Fucili da caccia e munizioni: ecco i limiti da rispettare.

Sulla disciplina relativa ai limiti alle munizioni per i fucili da caccia, recentemente modificata dalla riforma del 2014, l’approfondimento si sofferma sulla disciplina previgente e sulle criticità interpretative insorte in seno alla giurisprudenza di legittimità e di merito, dedicando poi ampio spazio alla legge n. 166/2014 e ai limiti fissati dall’attuale regime normativo nell’esercizio della caccia.

Il numero di cartucce utilizzabili nei fucili da caccia

(dopo le modifiche apportate dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, all’art. 13 della legge n. 157/92).

1. – La disciplina precedente alla riforma del 2014 ed i problemi interpretativi insorti durante la sua vigenza.

L’art. 13, comma 1, della legge 157 del 1992, nella sua versione originaria (prima della recente modifica introdotta prima dal D.L … , poi convertito con mod., in L. 11 agosto 2014, n.116) stabiliva che “l’attività venatoria è consentita con l’uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore  contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12, nonché con fucile con canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di altezza non inferiore a millimetri 40”.

La limitazione al numero di cartucce nei fucili da caccia è stata introdotta nel nostro ordinamento in attuazione della direttiva 79/409/CEE, che all’art. 8 aveva imposto agli Stati membri di vietare il ricorso a qualsiasi mezzo di cattura o di uccisione in massa o non selettivo delle specie di uccelli tutelate dalla direttiva ed in particolare delle specie elencate nell’allegato IV, lettera a).

L’espresso riferimento alle specie di “uccelli” aveva suggerito al legislatore di differenziare la disciplina fra armi a canna liscia, normalmente utilizzate per la caccia agli uccelli, e le armi a canna rigata, utilizzate invece per la caccia ad altre tipologie di prede (per lo più mammiferi).

La violazione al divieto imposto dall’art. 13 è stato sanzionato penalmente, dall’art. 30, lettera h), della medesima legge n. 157/92, che ha previsto la pena dell’ammenda (fino a lire 3.000.000) per chi esercita la caccia con mezzi vietati (ritenendosi tale un fucile contenente più cartucce di quelle consentite).

La norma – apparentemente chiara, in quanto stabiliva il limite di tre cartucce (una in canna e due nel caricatore) solo per il fucile a canna liscia – è stata però interpretata in modo non univoco, non solo dagli Organi di controllo (Polizia Giudiziaria) e dalle varie Procure della Repubblica, di volta in volta interessate all’accertamento dell’illecito, ma anche dalla giurisprudenza di legittimità.

Ciò ha provocato non poche incertezze sulla possibilità di utilizzare per la caccia, nei fucili a canna rigata, un numero di cartucce superiore a tre (una in canna e due nel caricatore) ed ha esposto i cacciatori a gravi conseguenze, nel caso in cui veniva effettuato il sequestro preventivo dell’arma e formulata nei loro confronti l’imputazione per violazione dell’art. 13, ai sensi dell’art. 30, lett. h (caccia con mezzi non consentiti).

In pratica, mentre appariva pacifico che il divieto di contenere nel caricatore un numero di cartucce superiore a due si applicasse ai fucili a canna liscia, regnava la massima confusione per i fucili a canna rigata (carabine), in quanto non tutti erano d’accordo sulla inapplicabilità del predetto limite a tale tipologia di armi da caccia.

A complicare il contesto interpretativo militavano anche alcune sentenze contrastanti della Suprema Corte, che – in aperta violazione della sua funzione “nomofilattica” – ha deciso in modo apertamente diverso l’identica questione relativa al numero di cartucce utilizzabili nella armi a canna rigata durante l’attività venatoria.

