ricorrente si costituiva altro difensore oltre a quelli originari.

Successivamente con atto n. 8899 del 22 aprile 2011 il Comune di Montesarchio procedeva all’acquisizione al proprio patrimonio degli immobili ubicati al fol 33 particelle 320 e 301 sub 1,2, e 4, a seguito della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007. Tale atto veniva espressamente annullato e sostituito dalla Det. n. 9480 del 4 maggio 2011, avendo il Comune di Montesarchio rilevato che la particella 320 fol 33 era intestata non già alla F.M. & (ampersand) C. s.r.l., ma alla Industria Olearia B.M. s.r.l. (d’ora in avanti I.O.B.M.); nel provvedimento si rappresentava l’avvenuta acquisizione al patrimonio comunale con atto n. 12399 del 28 maggio 2010 dell’edificio adibito a Centro Ricerche ubicato sulle particelle n.219 e 319 del fol. 33; ora, sempre a seguito del verbale di accertamento di inottemperanza del 19 maggio 2010 n. 193/SE, l’Amministrazione procedeva all’acquisizione delle altre opere oggetto dell’ordinanza di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007, appartenenti al complesso residenziale oggetto del P.d.C. in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008 di cui era stata dichiarata la decadenza della società F.M. & (ampersand) C. s.r.l.

Tale atto, oltre a quelli ritenuti ad esso presupposti, sono stati impugnati con motivi aggiunti notificati il 1 luglio 2011 e depositati il 27 luglio 2011; la ricorrente ha altresì proposto domanda di risarcimento dei danni.

Con il primo motivo aggiunto è stato evidenziato che le opere in questione non costituirebbero violazione di nessuna delle prescrizioni paesaggiste ed urbanistiche di zona, come confermato nel provvedimento del 15 giugno 2011 anche dal commissario ad acta nominato dalla Provincia di Benevento a seguito dell’inerzia serbata dal Comune di Montesarchio sulle istanze di accertamento di conformità delle opere n. 16738 del 29 luglio 2009, n. 16176 del 21 luglio 2009 e n. 22097 del 25 ottobre 2010. In ogni caso, non avrebbe potuto la resistente Amministrazione comunale proseguire nel procedimento sanzionatorio prima di aver concluso i procedimenti di sanatoria e comunque sulla base dell’ordinanza di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007, ormai superata dal P.d.C. in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008.

Con la seconda censura è stato dedotto che la società ricorrente mai sarebbe stata posta nelle condizioni di dare esecuzione all’ordinanza n. 78 del 20 settembre 2007; innanzitutto, perché l’efficacia della stessa era stata sospesa fino alla conclusione del procedimento di sanatoria, culminato nel P.d.C. n. 63 del 30 luglio 2008, titolo soltanto rispetto alla cui mancata ottemperanza avrebbe potuto il Comune di Montesarchio irrogare ulteriori sanzioni edilizie; invece, dopo appena trenta giorni dalla decadenza di tale permesso di costruire, dichiarata con atto n. 8892 del 13 aprile 2010, quindi prima dei novanta giorni rispetto ad una nuova ipotetica decorrenza dei termini per demolire, vi è stato l’accertamento dell’inottemperanza; inoltre, il verbale di accertamento di inottemperanza e l’atto di acquisizione sono stati notificati alla F.M. s.r.l. e alla I.O.B.M, mentre l’ordine di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007 era stato all’epoca notificato alla F.M. & (ampersand) C. s.r.l.

Con il terzo motivo aggiunto la società ricorrente ha rilevato che le difformità relative al capannone, ossia la minore altezza di 9 mt. rispetto ai 10 mt di progetto, nonché la minore distanza dal confine, si risolvono in un minimo scostamento che mai avrebbe potuto giustificare la sanzione della demolizione; inoltre, nessuna difformità riguarderebbe le prescrizioni poste dal P.d.C. in sanatoria del 31 luglio 2008 n. 63 che non contempla affatto il capannone.

Con la quarta censura si assume che l’intervento sanzionatorio limitato al solo Centro Ricerche avrebbe determinato un inammissibile frazionamento del titolo; di tanto si sarebbe avveduto anche il commissario ad acta che aveva ritenuto che le difformità non erano state tali da aumentare superfici e volumetria, concludendo per la conformità delle opere sia alle prescrizioni urbanistiche che paesaggistiche.

Aspetto poi di contraddittorietà consisterebbe nel fatto che il Comune di Montesarchio, se da un lato ha valutato la frazionabilità del complesso industriale al fine di risolversi nel senso del superamento degli indici di fabbricabilità, in fase di acquisizione ha poi ritenuto il complesso da un punto di vista unitario, acquisendolo interamente al patrimonio comunale, ossia anche il capannone rispetto al quale non erano state irrogate demolizioni e accertate condotte di inottemperanza.

La quinta censura è stata l’occasione per dedurre la mancata indicazione delle opere e delle aree da acquisire ad opera dell’ordinanza di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007.

In sesto luogo, è stata dedotta la carenza di motivazione e comunque la sproporzione tra le lievi violazioni accertate e la gravità delle sanzioni comminate.

Con il settimo motivo aggiunto è stata dedotta la violazione degli artt. 36 e 38 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non avendo il Comune di Montesarchio, rispetto alla decadenza dal titolo, proceduto a valutare l’opportunità di rilasciare un nuovo titolo abilitativo che consentisse di sanare le opere realizzate in maniera sostanzialmente legittima, applicando una sanzione pecuniaria.

Con la penultima censura è stato rilevato che il Comune, in presenza della violazione della normativa paesaggistica, non avrebbe potuto acquisire al proprio patrimonio le opere in questione ed anzi avrebbe dovuto esercitare il proprio potere di vigilanza congiuntamente al soggetto titolare della funzione di tutela del vincolo, attraverso idonea comunicazione.

Con l’ultimo motivo aggiunto è stata contestata la mancata comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio.

Si è costituito in giudizio il Ministero per BB.CC.AA, mentre il Comune di Montesarchio ha depositato memoria difensiva in data 15 settembre 2011 e depositato documentazione il 21 settembre 2011.

Ha spiegato intervento ad opponendum la Assocentro s.r.l. alla cui ammissiblità si è opposta la società ricorrente.

Con ulteriore ricorso, notificato in data 7 marzo 2011 e depositato il 15 marzo 2011, rubricato al n. 1457/11 R.G., la F.M. & (ampersand) C. s.a.s. ha impugnato l’ordinanza di demolizione n. 8 del 29 gennaio 2003, il provvedimento n. 1329 del 18 gennaio 2011, l’ordinanza dirigenziale n. 44 del 21 maggio 2009, introducendo censure sostanzialmente identiche a quelle proposte dalla M. s.p.a. nel ricorso n. 4206/03 R.G. attraverso i motivi aggiunti notificati il 7 marzo 2011 e depositati il 15 marzo 2011.

La legittimazione alla proposizione dell’azione si fonderebbe sulla qualità della società ricorrente di comodataria esclusiva dell’opificio, per effetto di scrittura privata del 30 dicembre 2002.

In tal senso, le doglianze, segnatamente nella parte in cui è stata contestata la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, hanno avuto riguardo alla posizione della F.M. & (ampersand) C. s.a.s. nella sua qualità di detentrice dell’opificio.

Anche in tal caso con ulteriore atto, notificato il 10 marzo 2011 e depositato il 15 marzo 2011, la ricorrente ha proposto ulteriori motivi di impugnazione, coincidenti con quelli ulteriori proposti dalla M. s.p.a. nel ricorso n. 4206/03 R.G. notificati il 2 marzo 2011 e depositati il 15 marzo 2011.

Si è costituito in giudizio il Ministero per i BB. AA. CC. chiedendo la propria estromissione dal giudizio e comunque il rigetto del ricorso.

Si è costituito in giudizio anche il Comune di Montesarchio.

Anche in tale giudizio ha spiegato intervento ad opponendum la Assocentro s.r.l., iniziativa di cui è stata contestata la ritualità da parte della ricorrente.

La vicenda processuale si è poi arricchita del giudizio n. 4465/11 R.G., a seguito di ricorso notificato il 1 luglio 2001 e depositato il 27 luglio 2001 dalla I.O.B.M. avverso la Det. n. 9480 del 4 maggio 2011 con cui il Comune di Montesarchio ha proceduto all’acquisizione al proprio patrimonio degli immobili ubicati al fol 33 particelle 320 e 301 sub 1,2, e 4 per effetto della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007

La legittimazione a ricorrere in capo alla I.O.B.M. era da ricondursi alla sua qualità di proprietaria della particella 320, fol 33.

I motivi di impugnazione erano i medesimi del ricorso per motivi aggiunti notificati il 1 luglio 2011 e depositati il 27 luglio 2011 nel giudizio n. 4123/10 R.G. proposto dalla F.M. & (ampersand) C. s.r.l.

Si è costituito in giudizio il Ministero per i BB. AA. CC. chiedendo la propria estromissione dal giudizio e comunque il rigetto del ricorso.

Nel prosieguo della narrazione della vicenda, con decreto n. 20 del 13 maggio 2010, il Presidente della Provincia di Benevento, in accoglimento di un’istanza del signor B.M., proposta nell’interesse delle società M. s.p.a., F.M. & (ampersand) C. s.r.l. e I.O.B.M. s.r.l., al fine del superamento dell’inerzia serbata dal Comune di Montesarchio su sette richieste di rilascio di permesso di costruire, nonostante fosse stata inoltrata rituale diffida a provvedere, nominava quale commissario ad acta l’Ingegnere Luigi Fusco.

Il commissario adottava in data 15 giugno 2010 sette provvedimenti, recanti numerazione progressiva da 3 a 9, con cui dichiarava il non luogo a provvedere sulle richieste, per essersi formato su di esse il silenzio rigetto di cui all’art. 36 e in alcuni casi (Provv. n. 3 , Provv. n. 7 , Provv. n. 8 e Provv. n. 9) anche per intervenuta acquisizione dei beni al patrimonio comunale.

Avverso il decreto presidenziale di nomina del commissario e contro i suoi provvedimenti ha proposto ricorso a questo Tribunale, rubricato al n. 4580/11 R.G., il Comune di Montesarchio, notificando l’atto introduttivo del giudizio in data 12 luglio 2011, con successivo deposito del 29 luglio 2011.

Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’ art. 21 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dell’art. 4 della L.R. n. 19 del 2001 e s.m.i., dal momento che l’intervento sostitutivo sarebbe consentito esclusivamente per i procedimenti volti al rilascio del permesso di costruire e non anche per le istanze di accertamento di conformità di cui all’ art. 36 del citato D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; in secondo luogo, il commissario avrebbe provveduto in carenza di istruttoria, non avendo accertato il contenuto delle istanze presentate e avendo ritenuto sussistente una compatibilità urbanistica e paesaggistica degli interventi richiesti, pur avendo considerato improcedibili le relative istanze e nonostante vi fosse stato il parere sfavorevole della Soprintendenza.

