Escalation suicida, chi soccorre i soccorritori?

Forse sarebbe meglio non parlarne, non diffondere notizie, forse a questo punto dobbiamo rassegnarci alla sequenza di morte suicida, in una sola giornata sono due le Giacche Blu che hanno deciso di sopprimere se stessi.

Ieri a Siracusa Tommaso (nella foto), un Agente della Polizia di Stato appartenente al Reparto Mobile di Bologna, decide di togliersi la vita, si dice a seguito di una relazione sentimentale finita male.

Non passano molte ore e a Gorizia, Massimo con le stesse modalità, preme il grilletto non vedendo altra via d’uscita se non il fragore di quella volata rivolta contro se stesso, la motivazione anche questa volta sembra essere sentimentale.

Rimanere inermi di fronte a questa ecatombe è da vigliacchi, non cercare di capire e comprendere cosa stia succedendo e perché significa rassegnarsi al fatto che uno dei gesti più contro natura che una persona possa compiere è di fatto qualcosa di normale anche per uno che a suo tempo è stato scelto per doti di equilibrio psichico e mentale.

Ad oggi il 2015 vede 13 appartenenti alla Polizia di Stato morti per propria tragica scelta, in una media ormai di due al mese e che se continua così rischi di crescere ancora.

Ci diciamo spesso che è colpa dello stress, di un lavoro che richiede tante energie positive per sopravvivere e contrastare le storture che la società ci chiede spesso di gestire.

Energia da dividere tra il lavoro, gli affetti, i figli, le mogli, i genitori che della società fanno parte e che magari anch’essi portano con se una qualche involontaria stortura.

Quando il carico però diventa eccessivo ecco che qualcosa si rompe, quando la mente non capisce dove trovare l’alternativa si accarezza il principio che forse è meglio farla finita, alle volte senza nemmeno farsi aiutare.

Perché non esiste peggior disagio che non sia quello che non si vuole affrontare, condividere, risolvere, si preferisce morire perché l’aiuto quando offerto, non di rado, si rifiuta.

Ed i motivi del rifiuto chissà quali sono, uno dei tanti forse è quello di far comprendere alle divise che il disagio della mente è un qualcosa che può capitare a tutti, anche a chi indossa un’uniforme.

Perché è forte il retaggio culturale che impone a Poliziotti e Carabinieri a non presentarsi in ufficio con un certificato medico per un qualche disagio psichico perché la prima cosa che pensa il sistema è a toglierti la pistola ( o almeno così si dice) e a considerarti solo ed esclusivamente un problema.

In un lavoro a così alta matrice identitaria vedersi considerati degli appestati, messi in aspettativa e fattivamente lasciati alla gestione individuale del proprio problema è forse peggio della malattia o dello stesso disagio.

Per non parlare del fatto che in malattia si perdono soldi e spesso gestire mutuo, figli e famiglia senza le indennità economiche legate al lavoro aggiunge problemi ai problemi.

Per questo forse per diminuire un fenomeno che ormai sta assumendo proporzioni preoccupanti è necessario investire su politiche interne ai corpi capaci di dare vera assistenza senza paura di essere messi alla porta, senza lo spettro, l’ennesimo in quei casi, di perdere il posto di lavoro, di dover aggiungere alla propria vita, in quel modo, un’ ulteriore sconfitta e delusione.

Ed è questo che si chiede al nostro Ministero, semplicemente di prevenire queste situazioni con maggiore vicinanza, meno “criminalizzazione”, maggiore risposta empatica verso quelle Giacche Blu che non vogliono aggiungere alla loro già difficile situazione umana e mentale quella di dover essere messi a casa e considerati da tutti dei poveri pazzi.

Ma non è solo l’organizzazione a dover fornire i giusti approcci ma anche e soprattutto quei colleghi, amici e non solo, che troppo facilmente nella loro ignoranza sostengono che vestire una divisa non possa prevedere debolezza alcuna; questo è forse il vero male da debellare.

Rimanere soli nel proprio disagio umano deve diventare l’eccezione e non la regola, chiedere alle istituzioni, Polizia e Carabinieri in primis, di intervenire con politiche capaci di imporre un cambio di mentalità è probabilmente il primo passo per rallentare questa tragica e assurda sequenza di morte.

Perché anche le divise hanno bisogno di essere aiutate ma per loro che sono abituate ad aiutare è spesso tanto più difficile.

(Michele Rinelli)