Si consideri che nel medesimo anno 1999, la stessa sezione (III) della Suprema Corte di Cassazione ha:

– prima, sancito che la limitazione imposta dall’art. 13 della legge 157/92 (due soli colpi nel caricatore) era da riferire ai soli fucili con canna ad anima liscia  (Cass. Pen. Sez. III, sent. 18 maggio 1999, n. 1897, sulla scorta di un precedente orientamento risalente al 1995, sent. n. 684 del 7.04.1995);

– poi, rinnegato tale insegnamento, affermando (solo pochi giorni dopo) che le carabine potevano essere autorizzate per la caccia solo se dotate di caricatore atto a contenere non più di due cartucce (Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 2075 del 02.06.1999);

– infine, tornando ancora una volta sui propri passi, ribadito che la limitazione del numero di cartucce inseribili nel caricatore dell’arma era riservata solo ai fucili con canna liscia e non anche a quelli con canna rigata, fra i quali rientrano le carabine (Cass. Pen., Sez. III, n. 3316 del 06.12.1999).

Nella pronuncia appena richiamata, la Suprema Corte ha avuto anche modo di spiegare, dettagliatamente, che non sussisteva alcuna illogicità fra le due previsioni, proprio per le diverse caratteristiche dei fucili con canna ad anima liscia rispetto a quelli con canna ad anima rigata, oltre che per il loro distinto impiego ai fini venatori.

L’interpretazione accolta dalla Suprema Corte è supportata anche dai lavori parlamentari preparatori, dal cui esame si evince che furono respinti tutti i diversi emendamenti proposti, al testo dell’art. 13, co. 1, della legge sulla caccia (dall’On. Spena e dai Sen. Pagani, Nebbia, Boato, Corleone, Livers, Modugno e Pollice), miranti ad estendere anche ai fucili ad anima rigata la limitazione a due delle cartucce nel caricatore.

La Suprema Corte non ha mancato di far riferimento anche alle ragioni che hanno indotto il Legislatore a prevedere una disciplina diversa per le due tipologie di fucili da caccia. Infatti, la direttiva comunitaria 409/79 “prescriveva, all’art. 8, il divieto di utilizzo di armi  semiautomatiche con caricatore contenente più di due colpi, solo relativamente alla caccia degli uccelli e non anche a quella dei mammiferi ed, in particolare, degli ungulati, dal che può trarsi spunto per ritenere che l’interpretazione data alla norma di cui all’art. 13 co. 1 L. 157/’92 non è contraria a norme o principi di diritto comunitario, dal momento che per la caccia dei primi viene abitualmente usato il fucile ad anima liscia, mentre per quella dei mammiferi i cacciatori adoperano quello ad anima rigata come la carabina”.

Dalle esposte considerazioni, la Suprema Corte ha fatto discendere il principio di diritto secondo cui “per i fucili a canna rigata, fra i quali va annoverata la carabina sequestrata, adoperati a scopo venatorio, non è prevista la limitazione di cartucce nel caricatore esistente, invece, per quelli ad anima liscia; che, quindi, il reato di cui agli artt. 13 e 30 lett. h) L. 157/’92 deve ritenersi illegittimamente ipotizzato a carico dell’indagato e che le cose a quest’ultimo sequestrate non possono essere considerate corpi di reato e debbono essere restituite all’avente diritto”.

2. – Una recente decisione di merito riferita al regime ante riforma.

Nonostante la Suprema Corte con la richiamata sentenza abbia rinnegato l’esistenza di un consolidato contrasto di giurisprudenza che ne legittimasse la rimessione alle sezioni unite penali, in tale confusione interpretativa, spesso la PG ha proceduto al sequestro del fucile a canna rigata, contenente più di due cartucce nel caricatore, sul presupposto che il divieto sancito dalla legge si riferisse anche a tale tipologia di armi.

Prima della recente riforma, che – come fra breve si vedrà – ha finalmente chiarito in modo definitivo il numero di cartucce utilizzabili durante la caccia con il fucile ad anima rigata (carabina), sono intervenute alcune decisioni di merito, fra le quali si segnala la pronuncia del Tribunale di Avellino del 14.05.2014 (in sede di riesame delle misure cautelari richieste dal PM ed applicate dal GIP nel confronti di un cacciatore che esercitava l’attività venatoria con carabina munita di una cartuccia in canna e quattro nel caricatore). Il tribunale irpino aveva correttamente interpretato l’art. 13 della legge n. 157/92, giungendo alla conclusione che il limite di tre cartucce (una in canna e due nel caricatore) valeva solo per i fucili ad anima liscia (Cfr. Provvedimento del 14.05.2014).