Con il terzo motivo di impugnazione il Comune di Montesarchio ha evidenziato come il commissario avesse provveduto, ritenendo la compatibilità paesaggistica e urbanistica degli interventi, senza aver compiuto alcun accertamento istruttorio rispetto a quanto già eseguito dai tecnici comunali; in particolare, nessuna competenza sussisteva in capo al commissario circa il regime paesaggistico delle opere de quibus, aspetto tra l’altro mai considerato dalle predette società istanti, che giammai avrebbero potuto comunque conseguire l’accertamento di compatibilità paesaggistica, dal momento che l’ art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004 non lo prevederebbe nelle ipotesi di creazione e aumento di superfici e volumi, come invece avvenuto nel caso di specie.

Infine, è stato ribadito che il Presidente della Provincia non avrebbe verificato la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere sostitutivo, in considerazione del fatto che tre degli interventi di cui alle richieste concernevano fattispecie di d.i.a. e non di richiesta del permesso di costruire.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dei BB.AA.CC. chiedendo la propria estromissione dal giudizio e comunque il rigetto del ricorso, nonché le società M. s.p.a., F.M. & (ampersand) C. s.r.l. e I.O.B.M. s.r.l. eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione per carenza di interesse del Comune di Montesarchio, non essendo state accolte le istanze per cui vi era stata la sostituzione commissariale.

Anche in tale giudizio ha spiegato intervento ad adiuvandum la Assocentro s.r.l.

Il provvedimento del commissario ad acta n. 3 del 15 giugno 2010, avente ad oggetto l’improcedibilità della richiesta n. 18995 del 14 ottobre 2004, è stato impugnato dalla M. s.p.a. con il ricorso n. 4713/11 R.G., notificato il 5 agosto 2011 e depositato il giorno 8 agosto 2011, assumendo la ricorrente la formazione del silenzio rifiuto che avrebbe dato ragione del contestato non luogo a procedere, essendo tale assunto smentito dall’art. 43 della L.R. 22 dicembre 2004, n. 16 che prevede, nel caso di superamento del termine per l’adozione di un provvedimento espresso, la possibilità della sostituzione commissariale.

In secondo luogo, non avrebbe potuto il commissario, nominato proprio per superare la condizione di mancata adozione di un provvedimento espresso, risolvere il suo compito in una decisione soprassessoria.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dei BB.AA.CC. chiedendo la propria estromissione dal giudizio e comunque il rigetto del ricorso, nonché il Comune di Montesarchio.

In tale giudizio ha spiegato intervento ad opponendum la Assocentro s.r.l..

I provvedimenti del commissario ad acta n. 7,8 e 9 del 15 giugno 2010, aventi ad oggetto l’improcedibilità delle richieste rispettivamente n. 1676 del 21 luglio 2009, n. 22097 del 25 ottobre 2010 e n. 16738 del 29 luglio 2010, sono stati impugnati dalla F.M. & (ampersand) C. s.r.l. e dalla I.O.B.M. s.r.l. con il ricorso n. 5120/11 R.G., notificato il 26 settembre 2011 e depositato il giorno 4 ottobre 2011, assumendo le ricorrenti la formazione del silenzio rifiuto che avrebbe dato ragione del contestato non luogo a procedere, essendo tale assunto smentito dall’art. 43 della L.R. 22 dicembre 2004, n. 16 che prevede nel caso di superamento del termine per l’adozione di un provvedimento espresso, la possibilità della sostituzione commissariale.

In secondo luogo, non avrebbe potuto il commissario, nominato proprio per superare la condizione di mancata adozione di un provvedimento espresso, risolvere il suo compito in una decisione soprassessoria.

Si è costituito in giudizio il Ministero dei BB.AA.CC. chiedendo la propria estromissione dal giudizio e comunque il rigetto del ricorso.

All’udienza di discussione del 7 marzo 2012, tutti ricorsi sono stati trattenuti per la decisione.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 70 c.p.a. la riunione dei ricorsi n. 4206/03 R.G., 4123/10 R.G, n. 1457/11 R.G, n. 4465/11 R.G., n. 4580/11 R.G., 4713/11 R.G., n. 5120/11 R.G., per ragioni di connessione oggettiva, trattandosi di vicende afferenti il medesimo complesso industriale, e soggettiva, interessando in prevalenza le controversie il Comune di Montesarchio e le società del gruppo imprenditoriale M..

Riguardo all’esame del ricorso n. 4206/2003 R.G. (M. s.p.a.), occorre preliminarmente respingere le eccezioni di inammissibilità del ricorso introduttivo sollevate della difesa del Comune di Montesarchio.

Infatti, secondo l’ art. 21 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, applicabile ratione temporis al caso in esame, il ricorso, oltre che ai controinteressati, deve essere notificato all’organo che ha emesso l’atto impugnato, nel caso di specie il Comune di Montesarchio, e non anche ad altri soggetti, ancorchè titolari di poteri consultivi, nemmeno se ad efficacia vincolante; dal momento che oggetto di impugnazione è stata l’ordinanza del Comune di Montesarchio di ripristino dello stato dei luoghi n. 8 del 29 gennaio 2003, solo tale ente deve ritenersi come autorità emanante e quindi contraddittore necessario.

Con riferimento agli altri litisconsorti, secondo condivisibile giurisprudenza l’intervento ad adiuvandum è ammissibile solo a tutela di posizioni giuridiche collegate o dipendenti da quella del ricorrente principale, risultando uno strumento utile alla tutela di situazioni che, in sé, non potrebbero essere garantite tramite l’impugnazione. Detta situazione consente la partecipazione al processo anche di soggetti aventi un mero interesse di fatto, rispettivamente all’accoglimento o alla reiezione dell’impugnativa proposta, sempre qualora si faccia valere una posizione diversa da quella del ricorrente e da questa condizionata (Consiglio di Stato IV Sezione 19 gennaio 2011 n. 385).

Ebbene, nel caso di specie deve ritenersi sussistente un interesse in capo ai dipendenti della M. s.p.a. volto al mantenimento di una condizione di produttività aziendale, tale da assicurare la conservazione della propria occupazione lavorativa; posizione che, se non li abilita a reagire direttamente avverso l’ordine di demolizione, di certo consente loro di partecipare al giudizio, in considerazione delle sfavorevoli ricadute indirette che gli effetti del provvedimento impugnato sarebbero idonei a determinare.

Per quanto concerne, invece, la posizione della Assocentro s.r.l., la titolarità di un centro commerciale posto nelle vicinanze dell’opificio radica senza dubbio l’interesse di tale società ad intervenire ad opponendum, in ragione di una vicinitas, sia fisica che funzionale, che identifica una posizione antagonista alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato; né si rivela fondata l’eccezione di mancanza di procura speciale eccepita dalla società ricorrente nella memoria depositata in data 4 ottobre 2001; rileva, infatti, il Collegio che l’atto di intervento contiene quanto stabilito nell’art. 50, primo comma c.p.a. che rinvia all’art. 40, comma primo, lettera d) c.p.a., risultando non solo la procura speciale, ma anche la sottoscrizione della parte autenticata dal difensore.

Passando all’esame nel merito del ricorso introduttivo, va respinto il primo motivo, non sussistendo, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, condiviso anche da questa Sezione, rispetto all’adozione di un ordine di ripristino in materia di violazioni edilizie alcun obbligo per l’amministrazione comunale di preventiva comunicazione di avvio del procedimento (ex multis, Consiglio di Stato IV Sezione 23 gennaio 2012 n. 282; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 9 febbraio 2012 nn. 692 e 696; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII 6 aprile 2011, n. 1945).

Quanto alla mancanza del parere della commissione edilizia, oggetto del secondo motivo, ritiene il Collegio che l’ordinanza di demolizione è atto dovuto in presenza dei presupposti indicati dall’ art. 31, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001, che non contempla il coinvolgimento di organi consultivi, e non deve quindi essere preceduta dal parere della predetta commissione, che non è titolare di alcuna competenza in merito, in quanto rimessa alla titolarità esclusiva di altro organo comunale (T.A.R. Campania Napoli VIII Sezione 9 febbraio 2012 n. 693).

Riguardo al terzo motivo, rileva il Collegio che, a proposito dell’edificazione dell’opificio, nel provvedimento di demolizione impugnato si fa espresso riferimento ad una “totale difformità da quanto autorizzato con la C.E. n. 4 del 1 marzo 2002. In particolare, la lunghezza del manufatto è stata aumentata di circa 50 mt e la superficie di circa mq 4.000, interessando anche la fascia di rispetto di mt. 80 di cui all’art. 9 delle N.T.A. del piano paesistico vigente”.

L’ art. 31, primo comma del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 stabilisce che “sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.

In tal senso, nel caso di specie ricorre senz’altro la prima delle due ipotesi di totale difformità descritte nella disposizione citata, non potendo sussistere alcun dubbio che un’eccedenza di superficie di ben 4.000 mq e di lunghezza di 50 mt dell’opificio imponga di ritenere realizzato un organismo edilizio integralmente diverso da quello progettato ed assentito.

Va aggiunto che, spettando al giudice sia la qualificazione giuridica del fatto assunto come oggetto del provvedere, sia l’interpretazione del provvedimento impugnato, in ogni caso le opere de quibus ricadono nella previsione della disposizione di cui all’ art. 31, primo comma del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sia perché non integralmente assentite da un titolo edificatorio, sia in quanto realizzate in variazione essenziale dallo stesso ai sensi dell’art. 32, primo comma lettera b) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ; come tali, il Comune di Montesarchio non poteva che ingiungerne la demolizione.

Sempre con riferimento al terzo motivo, la società ricorrente ha asserito che la violazione della distanza di 80 mt dal torrente Badia, imposta dal piano paesistico, non sussisterebbe, dal momento che tale corso d’acqua sarebbe niente di più che un impluvio naturale di piccole dimensioni, del quale sarebbe stata anche chiesta la sdemanializzazione; a sostegno dell’assunto la M. s.p.a. ha depositato una consulenza redatta dall’ingegnere A.S. in cui si illustra come il torrente Badia non avrebbe più le caratteristiche di un corso d’acqua.

L’argomentazione è priva di pregio.

L’art. 9 delle N.T.A. al P.T.P. che disciplina il territorio su cui sorgono le opere di cui al presente giudizio, al punto 2 – tutela dei corsi d’acqua, delle sorgenti e dei bacini idrografici – stabilisce che nei corsi d’acqua a profili trasversali con dislivelli inferiori a quelli sopra indicati (m. 20,0), per una fascia di mt. 80,0 a destra e sinistra del ciglio spondale è vietata la realizzazione di nuove volumetrie.

A giudizio del consulente di parte l’impluvio non avrebbe le caratteristiche di acqua pubblica, per cui non sarebbe un bene tutelabile e sarebbe, inoltre, stato già declassato dall’Ufficio del Demanio; in terzo luogo, lo stesso non sarebbe stato oggetto di analoghi provvedimenti di tutela da parte del Comune di Montesarchio, a riprova dello scarso interesse che suscita dai punti di vista idraulico ed ambientale; del resto, proprio l’ente comunale starebbe per realizzare una fognatura che segue il corso del torrente; infine, non esisterebbe alcun corso d’acqua che attraversa la proprietà della società ricorrente.

Innanzitutto, rileva il Collegio che nessun provvedimento di sdemanializzazione risulta adottato per il torrente Badia, emergendo dalla documentazione allegata all’atto di costituzione in giudizio del Comune di Montesarchio depositato il 24 maggio 2003 (foll. 50 e 51) invece che la richiesta in tal senso avanzata dalla società non si sarebbe mai potuta accogliere, in applicazione del divieto di cui all’ art. 41 del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, secondo cui “le aree del demanio fluviale di nuova formazione ai sensi della L. 5 gennaio 1994, n. 37 , non possono essere oggetto di sdemanializzazione”.

Né è dato comprendere, con riferimento all’osservanza di una prescrizione di divieto assoluto di edificare entro una determinata fascia di rispetto, come stabilito dall’art. 9 delle N.T.A. del P.T.P., quale rilevanza possa avere il fatto che il Comune di Montesarchio avesse in corso di realizzazione una fognatura – della quale non è stata nemmeno allegata una specifica contrarietà alle norme di salvaguardia ambientale – e che non avesse adottato altri provvedimenti a tutela del predetto corso d’acqua; non trattandosi di attività discrezionale, ma dell’osservanza di un vincolo eterodeterminato, il solo profilo che rileva ai fini della legittimità dell’azione amministrativa è che il Comune abbia rilevato e sanzionato la violazione da parte della società ricorrente dell’unico comportamento che la legge consente, segnatamente l’obbligo di non facere entro la fascia di rispetto.

Quanto poi allo stato dei luoghi, non risulta smentito quanto rappresentato nell’attestazione del Comune di Montesarchio n. 3440 del 14 maggio 2003 (fol 47 della richiamata produzione), secondo cui i terreni citati nell’istanza di sdemanializzazione sono interessati dalla fascia di rispetto dei corsi d’acqua di cui all’art 9 delle N.T.A. del P.T.P., né quanto rilevato nella nota n. 76969 del 7 aprile 2003 del Genio Civile (fol 51 della richiamata produzione), che attesta che l’alveo del torrente non ha subito alcuna variazione di percorso e nello stesso si riscontra il normale deflusso delle acque.

Ne discende che l’esistenza attuale del vincolo e quindi della fascia di rispetto costituisce un elemento non valutabile, né modificabile in questa sede.

Quanto all’ultima censura, con cui il provvedimento di demolizione è stato contestato perché non sussisterebbe alcuna necessità del previo rilascio di un titolo edilizio per la realizzazione di movimenti terra per la copertura del corso d’acqua, per il rifacimento di un tracciato stradale, per l’apposizione di staffe di ferro nel suolo e nemmeno per la realizzazione di un muro di recinzione alto appena un metro, il motivo è privo di pregio.

Riguardo all’attività di movimento terra, la giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare come la stessa non sia stata giudicata dal legislatore a priori irrilevante, poichè l’art. 6 del D.Lgs. 6 giugno 2001, n. 380 non l’ha ricompresa in alcuna delle ipotesi di attività edilizia libera (T.A.R. Sicilia Palermo Sezione III, 25 maggio 2005 n. 883); si è, quindi, ritenuto necessario verificare se essa in concreto sia o meno rilevante dal punto di vista edilizio, “stante la possibilità della esistenza di spostamenti di terreno insignificanti sotto il profilo del preesistente insediamento, per i quali non sussiste l’obbligo di munirsi di preventiva concessione edilizia, ovvero della esecuzione di rilevanti trasformazioni del territorio che invece tale preventivo rilascio richiedono, come affermato dalla giurisprudenza in materia” (T.A.R. Lazio, Sezione II ter, 8 maggio 2002 n. 4039).

Nel caso di specie, non può assolutamente dubitarsi della notevole rilevanza edilizia di un’attività di movimento terra volta alla copertura di un corso d’acqua, sia per l’entità dimensionale in sé dell’intervento, sia per la stabile e consistente modificazione dello stato dei luoghi che è idonea a determinare.

Inoltre, non possono ritenersi attività libere, né interventi di ordinaria manutenzione, come invece prospettato dalla società ricorrente, opere di rifacimento di una strada comunale, tali da renderne non più identificabile il tracciato originario e comunque da averne ostruito lo sbocco finale; attesa la notevole incidenza sul preesistente stato dei luoghi e la trasformazione permanente del territorio che determina, anche tale intervento deve qualificarsi come di nuova costruzione, per realizzare il quale sarebbe stato necessario il preventivo rilascio di un permesso di costruire, la cui assenza ha dunque pienamente giustificato l’adozione di un provvedimento di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi da parte del Comune di Montesarchio.

Riguardo al muro di recinzione, secondo un consolidato orientamento, condiviso anche dalla Sezione, la valutazione in ordine alla necessità del tipo di titolo abilitativo per la realizzazione di simili interventi va effettuata sulla scorta dei due parametri consistenti nella natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione (T.A.R. Campania VIII Sezione 14 gennaio 2010 n. 95; T.A.R. Campania VIII Sezione 27 febbraio 2009 n. 1151); nel caso in esame, trattandosi di un’opera di ben 400 metri lineari, avente struttura in cemento armato con sovrastante ringhiera, quindi con caratteristiche dimensionali e di stabilità tali da qualificarla come permanente ed incisiva trasformazione dello stato dei luoghi, per la relativa realizzazione sarebbe stato necessario il rilascio di permesso di costruire.

Passando all’esame dei motivi aggiunti notificati il 2 marzo 2011 e depositati il 15 marzo 2011, deve essere dichiarata l’irricevibilità del quinto, sesto e settimo motivo di impugnazione, ove riferiti a vizi propri dell’ordinanza di demolizione n. 8 del 29 gennaio 2003, già oggetto del ricorso introduttivo.

Invero, le contestazioni contenute in tali mezzi di impugnazione, ossia l’inconfigurabilità del torrente Badia come corso d’acqua ai fini dell’esistenza di un vincolo da fascia di rispetto (V motivo), la mancata comminatoria dell’acquisizione come conseguenza della mancata demolizione (VI motivo), nonché l’impossibilità di demolire parzialmente l’edificio (VII motivo), costituiscono elementi su cui ricade la valutazione dell’Amministrazione solo al momento dell’irrogazione della sanzione, assumendo invece l’accertamento dell’inottemperanza e l’acquisizione al patrimonio comunale rilevanza di fatti giuridici conseguenti alla mancata spontanea esecuzione dell’ordine di ripristino.

Le medesime censure si rivelano comunque infondate, ov’anche da intendersi riferite al mancato verificarsi dei presupposti per l’acquisizione al patrimonio comunale. Infatti, con riferimento al quinto motivo aggiunto, l’andamento curvilineo del corso d’acqua, al quale conseguirebbe la medesima delimitazione della fascia di rispetto avanzata di mt 80, non implica alcun errore nell’individuazione dell’area da acquisire; infatti, atteso che l’immobile assume una consistenza unitaria ed indivisibile, certamente a volerlo intendere come fronte esterno che si giustappone alla fascia di rispetto, è sufficiente che anche solo in parte sia collocato ad una distanza inferiore al limite prescritto, perché sia interamente da ritenersi edificato in violazione della fascia di rispetto; ed anche l’area di sedime è quella su cui insiste l’intero manufatto che si assume realizzato in violazione delle prescrizioni urbanistiche.

Quanto, alla mancata previa comminatoria di acquisizione, rilevata nel sesto motivo aggiunto, ove intesa come circostanza ostativa alla produzione di tale effetto giuridico, va rilevato che tale conseguenza sanzionatoria è direttamente prevista dall’ art. 31, comma terzo del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come effetto legale di un’ingiunzione conosciuta e non ottemperata, non potendo in alcun modo configurarsi una facoltà alternativa alla demolizione di cui preventivamente dovrebbe essere informato l’autore dell’abuso.

Infine, quanto all’impossibilità di eseguire la demolizione senza pregiudicare la parte conforme dell’opificio, illustrata nel settimo motivo aggiunto, essa è posta come situazione di fatto sopravvenuta rispetto all’originario ordine di demolizione, in quanto riconducibile alla parziale sanatoria di cui al permesso di costruire n. 29 del 2 maggio 2005.

Secondo la società ricorrente si sarebbe assistito ad una modificazione dell’originaria qualificazione in termini di totale difformità delle opere realizzate rispetto al permesso di costruire n. 4 del 1 marzo 2002 nella meno grave situazione di parziale difformità, potendosi di conseguenza accedere alla possibilità riconosciuta dall’ art. 34 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, di una possibile conservazione di quelle opere, comunque abusive, la cui demolizione sarebbe di pregiudizio per quelle oggetto di sanatoria.

Rileva il Collegio che la possibilità di una sanatoria parziale, anche all’interno di un medesimo progetto unitario, può senz’altro riguardare opere distinte e strutturalmente autonome (T.A.R. Liguria sez. I 23 marzo 2012 n. 423); ma, ove più profili di violazione della normativa urbanistica e vincolistica interessino uno stesso manufatto, la possibile sanabilità solo di alcune di esse non può estendersi, in via transitiva, all’opera intera; diversamente opinando, proprio i profili di insanabile violazione, quindi quelli più gravi, di fatto, verrebbero a subire un’ingiustificata dequotazione, consentendosene la non rimovibilità e così la permanenza, per l’accertata conformità di profili di violazione minori, comunque compatibili con la disciplina urbanistica di riferimento; è evidente che se per uno stesso manufatto plurime siano le violazioni urbanistiche è consentito il rilascio di un provvedimento di sanatoria che le rimuova tutte; ciò che non è consentito è invece che violazioni non altrimenti sanabili – come quella che interessi una fascia di rispetto – possano restare senza conseguenza sanzionatoria alcuna, sol perché altri profili di abuso siano stati sanati; nulla giustifica tale effetto assorbente e ciò proprio perché alla violazione insanabile non è possibile porre rimedio; né potrebbe operare un criterio di prevalenza, dal momento che la verifica di sanabilità di opere abusive non contempla profili di discrezionalità pura, ma soltanto di accertamento tecnico o, al più, di natura tecnico-discrezionale.

Ne discende che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria del 2 maggio 2005 n. 29 – della cui avvenuta adozione non può che prendersi atto in questa sede – non assume alcuna incidenza sull’integrale natura abusiva dell’opificio, inteso come manufatto unico interessato dalla violazione della fascia di rispetto; sarebbe stato, di conseguenza, esclusivo interesse della società ricorrente accertare l’eventuale modificabilità dell’edificio, nel senso di recuperarne la sola parte non interessata dall’eccedenza della zona vincolata e come tale oggetto di sanatoria.

Con riferimento al primo motivo aggiunto, non è fondato quanto assunto dalla M. s.p.a. in ordine alla necessità di una nuova ordinanza di demolizione per potersi acquisire al patrimonio comunale la parte di opificio non interessata dal provvedimento di sanatoria n. 29 del 2 maggio 2005.

Invero, la distinzione tra la parte di opificio realizzata in violazione della fascia di rispetto e quella interessata da altri profili di contrasto con le prescrizioni urbanistiche di zona è stata ammessa dalla stessa M. s.p.a. che ha limitato la domanda di sanatoria solo a quest’ultima; d’altronde, l’insanabilità della porzione di manufatto realizzata in violazione della fascia di rispetto fluviale, lungi dal consentirne la conservazione, come già rilevato, rafforza piuttosto l’esigenza di ripristinare lo stato dei luoghi, adempimento a cui la ricorrente non ha mai ottemperato nonostante a tanto astretta dall’ordinanza di demolizione n. 8 del 29 gennaio 2003; infine, attesa l’immutazione dello stato dei luoghi, non si comprenderebbe la ragione per l’adozione di una nuova ordinanza di demolizione che non potrebbe che avere lo stesso contenuto di quella precedente, relativamente alla parte non sanabile.