In particolare, il Tribunale di Avellino – nel richiamare la sentenza della Suprema Corte del 6.12.1999, n. 3316 – ha anche ritenuto che dal verbale di sequestro si evinceva che l’arma in sequestro era descritta come “carabina” e che dagli atti trasmessi dal PM non emergeva la prova che si trattasse di arma a canna liscia, unica ipotesi nella quale la legge limitava le cartucce contenibili nel caricatore a due.

Anzi, secondo il Tribunale di Avellino, gli articoli di riviste specializzate in materia di caccia, prodotti dalla difesa, hanno dimostrato che l’arma in sequestro, qualificata dai verbalizzanti come “carabina”, era effettivamente a canna rigata.

Pertanto, il Tribunale ha accolto la richiesta di riesame, annullando il decreto di sequestro preventivo, e disposto la restituzione dell’arma all’avente diritto. Di conseguenza, il PM ha chiesto ed ottenuto dal GIP l’archiviazione del procedimento per infondatezza della notizia di reato.

3. La riforma attuata nel 2014 (D.L. 24.06.2014 n. 91, conv. con mod. in L. 11 agosto 2014, n. 116) e l’attuale regime.

L’art.16 del D.L. decreto legge n. 91 del 24 giugno 2014 [“Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché  per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea] ha introdotto alcune modifiche alla legge 11 febbraio 1992, n.157. Ai fini che qui interessano, il comma 2 della richiamata norma ha previsto:

“All’articolo 13, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n.157, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «I caricatori dei fucili ad anima rigata a ripetizione semiautomatica impiegati nella caccia non possono contenere più di due cartucce».

Il D.L. pubblicato in G.U. – Serie Generale n. 144 del 24-6-2014 – ha esteso il limite di due cartucce nel caricatore previsto per i fucili a canna liscia anche ai fucili a canna rigata, equiparando la disciplina per le due tipologie di armi.

Tale previsione è stata molto criticata, proprio in ragione della diversa natura – e del diverso utilizzo – delle armi con canna ad anima liscia rispetto a quelle ad anima rigata.

Del resto, come si è visto, la Suprema Corte già nelle due sentenza del 1999 (n. 1897 e n. 3316) aveva evidenziato che la ratio delle due diverse discipline era da individuare proprio nel diverso utilizzo delle due armi (fucili a canna liscia per la caccia gli uccelli; fucili a canna rigata per la caccia della grossa fauna ungulata).

In seguito al dibattito che ne è sorto, la legge 11 agosto 2014, n. 116 ha apportato alcune rilevanti modifiche al testo originario del decreto legge n. 91 del 24 giugno 2014, in sede di conversione.

Pertanto, il testo dell’art. 13, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, nella parte modificata, oggi in vigore, così recita:

“i caricatori dei fucili ad anima rigata a ripetizione semiautomatica non possono contenere più di due cartucce durante l’esercizio dell’attività venatoria e possono contenere fino a cinque cartucce limitatamente all’esercizio della caccia al cinghiale”.

In prima battuta, si evidenzia che la limitazione a due cartucce nel caricatore, inizialmente introdotta dal D.L. n. 91/2014, è stata mantenuta anche per i fucili a canna rigata a ripetizione semiautomatica, ma solo per la caccia alle specie diverse dal cinghiale.

Invece, durante l’esercizio della caccia al cinghiale, per le carabine (fucili a canna rigata) a ripetizione semiautomatica è stata prevista la possibilità di inserire cinque cartucce nel caricatore.