Con riferimento al secondo motivo aggiunto, è sufficiente rinviare a quanto già esposto per la confutazione nel merito del quinto motivo aggiunto.

Infondati sono anche il terzo e quarto dei motivi aggiunti, dal momento che secondo l’art. l’art. 27, comma 2, secondo capoverso, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 , “qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267 , o appartenenti ai beni disciplinati dalla L. 16 giugno 1927, n. 1766 , nonché delle aree di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 , il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa.”.

Secondo recente giurisprudenza, che il Collegio condivide, la norma, “attraverso l’utilizzo della locuzione “…previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa…” ha chiaramente inteso la sostanziale autonomia concessa all’Autorità competente alla tutela del territorio (il Dirigente comunale) di intervenire direttamente a sanzionare abusi commessi in violazione del vincolo, salva soltanto la possibilità dell’Autorità preposta a tale vincolo di affiancare (“…possono eventualmente intervenire…”) l’azione repressiva e sanzionatoria della Autorità comunale” (Consiglio di Stato IV Sezione, 2 febbraio 2012 n. 606).

E’ stato di conseguenza ritenuto che “il Comune non si sostituisce all’Autorità preposta al vincolo, ma agisce sinergicamente con quest’ultima, come la legge consente in un ottica del tutto razionale anche da un punta di vista organizzativo e di tempestività dell’agire a tutela degli interessi pubblici coinvolti, essendo evidente che il soggetto pubblico che ha il più diretto ed immediato controllo del territorio (il Comune) abbia anche il potere di intervenire a tutela concreta ed efficiente di detti interessi pubblici, anche se essi mettano capo pure a diversa Autorità che va soltanto informata”.

Per quanto concerne l’acquisizione disposta in favore del Comune e non anche dell’autorità preposta al vincolo, l’ art. 31, sesto comma del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 stabilisce che “per gli interventi abusivamente eseguiti su terreni sottoposti, in base a leggi statali o regionali, a vincolo di inedificabilità, l’acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull’osservanza del vincolo.

Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell’abuso”; non vi è dubbio, dunque che anche il Comune sia autorità preposta per legge, ai sensi dell’ art. 27 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 alla vigilanza sull’osservanza del vincolo; inoltre, se l’acquisizione dell’opera e dell’area di sedime è funzionale all’esecuzione della demolizione in danno dei responsabili dell’abuso, ai sensi dell’ art. 31, quinto comma del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è logico inferire che il medesimo nesso di strumentalità esiste anche per le ipotesi di cui al sesto comma, cioè per le opere realizzate su aree vincolate in base a leggi statali o regionali, di talchè l’acquisizione opera in favore dell’autorità che in concreto sta procedendo; nel caso di specie, dunque, correttamente l’acquisizione è intervenuta in favore del Comune di Montesarchio.

Anche l’ottavo motivo è privo di fondamento, atteso che nessuna ulteriore istruttoria competeva al Comune di Montesarchio prima dell’acquisizione, dal momento che, con riferimento alla complessiva natura abusiva dell’opificio relativamente alla mancata osservanza della fascia di rispetto, era sufficiente che vi fosse l’accertamento di quanto richiesto dalla legge, cioè la mancata demolizione.

Né pregio ha il nono motivo aggiunto, atteso che, rispetto all’acquisizione, da intendersi come effetto preordinato alla demolizione in danno dell’opificio, nessun onere partecipativo incombeva sul Comune di Montesarchio, trattandosi di attività rigidamente vincolata e conseguente alla sola mancata ottemperanza all’ordinanza n. 8 del 29 gennaio 2003.

Da respingersi è poi il decimo motivo, con cui si assume la violazione del principio di proporzionalità nell’applicazione della sanzione edilizia, anch’esso fondato sulla pretesa parzialità dell’abuso, in conseguenza del permesso di costruire in sanatoria del 2 maggio 2005 n. 29 che ha interessato solo una parte delle opere; anche in tal caso, va rilevato come la scelta della M. s.p.a. di richiedere la sanatoria non per tutte le violazioni contestate con l’ordinanza n. 8 del 29 gennaio 2003, così come l’insanabilità di quelle afferenti alla violazione della fascia di rispetto, non può risolversi in un alleggerimento – per di più frutto di una scelta dell’autore dell’abuso – della gravità della violazione complessivamente intesa, nel senso di pretendere la conservazione di quanto realizzato in dispregio di un vincolo di inedificabilità assoluta; infatti, come già evidenziato, la possibilità di accedere ad una sanatoria solo parziale delle opere non può risolversi nell’effetto globale di mutare la natura e la qualificazione giuridica della parte non sanabile, così da prospettare la salvezza integrale di opere o parti di esse irriducibilmente incompatibili con una disciplina assolutamente vincolistica.

Allo stesso modo, va respinto l’undicesimo motivo aggiunto, dal momento che, non sussistendo un’ipotesi di difformità parziale, nessun accertamento istruttorio avrebbe dovuto eseguire l’Amministrazione comunale in ordine all’eseguibilità della demolizione senza arrecare pregiudizio alla parte sanata.

Con riguardo al dodicesimo motivo aggiunto, nel richiamare quanto già evidenziato a proposito del sesto motivo sulla necessaria comminatoria di acquisizione, va aggiunto che, secondo condivisibile orientamento giurisprudenziale, il nuovo acquirente dell’immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al precedente proprietario e relativi al bene ceduto, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti dell’ingiunzione di demolizione impartita, pur essendo l’abuso commesso prima della traslazione della proprietà (T.A.R. Lombardia Milano Sezione IV 9 marzo 2011 n. 644; T.A.R. Lombardia Milano Sezione IV, 31 maggio 2010, n. 1721; T.A.R. Veneto Sezione II 10 giugno 2009 n. 1723).

La censura non è quindi meritevole di accoglimento.

In ordine alla tredicesima censura, va evidenziato che l’atto di accertamento della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione n. 8 del 29 gennaio 2003, che la ricorrente assume essere mancato o non notificato, è proprio quello impugnato con i motivi aggiunti, recante il n. 1329 del 18 gennaio 2011, quindi sicuramente dalla stessa conosciuto; tale atto fa espresso rinvio al verbale di sopralluogo n. 236/SUE del 27 aprile 2009 (allegato n. 3 alla documentazione depositata in giudizio dal Comune di Montesarchio in data 11 marzo 2011) in cui si dà atto che “nella parte di capannone oggetto di procedimento amministrativo risulta depositata della merce”; al verbale sono allegate anche delle foto di tale parte dell’opificio (foto nn. 1 e 2) che dimostrano l’esistenza e ovviamente la mancata demolizione di quanto realizzato in violazione della fascia di rispetto fluviale, adempimento che, tra l’altro, la stessa ricorrente non ha mai dichiarato di avere eseguito.

Il motivo va, dunque, respinto.

Infine, non è affatto vero che non sia acquisibile al patrimonio un immobile realizzato in violazione di una zona di rispetto, atteso che tale eventualità è espressamente contemplata dall’ art. 31, sesto comma, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Vanno ora esaminate le censure proposte con l’ulteriore atto di motivi aggiunti collazionato a quello testè oggetto di esame.

Innanzitutto, non è fondata la prima, dal momento che non è condivisibile l’assunto della società ricorrente, secondo cui l’acquisizione della parte di opificio realizzata in violazione della fascia di rispetto sarebbe avvenuta in pendenza di un procedimento di sanatoria non preventivamente definito dal Comune di Montesarchio; invero, rispetto alla data di presentazione (14 ottobre 2004) e di integrazione (6 aprile 2005) – risultanti dalla attestazione dell’ufficio SUAP (allegato 15 ai motivi aggiunti depositati il 15 marzo 2011) – risulta decorso il termine di sessanta giorni di cui all’ art. 36, terzo comma del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per cui il procedimento conseguente all’istanza doveva ritenersi definito nella forma del silenzio diniego, impugnabile entro l’ordinario termine di decadenza (T.A.R. Campania Napoli Sezione VIII, 13 dicembre 2011 n. 5797).

Inoltre, non coglie nel segno il richiamo all’ art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447 in materia di impianti produttivi, secondo cui “qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta l’istanza.

Tuttavia, allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro, ma lo strumento urbanistico non individui aree destinate all’insediamento di impianti produttivi, ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il responsabile del procedimento può, motivatamente convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall’ articolo 14 della L. 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’ articolo 17 della L. 15 maggio 1997, n. 127, per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso. Alla conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell’impianto industriale”.

Invero, tale disposizione, innanzitutto, impone il rigetto di progetti che siano contrastanti con lo strumento urbanistico; in ogni caso, il relativo procedimento assume una funzione preventiva e non anche di sanatoria di opere già realizzate; inoltre, il riferimento all’indizione di una conferenza di servizi concerne l’ipotesi di un progetto che non sia in contrasto con le norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro – il che non è nel caso in esame – e che, in ipotesi di mancanza di aree destinate ad insediamenti produttivi o di aree insufficienti, richiede l’assunzione delle conseguenti decisioni; anche sotto tale profilo, la disposizione non è invocabile, non trattandosi di porre rimedio alla carenza assoluta o relativa di aree disponibili all’insediamento produttivo in questione.

Occorre ora esaminare le censure proposte con i motivi aggiunti notificati il 5 agosto 2011 e depositati in data 8 agosto 2011, con cui sono stati impugnati il Provv. n. 13367 del 5 luglio 2011, recante l’annullamento del permesso di costruire in sanatoria del 2 maggio 2005 n. 29 e il Provv. n. 14249 del 15 luglio 2005 con cui è stato annullato il certificato di agibilità dell’opificio n. 3951 del 17 febbraio 2010.

Rileva il Collegio che si tratta di censure afferenti la parte dell’opificio interessato dal procedimento di sanatoria, cioè quella non interessata dalla fascia di rispetto fluviale.

Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti, per omessa notificazione del ricorso introduttivo al Ministero dei i BB.AA.CC. ed alla Soprintendenza di Caserta e Benevento, sollevata dal Comune di Montesarchio nella memoria depositata in data 1 ottobre 2011, dal momento che la prospettata necessità di una previa autorizzazione paesaggistica rispetto alla sanatoria urbanistica, lungi dal costituire presupposto per l’ampliamento del litisconsorzio anche all’autorità statale, integra un vizio del procedimento di sanatoria e quindi, al più, una questione pregiudiziale di merito; di conseguenza, va accolta la domanda di estromissione dal giudizio presentata dalla difesa dell’Avvocatura erariale nella memoria di costituzione.

Va inoltre specificato che l’annullamento del titolo edificatorio può trovare legittima giustificazione solo nell’esistenza di vizi concernenti la sua formazione e adozione, quindi la carenza di presupposti per il suo rilascio – con riferimento al caso in esame a quelli indicati in ragioni di difformità e inidoneità della documentazione progettuale presentata – ma giammai in problemi connessi alla totale o parziale infedele edificazione; in questo caso, tali difformità si risolvono non già in vizi del titolo abilitativo, ma in un comportamento successivo del titolare che, discostandosi da prescrizioni vincolanti, realizza opere in tutto o in parte non assentite, come tali idonee ad aprire un procedimento sanzionatorio volto specificamente alla repressione degli abusi commessi.

In altri termini, profili di illegittimità originaria del titolo edilizio e questioni di tempestiva e corretta esecuzione di quanto in esso prescritto si collocano su piani distinti, il primo riguardando la sua validità, il secondo la sua efficacia.

Nel caso di specie, sia in termini di inottemperanza alle prescrizioni poste dal permesso di costruire n. 29 del 2 maggio 2005, sia ad altre opere abusive accertate nel verbale di sopralluogo n. 236/SUE del 27 aprile 2009, il relativo potere sanzionatorio è stato esercitato dal Comune di Montesarchio con l’ordinanza di ripristino n. 44 del 21 maggio 2009, con cui sono state contestate a fini repressivi nove specifiche violazioni urbanistiche.

Tale provvedimento, benché ritualmente notificato alla ricorrente in data 22 maggio 2009 (allegato 1 alla produzione documentazione del Comune depositata in data 11 marzo 2011), non è mai stato impugnato, o, piuttosto, lo è stato – peraltro solo formalmente, essendo mancato ogni profilo di censura al riguardo – solo con i motivi aggiunti in esame e quindi ben oltre il termine decadenziale di rito.

In questi termini, è meritevole di accoglimento l’eccezione di irricevibilità dei motivi aggiunti sollevata dalla difesa del Comune di Montesarchio, sempre nella memoria depositata il 1 ottobre 2011.

Passando alle censure proposte, va respinto il primo motivo aggiunto, non emergendo dal comportamento del Comune di Montesarchio alcuna volontà di perseguire, quale obiettivo primario, la chiusura dello stabilimento della società ricorrente; invero, l’unico elemento indiziario addotto, ossia il parere negativo reso dall’ente locale resistente nell’ambito di una conferenza di servizi e fondato sulla non conformità urbanistica dell’opificio, non costituisce idoneo sintomo di sviamento di potere e ciò solo perché di epoca anteriore alla comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, oggetto del presente giudizio.

A parte che non risulta che detto parere o gli esiti della richiamata conferenza di servizi siano mai stati contestati o in qualche modo invalidati, va rilevato che il presupposto dell’esercizio del potere di annullamento che consiste nell’accertamento dei vizi di legittimità del provvedimento di primo grado costituisce esercizio di un’attività vincolata, per cui, nel caso in esame, il parametro di sindacabilità finisce, in ogni caso, per risolversi nella conformità urbanistica o meno dell’opificio, senza che sia possibile ascriverlo a possibili scelte discrezionali dell’amministrazione, da intendersi come possibili fonti di sviamento.

È invece meritevole di accoglimento il secondo motivo aggiunto, con cui è stata censurata la carenza di motivazione inerente all’esercizio del potere di annullamento.

Al riguardo, va respinta l’eccezione di inammissibilità, anche questa sollevata dalla difesa del Comune di Montesarchio nella memoria depositata in data 1 ottobre 2011 (pagina 6), fondata sull’omessa impugnazione del permesso di costruire in sanatoria n. 29 del 2 maggio 2005, in quanto contenente le prescrizioni edilizie che si assumono violate; osserva il Collegio che il vizio dedotto concerne un profilo autonomo della funzione di autotutela, ossia la carenza di motivazione e la violazione dell’ art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241, per cui nessun rapporto di necessaria presupposizione processuale sussiste con il citato permesso di costruire in sanatoria.

Nel merito, è stato di recente richiamato da questa Sezione (T.A.R. Campania Napoli VIII Sezione 7 marzo 2012 n. 1130) il costante orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato Sezione V, 12 novembre 2003, n. 7218; Sezione IV, 31 ottobre 2006, n. 6465; T.A.R. Campania, Napoli, Sezione VII, 22 giugno 2007, n. 6238; Sezione III, 11 settembre 2007, n. 7483; Sezione VIII, 30 luglio 2008, n. 9586; 1 ottobre 2008, n. 12321; 7 dicembre 2009, n. 8597; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sezione III, 19 gennaio 2007, n. 170; Sezione II, 8 giugno 2007, n. 1652; T.A.R. Liguria, Sezione I, 11 dicembre 2007, n. 2050; T.A.R. Basilicata, Sezione I, 19 gennaio 2008, n. 15) secondo cui “il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato”.

Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela; potere, che è espressione della discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla mero ripristino della legalità violata.

In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.

Siffatto approdo giurisprudenziale rinviene un espresso aggancio normativo nell’ art. 21 nonies, comma 1, della L. n. 241 del 1990, in base al quale “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21 octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.

Si conferma, quindi, la natura tipicamente discrezionale dell’atto di ritiro, il quale deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, da effettuare entro un lasso di tempo ragionevole e da riportare nel corredo motivazionale”.

In base a tali principi, il Collegio rileva che in entrambi i provvedimenti di autotutela impugnati è del tutto mancata una valutazione in termini di interesse pubblico attuale alla rimozione dei corrispondenti atti di primo grado, segnatamente il permesso di costruire in sanatoria del 2 maggio 2009 n. 29 e il certificato di agibilità n. 3951 del 17 febbraio 2010; invero, sia nel primo che nel secondo caso, il Comune di Montesarchio ha fatto esclusivo riferimento alla sussistenza di vizi di legittimità dell’azione di primo grado, e ciò sia nella parte motiva che nel dispositivo, risultando del tutto pretermessa la pur necessaria rappresentazione di idonee ragioni che potessero far ritenere opportuno il ricorso all’autotutela.

L’accoglimento di tale censura impone l’annullamento degli impugnati provvedimenti di ritiro, con assorbimento delle ulteriori censure proposte, non potendo ogni possibile valutazione al riguardo consentirne di ritenere la validità.

E’ appena il caso di ribadire che restano fermi gli effetti decadenziali conseguenti alla mancata osservanza delle prescrizioni speciali poste dal permesso di costruire in sanatoria del 2 maggio 2009 n. 29, essendo la successiva attività sanzionatoria del Comune di Montesarchio immune dalle censure proposte al riguardo dalla società ricorrente.

Va infine respinta la domanda di risarcimento danni presentata nei motivi aggiunti depositati sia in data 15 marzo 2011 sia il giorno 8 agosto 2011, in quanto in entrambi i casi del tutto genericamente formulata e priva di qualsiasi principio di allegazione probatoria.

Con riferimento al ricorso n. 1457/11 R.G. proposto dalla F.M. & (ampersand) C. s.a.s., in qualità di comodataria d’uso dell’opificio, è sufficiente rinviare alle argomentazioni con cui il Collegio ha sia esaminato le eccezioni di rito relative all’intervento della Assocentro s.r.l., sia rigettato i motivi aggiunti notificati il 7 marzo 2001 e depositati il 15 marzo 2011 e quelli notificati il 10 marzo 2011 e depositati, sempre il 15 marzo 2011, proposti dalla M. s.p.a. nell’ambito del ricorso n. 4206/03 R.G. Invero, trattandosi di censure identiche, ogni onere motivazionale può ritenersi puntualmente assolto mediante la tecnica redazionale del rinvio, tuttavia con le precisazioni che di seguito si espongono.

Innanzitutto, pur volendo aderire all’orientamento che ritiene sussistente la legittimazione ad impugnare un provvedimento sanzionatorio in materia edilizia da parte del terzo detentore non proprietario – non identificato come responsabile dell’abuso – (T.A.R. Campania Napoli, Sezione IV, 2 marzo 2012 n. 1223), non sussiste alcun onere da parte del Comune di notificare a questi l’ordine di demolizione ed i successivi provvedimenti sanzionatori, dal momento che l’ art. 31, secondo comma del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 contempla come destinatari dell’ingiunzione unicamente il proprietario e il responsabile dell’abuso, qualifiche nessuna delle quali appare riconducibile all’attuale ricorrente.

Inoltre, nei motivi nono e decimo del ricorso introduttivo, la ricorrente F.M. & (ampersand) C. s.a.s. si riferisce alla presentazione di un’istanza di sanatoria ai sensi della L.R. n. 1 del 2011 e ad un’istanza di fiscalizzazione; rileva il Collegio che tali accenni non sono idonei ad incidere sulle considerazioni già espresse ai fini del rigetto dell’impugnazione; invero, si tratta di riferimenti oltre che generici, non confortati da alcun riscontro documentale da parte della società ricorrente a corredo dell’atto di ricorso.

Ne discende, pertanto, il rigetto del ricorso e della domanda risarcitoria, anche in questo caso genericamente formulata e priva di una minima allegazione probatoria.

Con riferimento al ricorso n. 4123/10 R.G., relativo alla realizzazione del Centro Ricerche e dell’opificio per la creazione di preforme in PET, vanno ritenuti ammissibili l’intervento ad opponendum della Assocentro s.r.l., per le ragioni già esposte a proposito dell’esame del giudizio n. 4206/03 R.G. e quello ad adiuvandum dell’Università degli Studi del Sannio e dell’Università degli Studi Federico II, in quanto soggetti portatori di interessi convergenti con la tutela dell’attività di studio che si svolge nel Centro Ricerche del complesso industriale.

Prima di passare al merito, ritiene preliminarmente il Collegio di prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa del Comune di Montesarchio e dalla difesa del Ministero BBAACC nella memoria depositata il 29 dicembre 2011, essendo il ricorso infondato.

Innanzitutto, deve essere respinto il primo motivo di impugnazione.

In primo luogo, non sussiste la dedotta contraddittorietà tra effetto decadenziale ed inefficacia del permesso di costruire in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008, aspetto che, comunque, non incide in alcun modo sulla tutelabilità della posizione giuridica della società ricorrente; infatti, ciò che rileva è soltanto l’inidoneità del citato titolo edilizio a giustificare la realizzazione e la conservazione di opere dallo stesso sanate, e tanto in conseguenza della mancata osservanza di prescrizioni speciali imposte dal Comune di Montesarchio; d’altronde, l’inefficacia costituisce un effetto tipico e diretto della declaratoria di decadenza.

Quanto, poi, alla mancata attivazione della garanzie partecipative, va osservato come l’atto impugnato abbia natura sanzionatoria, oltre che strettamente vincolata, rispetto all’accertamento dell’inottemperanza della società ricorrente alle prescrizioni speciali imposte nel permesso di costruire; ne discende che – non avendo, tra l’altro, la F.M. & (ampersand) C. s.r.l. nemmeno in questa sede dedotto di avere adempiuto a quanto prescritto, nessuna comunicazione di avvio del procedimento avrebbe dovuto essere inviata dal Comune di Montesarchio, trattandosi di attività assolutamente vincolata (Consiglio di Stato IV Sezione 23 febbraio 2012 n. 974).

Privo di fondamento è anche il secondo motivo.

Osserva il Collegio che sia il rilascio del permesso di costruire, sia l’istituto di cui all’ art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 costituiscono manifestazione di un potere vincolato dell’amministrazione, segnatamente circoscritto alla verifica di conformità, antecedente o successiva rispetto all’edificazione, di quanto realizzato rispetto alla disciplina urbanistica di riferimento; di conseguenza, la possibilità da parte dell’autorità pubblica di imporre prescrizioni specifiche ad un progetto di edificazione o di sanatoria va intesa non come esercizio di un potere discrezionale, ma come attività di accertamento della necessità di compiere interventi correttivi – di natura progettuale o esecutiva – onde rendere compatibile l’edificazione con la disciplina urbanistica; ne discende che l’imposizione di prescrizioni speciali, da qualificarsi come condizioni di efficacia del permesso di costruire, originario o in sanatoria, oltre ad essere esercizio di un’attività vincolata – ed anche applicazione del principio di proporzionalità dell’azione pubblica e di economia del mezzi giuridici, in quanto tendente ad evitare un diniego sull’an dell’istanza del privato – non ripetono la stessa natura giuridica del permesso di costruire ordinario e, di conseguenza, le medesime scansioni temporali di cui all’ art. 15, secondo comma, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; assumendo, piuttosto, natura correttiva e sovente limitativa delle caratteristiche originarie di progetto, va ad esse riconosciuto un regime giuridico che partecipa di tale loro natura; pertanto, rispetto a prescrizioni che impongono in sede di accertamento di conformità la demolizione di opere o parti di esse realizzate in eccedenza rispetto alle potenzialità riconosciute dalla disciplina territoriale di riferimento, il termine non sarà quello ordinario di edificazione, ma quello, più breve, di demolizione, pari a novanta giorni ai sensi dell’ art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, siccome volto alla tutela dell’interesse pubblico al repentino ripristino dello stato dei luoghi; nessuna illegittimità dunque è ravvisabile nel comportamento del Comune di Montesarchio che ha imposto la demolizione delle opere abusive rinvenute entro il termine di dodici mesi dal rilascio del permesso di costruire in sanatoria; termine di cui, tra l’altro, la F.M. & (ampersand) C. s.r.l. non ha dimostrato l’inidoneità ai fini della possibilità concreta di procedere alla demolizione.

Relativamente al terzo motivo, va osservato che la questione dell’ultrattività dell’ordinanza di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007 rispetto all’impugnata determinazione di decadenza del permesso di costruire n. 63 del 31 luglio 2008, non concerne la legittimità del provvedimento gravato, quanto il regime giuridico dei successivi atti sanzionatori da assumersi da parte del Comune di Montesarchio; ne discende l’infondatezza e prima ancora l’inammissibilità della censura.

Riguardo al quarto motivo, si è osservato che le prescrizioni speciali ad un permesso di costruire in sanatoria hanno natura vincolata ed assumono una funzione integrativa e di correzione di un’istanza di accertamento di conformità che non sia pienamente compatibile con la disciplina urbanistica; l’imposizione di un onere di demolizione o di correzione progettuale quale condizione di efficacia del titolo edilizio in sanatoria, assume, pertanto, immediata efficacia lesiva per le ragioni dell’istante, per cui se ne impone l’impugnazione entro l’ordinario termine decadenziale.

Decorso detto termine, i profili sfavorevoli del provvedimento di sanatoria si consolidano, per cui, attesa la natura vincolata del parametro costituito dalla disciplina urbanistica, una richiesta di variante al permesso in sanatoria già rilasciato e rimasto inoppugnato, si sostanzia in un’istanza di autotutela, rispetto alla quale nessun obbligo di provvedere sussiste in capo all’amministrazione; d’altronde, atteso che una sola è la condizione di conformità urbanistica, la presentazione successiva di istanze di variante a permessi in sanatoria, si risolverebbe in un’inaccettabile dilazione della funzione sanzionatoria a tutela di interessi privati di cui è ormai accertata l’inesistenza e a danno delle indefettibili funzioni di vigilanza e controllo del territorio e di sanzione degli illeciti edilizi.

Ne discende anche l’infondatezza della censura afferente alla mancata applicazione dell’ art. 10 bis della L. 7 agosto 1990, n. 241, dal momento che sull’istanza di variante il Comune non si è determinato negativamente, essendosi limitato a ritenerne l’irrilevanza ai fini della declaratoria di decadenza.

Passando al quinto motivo di ricorso, va osservato come l’impugnato provvedimento di decadenza dal permesso di costruire in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008 sia stato adottato dal Comune di Montesarchio a causa della mancata tempestiva esecuzione da parte della F.M. & (ampersand) C. s.r.l. delle prescrizioni speciali ivi contenute che imponevano la demolizione di alcune opere abusivamente realizzate; invece, alla qualificazione giuridica degli abusi contestati si era provveduto con l’ordinanza di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007, provvedimento che, sebbene notificato alla società ricorrente il 28 settembre 2007, è stato impugnato solo con il presente ricorso, notificato il 17 giugno 2010 e quindi tardivamente; ne discende che ogni possibile questione afferente alla natura giuridica delle opere, se realizzate in totale o parziale difformità, così come la denuncia di errori di fatto commessi nelle fasi di accertamento e sanzionatoria, non possono essere ritualmente esaminate in questa sede; d’altronde, la stessa ricorrente, avendo presentato senza riserve istanza di accertamento di conformità all’esito dell’adozione della predetta ordinanza di demolizione, ha dimostrato di avere prestato acquiescenza alla stessa.

Quanto alla mancata applicazione dell’ art. 34 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, disposizione invocata dalla società ricorrente secondo cui la fattispecie concreta sarebbe quella meno grave di parziale difformità, assumendosi, di conseguenza, l’inapplicabilità della sanzione del ripristino, va ribadito come la qualificazione giuridica dell’illecito edilizio fosse stata data, e ciò del tutto legittimamente, nell’ordinanza di demolizione – che aveva fissato anche il termine perchè detto adempimento fosse eseguito da parte del privato, secondo quanto prescritto dallo stesso art. 34 – provvedimento, come già rilevato, impugnato tardivamente e come tale incontestabile; inoltre, va rilevato come la ragione della declaratoria di decadenza non abbia riguardato la natura e l’entità delle opere realizzate – con conseguente possibile modulazione della sanzione – ma il non avere la società ricorrente rispettato specifiche prescrizioni imposte a pena di inefficacia nel permesso di costruire in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008.

Con riguardo all’ultima censura, con cui, tra l’altro, è la stessa società ricorrente ad assumere la difformità delle opere realizzate rispetto alle prescrizioni urbanistiche di zona, va rilevato innanzitutto che nella vicenda in esame non si pone una questione di mancanza di titolo edificatorio, di cui, difatti, la ricorrente F.M. & (ampersand) C. s.r.l. era stata beneficiaria sia in via ordinaria che in sanatoria, ma di violazione ed inosservanza di prescrizioni imposte alla ricorrente con i citati permessi di costruire; del resto, l’ art. 14 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non impone affatto che d’ufficio il Comune consenta l’edificazione in deroga, ma è costruito come un modello procedimentale ad istanza di parte, che nella fattispecie in esame è del tutto mancato.

Inoltre, la normativa in materia non consente la deroga agli strumenti urbanistici generali a valere come sanatoria di opere edilizie difformi e quindi in via successiva; l’art. 14, difatti, contempla solamente la progressione procedimentale nel senso della previa modificazione in parte qua della disciplina urbanistica generale – affidata al consiglio comunale quale organo di governo competente in materia – a cui faccia seguito il rilascio del permesso di costruire (che, a bene vedere, non sarà nemmeno adottato in deroga, dal momento che sarà conforme allo strumento urbanistico ormai modificato). Il motivo pertanto non può essere accolto.

Passando all’esame dei motivi aggiunti, deve essere accolta l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Comune di Montesarchio relativamente all’impugnazione di tutti gli atti indicati in rubrica, fatta eccezione per il Provv. n. 9480 del 4 maggio 2011 con cui si è proceduto alla acquisizione al patrimonio comunale delle opere di recinzione e dell’opificio industriale.

Invero, relativamente agli atti citati – rubricati dalla società ricorrente ai nn 2/10 dell’epigrafe dei motivi aggiunti – la notificazione dell’atto d’impugnazione, avvenuta per il notificante il 1 luglio 2011, si rivela irrimediabilmente tardiva, con consequenziale irricevibilità del ricorso.

Inoltre, l’impugnazione dell’atto di acquisizione al patrimonio comunale è consentita esclusivamente per vizi propri e non anche per profili di invalidità derivata di atti presupposti non tempestivamente gravati (Consiglio di Stato sez. V 24 marzo 2011 n.1793; Consiglio di Stato sez. IV 8 novembre 2010 n. 7914).

Con riferimento al primo motivo aggiunto, è stata contestata la legittimità dell’atto di acquisizione al patrimonio comunale, assumendo la società ricorrente che il Comune di Montesarchio avrebbe dovuto prima definire le istanze di sanatoria n. 16738 del 29 luglio 2009, n. 16176 del 21 luglio 2009 e n. 22097 del 25 ottobre 2010; senza considerare che il commissario ad acta nominato dal Presidente della Provincia di Benevento aveva ritenuto la conformità urbanistica delle opere; né avrebbe potuto l’acquisizione fondarsi sull’ordinanza n. 78 del 20 settembre 2007, definitivamente superata dal permesso di costruire in sanatoria n. 68 del 31 luglio 2008.

Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che dei provvedimenti del commissario ad acta nn. 7,8 e 9 del 15 giugno 2010, con cui si è provveduto in ordine alle tre citate istanze di sanatoria, nessuno è stato favorevole alla società ricorrente, dal momento che hanno tutti dichiarato il non luogo a provvedere per essersi formato il silenzio diniego e per essere intervenuta acquisizione al patrimonio comunale con atto valido ed efficace; quanto alla necessità della previa definizione delle istanze di sanatoria è sufficiente rinviare a quanto già evidenziato dal Collegio a proposito dell’esame del quarto motivo del ricorso introduttivo circa la non obbligatorietà di provvedere su istanze di variante a permessi di costruire in sanatoria, nell’ipotesi di difformità di esecuzione rispetto a tale titolo; in ogni caso, nessuna delle predette istanze è stata ritenuta dal commissario meritevole di accoglimento.

Sulla necessità di un nuovo ordine di demolizione, ritiene il Collegio che nella fattispecie in esame non può trovare applicazione il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel caso di presentazione di un’istanza di sanatoria, poi respinta, l’amministrazione deve adottare una nuova ingiunzione, essendo quella precedentemente emanata ormai priva di efficacia e comunque superata dall’avvio del procedimento di cui all’ art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Innanzitutto, nel caso di specie non si è in presenza di un diniego tacito o espresso di sanatoria, ma della decadenza da un permesso di costruire rilasciato ai sensi dell’ art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; va poi evidenziato che nella fattispecie dedotta in giudizio non sussistono quelle esigenze di certezza giuridica poste a fondamento dell’orientamento invocato dalla società ricorrente; invero, mentre l’incertezza sull’esito del procedimento di accertamento di conformità e la possibilità per il privato di proporre istanza ai sensi dell’art. 36 anche nell’imminenza della scadenza del termine di presentazione – con sostanziale consumazione del tempo disponibile a demolire – possono giustificare l’esigenza di concedere un nuovo ed integrale termine per il ripristino, nel caso in esame tali condizioni non sussistono.

Infatti, il permesso di costruire in sanatoria conteneva prescrizioni speciali di demolizione di opere – la cui inosservanza ne ha poi giustificato la decadenza – coincidenti con quelle poste a fondamento dell’ordinanza di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007 di cui costituisce una sostanziale rinnovazione; ne discende, pertanto, che nessuna situazione di incertezza in chiave di affidamento può ritenersi sussistente nei confronti della ricorrente al fine del riconoscimento di un termine per demolire ulteriore sia rispetto a quello concesso con l’ordinanza n. 78 del 20 settembre 2007, sia a quello di dodici mesi posto come condizione del permesso di costruire in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008; del resto, la demolizione delle opere in contrasto con la disciplina urbanistica era stata assunta dal Comune di Montesarchio come un adempimento irrinunciabile per la concessione della sanatoria dell’intero complesso industriale interessato dall’ordinanza n. 78 del 20 settembre 2007, per cui non potevano sussistere incertezze nemmeno riguardo alle determinazioni da assumersi da parte dell’ente pubblico. In altri termini, la F.M. & (ampersand) C. s.r.l. era ben consapevole che la mancata spontanea demolizione avrebbe comportato sia la declaratoria di decadenza del permesso di costruire in sanatoria, sia le ulteriori conseguenze sanzionatorie di cui all’ art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Allo stesso modo, non può trovare accoglimento il secondo motivo aggiunto che sottende il diverso problema della durata del termine per la demolizione che la ricorrente assume avrebbe dovuto essere di novanta giorni decorrenti almeno dalla decadenza dal permesso di costruire in sanatoria, quindi dal 16 aprile 2010, mentre l’accertamento di inottemperanza era avvenuto il 19 maggio 2010.

Osserva il Collegio che il permesso di costruire in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008, che deve essere in parte qua considerato come un nuovo ordine di ripristino, già conteneva un ulteriore termine di dodici mesi per la demolizione delle stesse opere oggetto dell’ordinanza n. 78 del 20 settembre 2007, per cui alla ricorrente era stato concesso un tempo per procedere al ripristino ben più ampio di quello in questa sede invocato.

Quanto, poi, all’ individuazione dei soggetti destinatari dei provvedimenti repressivi, si evidenzia che i permessi di costruire originari nn. 28 del 30 novembre 2004 e n. 38 del 16 maggio 2006, l’ordinanza di demolizione n. 78 del 20 settembre 2007, il permesso di costruire in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008 ed anche l’atto di declaratoria di decadenza n. 8892 del 13 aprile 2010, hanno avuto tutti, quale destinataria, la F.M. & (ampersand) C. s.a.s.; allo stesso modo, l’accertamento di inottemperanza agli obblighi di demolizione di cui all’ordinanza n. 78 del 20 settembre 2007 – rinnovati nel permesso di costruire in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008 – risulta compiuto con verbale n. 530 SUE del 7 ottobre 2009, nei confronti sempre della F.M. & (ampersand) C s.a.s. e della I.O.B.M. s.r.l., in presenza del signor B.M. (allegato 15 della memoria depositata dal Comune di Montesarchio in data 8 ottobre 2010), legale rappresentante della F.M. s.r.l. (già F.M. & (ampersand) C. s.a.s. come si evince dall’intestazione del ricorso), attuale ricorrente.

Sembrerebbe, dunque, che l’acquisizione delle aree avrebbe riguardato la I.O.B.M. s.r.l. e la F.M. & (ampersand) C. s.r.l., soggetti distinti dalla F.M. & (ampersand) C. s.a.s., responsabile dell’abuso.

Al riguardo, ritiene il Collegio che “la mancata notifica dell’ordine di demolizione al proprietario del fondo laddove questi sia un soggetto diverso dal responsabile dell’abuso non incide né sulla legittimità dell’ordine di demolizione, posto che la notifica di un provvedimento al suo destinatario attiene alla cosiddetta fase integrativa dell’efficacia, né sulla idoneità dell’ordine di demolizione (se ritualmente notificato al responsabile dell’abuso) a costituire il presupposto per il verificarsi dell’effetto acquisitivo anche nei confronti del proprietario del fondo, laddove questi non abbia dimostrato la sua completa estraneità alla realizzazione dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza aliunde, si sia adoperato per impedirla.

In altri termini, ciò che determina l’inefficacia relativa del provvedimento di acquisizione gratuita non è, quindi, la mancata notifica dell’ordine di demolizione al proprietario del fondo, bensì la dimostrazione della sua completa estraneità alla realizzazione dell’opera abusiva o della sua attivazione per impedirla con tutti gli strumenti offertigli dall’ordinamento” (T.A.R. Campania Napoli Sezione VII 11 novembre 2011 n. 5293).

Ebbene, rileva il Collegio che siffatta condizione di estraneità sia del tutto da escludersi nel caso di specie: innanzitutto, perché si tratta di società tutte appartenenti ad un medesimo gruppo imprenditoriale facente capo ai medesimi soggetti (come si evince dalle epigrafi dei ricorsi in trattazione); in secondo luogo, perché la F.M. & (ampersand) C. s.r.l. appare la formale prosecuzione della F.M. & (ampersand)C. s.a.s., con la sola mutazione della forma societaria, come già rilevato in precedenza; in terzo luogo, per la continua ricorrenza della figura del signor B.M., sia come imprenditore presente sui luoghi e destinatario degli accertamenti, sia come legale rappresentante delle società interessate.

Inammissibile è poi la terza censura in quanto deduce profili di illegittimità che non afferiscono a vizi propri dell’impugnato atto di acquisizione, ma all’identificazione e qualificazione delle opere abusive oggetto di mancata demolizione e quindi relativi all’ordinanza n. 78 del 20 settembre 2007, al permesso di costruire in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008 e all’atto di declaratoria di decadenza n. 8892 del 13 aprile 2010, atti non più impugnabili al momento della presentazione dei motivi aggiunti.

Passando al quarto motivo, anche in questo caso s’impone una declaratoria di irricevibilità della censura afferendo le argomentazioni ad ambiti estranei all’atto di acquisizione al patrimonio immobiliare del Comune di Montesarchio; è opportuno sottolineare comunque che si rivelano prive di sostanziale rilevanza le considerazioni espresse dal commissario ad acta, il quale, alla fine, ha provveduto non riconoscendo la sanatoria delle opere de quibus; inoltre, non vi è dubbio che si tratti di un complesso edilizio unitario, al riguardo essendo sufficiente porre mente alla circostanza per cui il permesso di costruire n. 38 del 16 maggio 2006, relativo al Centro Ricerche, fu dalla stessa società F.M. & (ampersand) C. s.a.s. richiesto non autonomamente, ma in variante al primo permesso di costruire n. 28 del 30 novembre 2004 avente ad oggetto l’altra parte del plesso industriale, segnatamente l’opificio.

Irricevibile per tardività è anche la quinta censura in quanto afferente ad un vizio genetico dell’ordinanza n. 78 del 20 settembre 2007 – specificamente l’omessa indicazione delle opere da acquisire – atto notificato in data 28 settembre 2007; in ogni caso, costituisce orientamento della Sezione, da cui non vi è ragione di discostarsi, quello secondo cui “a giustificare l’ingiunzione a demolire è necessaria e sufficiente un’analitica descrizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente, ogni altra indicazione esulando dal contenuto tipico del provvedimento.

In particolare, la misura dell’area da acquisire deve reputarsi meramente indicativa, in quanto la corretta determinazione potrà avvenire soltanto dopo il rituale accertamento, da parte del Comune, dell’inottemperanza all’ingiunzione, allorché sarà avviato, nell’ambito del procedimento sanzionatorio di cui all’art. 31, T.U. dell’Edilizia, un subprocedimento specificamente finalizzato alla precisa individuazione delle aree da acquisirsi gratuitamente ai sensi del terzo comma” (T.A.R. Campania Napoli VIII Sezione 9 febbraio 2012 n. 696).

La sesta censura, rilevato che la stessa non potrebbe che riferirsi al difetto di motivazione dell’impugnato atto di acquisizione al patrimonio immobiliare, anche sotto il profilo della proporzionalità – l’esame con riferimento a precedenti atti sanzionatori rivelandosi impedito da ragioni di irricevibilità per tardività – non è meritevole di accoglimento, dal momento che non incombe sulla P.A. l’obbligo di motivazione in ordine alla misura della acquisizione delle opere abusive al patrimonio comunale (T.A.R. Campania Napoli II Sezione 2 marzo 2012 n. 1082; T.A.R. Campania Napoli Sezione VII 3 novembre 2010 n.22291; T.A.R. Campania Napoli Sezione II 6 febbraio 2012).

Quanto al settimo motivo, se ne deve rilevare anche in questo caso l’inammissibilità per tardività, trattandosi di questioni non concernenti vizi propri dell’atto di acquisizione al patrimonio immobiliare, ma la fase antecedente di accertamento e di qualificazione giuridica degli illeciti e di applicazione della relativa sanzione; in ogni caso, va rilevato che l’ art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non si applica ad ipotesi di difformità sostanziale, essendo piuttosto volto alla sanatoria di opere conformi alla disciplina urbanistica, ma mancanti del previo rilascio del titolo edificatorio; nel caso di specie, il Comune di Montesarchio, con il permesso di costruire in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008 aveva riscontrato favorevolmente l’istanza di accertamento di conformità presentata dalla società F.M. & (ampersand) C. s.a.s., beneficio poi venuto meno per la mancata eliminazione di opere abusive non sanabili perché contrastanti con la disciplina urbanistica di riferimento.

Quanto alla mancata applicazione dell’ art. 38 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, va rilevato come tale istituto sia volto a tutelare l’affidamento di chi abbia realizzato opere edilizie in base ad un titolo successivamente annullato; ben diversa è dunque la condizione della società ricorrente i cui titoli edilizi – cioè quelli originari n. 28 del 30 novembre 2004 e n. 38 del 16 maggio 2006, oltre a quello in sanatoria n. 63 del 31 luglio 2008 – non sono mai stati annullati perché affetti da vizi di legittimità, ma risultano di fatto vanificati dall’omessa osservanza di specifiche prescrizioni che, ove adempiute, avrebbero reso il complesso industriale pienamente conforme agli strumenti urbanistici.

L’ottavo motivo aggiunto non è meritevole di accoglimento per le medesime ragioni poste a fondamento del rigetto del terzo e quarto dei motivi aggiunti, notificati il 2 marzo 2011 e depositati il 15 marzo 2011, dalla M. s.p.a. nel ricorso n. 4206/03 R.G. a cui si fa espresso rinvio.

Quanto all’ultimo motivo, nel rilevarne la tardiva proposizione in quanto afferente ad atti diversi da quello di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, si evidenzia che tutte le società del gruppo industriale interessate dalla vicenda descritta nel presente ricorso sono state informate e poste nelle condizioni di partecipare a tutte le fasi procedimentali culminate nell’adozione dei provvedimenti sanzionatori e decadenziali impugnati, come è dato evincere da quanto rappresentato nell’esame del secondo motivo aggiunto.

Al mancato accoglimento del ricorso segue anche il rigetto della domanda risarcitoria proposta con i motivi aggiunti.

Va anche respinto il ricorso n. 4465/11 R.G. proposto dalla Industria Olearia B.M. s.r.l., in qualità di proprietaria della particella 320 fol. 33 su cui sorge parte del complesso industriale oggetto di acquisizione.

Invero, oggetto del presente ricorso sono i medesimi atti impugnati dalla F.M. & (ampersand) C. s.r.l. nel giudizio n. 4123/10 R.G., avverso i quali sono state riproposte le stesse censure di cui ai motivi aggiunti notificati in quel giudizio al Comune di Montesarchio in data 1 luglio 2011 e depositati il 27 luglio 2011.

E’ dunque sufficiente rinviare a quanto già esposto dal Collegio a proposito di quelle censure per respingere la presente impugnativa, anche dal punto di vista della domanda risarcitoria.

Passando all’esame del ricorso n. 4580/11 R.G., con cui il Comune di Montesarchio ha impugnato il decreto del Presidente della Provincia di Benevento n. 20 del 13 maggio 2011, avente ad oggetto la nomina di un commissario ad acta in sostituzione dell’ente ricorrente riguardo alla definizione di sette richieste di rilascio di permesso di costruire, va respinta l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse sollevata dalle controinteressate F.M. & (ampersand) C. s.r.l., M. s.p.a. e I.O.B.M. s.r.l.

Invero, la portata lesiva del provvedimento impugnato per il Comune di Montesarchio non consiste tanto nel quomodo dell’esercizio dell’azione sostituita, rispetto alla quale l’ente è vincolato dal principio costituzionale di imparzialità, ma nel fatto stesso della sostituzione commissariale, idonea a privare l’ente locale senza alcuna legittima ragione di competenze proprie, in modo anche da pregiudicarne l’immagine morale.

Nel merito il primo motivo di ricorso è fondato.

L’ art. 21 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 stabilisce che “le regioni, con proprie leggi, determinano forme e modalita’ per l’eventuale esercizio del potere sostitutivo nei confronti dell’ufficio dell’amministrazione comunale competente per il rilascio del permesso di costruire”.

La Regione Campania all’art. 4 della L.R. 28 novembre 2001, n. 19 ha stabilito che “decorso inutilmente il termine per il rilascio del permesso di costruire, l’interessato può, con atto notificato o trasmesso in plico raccomandato con avviso di ricevimento, richiedere al competente organo comunale di adempiere entro il termine perentorio di quindici giorni dal ricevimento della richiesta.

Decorso inutilmente il termine di cui al comma precedente, l’interessato può inoltrare istanza al Presidente dell’Amministrazione Provinciale (…) il quale, sostituendosi all’Amministrazione inadempiente, nomina, con proprio decreto, entro i quindici giorni successivi, un commissario ad acta”.

Presupposto indefettibile per la sostituzione commissariale è l’inerzia serbata dall’ente comunale su un’istanza di rilascio di permesso di costruire; non ogni istanza rivolta all’amministrazione competente in via ordinaria è infatti compresa nell’ambito di applicazione dell’istituto, ma solo quelle aventi ad oggetto il rilascio di un permesso di costruire; d’altronde, la peculiare funzione della sostituzione è di superare uno stato di inerzia, affiancando al rimedio processuale del rito sul silenzio quello “domestico” del procedimento amministrativo di cui all’art. 4 della L.R. 28 novembre 2001, n. 19.

Ne discende che l’istituto non troverà applicazione in quelle ipotesi in cui il decorso del termine di conclusione del procedimento senza che il Comune abbia provveduto in modo espresso costituisca presupposto per la formazione di un provvedimento tacito di assenso o di rigetto.

Nel caso in esame, l’ art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 riconduce al decorso del termine di sessanta giorni, decorrenti dalla presentazione di un’istanza di accertamento di conformità, la formazione di un provvedimento tacito di rigetto.

Ne consegue che per i provvedimenti commissariali n. 3 (su istanza della M. s.p.a.), n. 4 (su istanza della I.O.B.M. s.r.l.), n. 6 (su istanza della I.O.B.M. s.r.l.), n. 8 (su istanza di F.M. & (ampersand) C. s.r.l.) e n. 9 (su istanza di F.M. & (ampersand) C. s.r.l.) del 15 giugno 2010, che hanno avuto ad oggetto tutti una richiesta di rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, il decorso del termine di sessanta giorni aveva determinato la formazione di un provvedimento tacito di rigetto, tale da escludere in radice la configurazione di un’inerzia del Comune di Montesarchio sanzionabile con la sostituzione commissariale.

Per quanto concerne i provvedimenti n. 5 (su istanza della I.O.B.M. s.r.l.) e 7 (su istanza della F.M. & (ampersand) C. s.r.l.), relativi a denuncie di inizio attività, l’impossibilità di ricorrere all’istituto di cui all’art. 4 è invece riconducibile alla mancata previsione anche di tali procedimenti tra quelli per cui è consentita la sostituzione, istituto le cui peculiarità impongono di ritenerlo come eccezionale e quindi di stretta applicazione.

Va anche rilevato che lo stesso commissario ad acta, nell’eseguire il proprio incarico, ha dichiarato il non luogo a provvedere su tutte le istanze per cui era stato nominato, assumendo – e ciò correttamente almeno per i Provv. n. 3 del 15 giugno 2010, Provv. n. 4 del 15 giugno 2010, Provv. n. 6 del 15 giugno 2010, Provv. n. 8 del 15 giugno 2010 e Provv. n. 9 del 15 giugno 2010 – che sulle stesse si era già formato un provvedimento tacito di rigetto.

Né valga replicare che egli avrebbe dovuto, una volta nominato, comunque provvedere espressamente nel merito; va invece rilevato che compito specifico del commissario restava pur sempre quello di esercitare una funzione di primo grado, mentre in presenza di atti – sebbene silenziosi – conclusivi dei procedimenti per cui vi era stata istanza di sostituzione, ogni intervento, confermativo o modificativo, sarebbe stato qualificabile come potere di secondo grado, estraneo alle logiche e finalità proprie dell’istituto di cui all’art. 4 della L.R. 28 novembre 2001, n. 19.

Ne discende la fondatezza, oltre che del primo motivo di impugnazione, anche del quarto, per non avere il Presidente della Provincia di Benevento, limitatamente alle cinque istanze di permesso di costruire in sanatoria, previamente verificata la sussistenza di una situazione di inerzia, decisamente esclusa dalla formazione dei provvedimenti taciti di rigetto.

In conseguenza dell’accoglimento, deve essere annullato il D.P. n. 20 del 13 maggio 2011 di nomina del commissario e tutte le impugnate determinazioni da questo adottate per carenza di legittimazione a provvedere.

Restano assorbite le altre censure.

L’annullamento dei provvedimenti commissariali, per il vizio assorbente di radicale mancanza dei presupposti per l’esercizio del potere sostitutivo, impone di dichiarare l’inammissibilità per carenza di interesse dei ricorsi n. 4713/11 R.G. e n. 5120/11 R.G. con cui, rispettivamente la M. s.p.a. e le società F.M. & (ampersand) C. s.r.l. e I.O.B.M. s.r.l. hanno impugnato i medesimi atti per vizi propri.

È opportuno tuttavia, rilevare l’infondatezza del primo motivo di impugnazione di entrambi i ricorsi in questione: a tal proposito, le ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità dei provvedimenti commissariali che avrebbero erroneamente dichiarato il non luogo a provvedere sulle istanze di rilascio di concessione in sanatoria, assumendo essersi già formato il silenzio diniego di cui all’ art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Tanto si ricaverebbe dal previgente testo dell’art. 43 della L.R. Campania 22 dicembre 2004, n. 16 che stabiliva quanto segue: “i responsabili dei servizi comunali competenti in materia di vigilanza sugli abusi edilizi trasmettono al presidente della giunta regionale l’elenco, corredato della relativa documentazione, delle opere abusive per le quali è stato richiesto l’accertamento di conformità previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, articolo 36.

2. Il presidente della giunta regionale, trascorso il termine di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, articolo 36, comma 2, diffida il comune a pronunciarsi con provvedimento espresso sulla richiesta di accertamento di conformità entro i termini di cui alla L.R. n. 19 del 2001, articolo 1.

3. In caso di protratta inerzia del comune, il presidente della giunta regionale richiede l’intervento sostitutivo della provincia, da espletarsi nei termini e con le modalità di cui alla L.R. n. 19 del 2001, articolo 4.

4. La provincia trasmette i provvedimenti adottati in ordine all’accertamento di conformità al presidente della giunta regionale, al comune inadempiente ed all’interessato. 5. Se l’accertamento di conformità dà esito negativo, si applicano le disposizioni di cui alla L.R. 18 novembre 2004, n. 10, articolo 10. 6. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i responsabili dei servizi comunali competenti in materia di vigilanza sugli abusi edilizi trasmettono al presidente della giunta regionale l’elenco delle opere abusive per le quali è stato richiesto e non ancora compiuto l’accertamento di conformità previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, articolo 36, corredato della relativa documentazione”.

Il Collegio, oltre a rilevare il rapporto antinomico esistente tra la disposizione legislativa regionale – successivamente abrogata dall’articolo 4 della L.R. Campania n. 1 del 5 gennaio 2011 – e l’ art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, evidenzia come le ricorrenti, una volta decorso il termine per provvedere, avrebbero dovuto reagire in sede processuale avverso l’inerzia del Comune di Montesarchio nell’attivazione del procedimento di ufficio di cui alla normativa regionale richiamata, a cominciare dalla mancata trasmissione dell’elenco delle istanze di accertamento di conformità. In assenza di tale iniziativa, difettano del tutto i presupposti per l’applicazione della ormai abrogata disposizione regionale al fine di qualificare il comportamento del Comune di Montesarchio in termini di inadempimento, essendo, in particolare, mancata la diffida del Presidente della Giunta regionale di cui al secondo comma che qualifica tale condotta come ingiustificato silenzio.

Quanto al regime delle spese processuali, in considerazione della complessità della vicenda e della novità di molte questioni esaminate, sussistono giusti motivi per disporne l’integrale compensazione tra le parti di tutti i giudizi riuniti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava) definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti:

– previa riunione dei ricorsi n. 4206/03 R.G., 4123/10 R.G, n. 1457/11 R.G, n. 4465/11 R.G., n. 4580/11 R.G., 4713/11 R.G., n. 5120/11 R.G.;

– dichiara inammissibili i ricorsi n. 4713/11 R.G. e n. 5120/11 R.G.;

– respinge i ricorsi n. 1457/11 R.G., n. 4123/10 R.G. n. 4465/11;

– accoglie il ricorso n. 4580/11 R.G. e per l’effetto annulla il decreto del Presidente della Provincia di Benevento n. 20 del 13 maggio 2011 di nomina del commissario e le impugnate Det. n. 3 , Det. n. 4 , Det. n. 5 , Det. n. 6 , Det. n. 7 , Det. n. 8 e Det. n. 9 dallo stesso adottate in data 15 giugno 2010;

– accoglie il ricorso n. 4206/03 R.G. limitatamente all’impugnazione dei provvedimenti del Comune di Montesarchio n. 13367 del 5 luglio 2011 e n. 14249 del 15 luglio 2005 di cui va disposto l’annullamento; respinge tutte le ulteriori censure proposte

– respinge le domande risarcitorie;

– compensa le spese per tutti i giudizi riuniti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nelle camere di consiglio del giorno 7 marzo e 18 aprile 2012

Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2012.