Ne consegue che le carabine a ripetizione semiautomatica possono contenere tre cartucce (una in canna e due nel caricatore) per la caccia alle specie diverse dal cinghiale; mentre possono contenere sei cartucce (una in canna e cinque nel caricatore) solo per la caccia alla specie cinghiale.

Se tale previsione ha avuto sicuramente il merito di porre fine alle dispute insorte in passato, circa l’estensibilità della limitazione anche a fucili con canna rigata, bisogna tuttavia evidenziare che essa pone numerosi nuovi problemi interpretativi.

Innanzitutto, è da chiarire il riferimento ai “fucili ad anima rigata a ripetizione semiautomatica”.

La legge limita l’uso delle cartucce nel caricatore (rispettivamente a cinque e a due, a seconda se si eserciti la caccia al cinghiale o ad altre specie) solo per i fucili a canna rigata a ripetizione semiautomatica.

Tale dato letterale lascia intendere che non sono previsti limiti alla quantità di cartucce che si possono inserire in un caricatore di un fucile a canna rigata che non sia a ripetizione semiautomatica.

Com’è noto, esistono varie tipologie di carabine da caccia che non hanno un funzionamento “semiautomatico” (si pensi alle c.d. carabine a leva o lever action, oppure alle carabine bolt action o “a ripetizione semplice manuale con otturatore cilindrico girevole scorrevole“).

Stando al tenore della norma, così come modificata, tali particolari tipologie di carabine potrebbero essere dotate di caricatori senza limitazioni di cartucce, se non quelle previste dalla casa costruttrice.

Va anche detto che per il loro meccanismo di funzionamento le carabine non semiautomatiche sono molto più lente nell’attività di caricamento. Probabilmente tale considerazione ha determinato la diversità di disciplina, che potrebbe tuttavia condurre ad incomprensioni fra gli Organi di vigilanza e gli utilizzatori dell’arma.

Inoltre, possibili problemi interpretativi potrebbero sorgere in merito alla “tipologia” di caccia esercitata.

La legge consente oggi al cacciatore di utilizzare cinque cartucce nel caricatore per l’esercizio della caccia al cinghiale.

Ovvie contestazioni potrebbero sorgere per stabilire se il cacciatore al momento del controllo stia esercitando o meno la caccia al cinghiale.

Infatti, la legge non ha specificato cosa si intende per “esercizio della caccia al cinghiale”.

Si consideri il caso di un cacciatore che violi le norme stabilite dai vari regolamenti per l’esercizio della caccia al cinghiale, utilizzando un fucile a canna rigata a caricamento semiautomatico contenente più di due cartucce. Ad esempio, il cacciatore abbatte un cinghiale, in periodo consentito, non esercitando la caccia in battuta (nonostante il regolamento specifico imponga tale unica tipologia di caccia), ma da solo.

In tal caso si potrà ritenere violata (anche) la disposizione dell’art. 13 in esame ?

Il mancato rispetto di una disposizione regolamentare sull’esercizio della caccia al cinghiale potrebbe rendere applicabile la sanzione penale, prevista dall’art. 30 lett. h della legge 157/1992, per chi utilizza il fucile con un numero di cartucce nel caricatore superiore a due ?

Oppure bisogna guardare all’aspetto sostanziale, ossia a cosa si caccia in concreto, a prescindere dalle regole imposte per quella particolare tipologia di caccia ?

La questione non è di poco conto, considerato che la violazione dell’art. 13 è sanzionata penalmente. L’interpretazione letterale della norma dovrebbe condurre a ritenere configurato il reato solo se si cacciano specie diverse dal cinghiale, con un numero di cartucce non consentito.

Tuttavia, conoscendo il rigore con cui vengono trattati casi in cui si violino norme a tutela della fauna selvatica, si esprimono forti dubbi che la giurisprudenza si assesterà sui posizioni più tolleranti.

Ad ogni modo, se si volesse aderire alla tesi più rigorosa, secondo cui la violazione dei regolamenti amministrativi che disciplinano l’esercizio della cinghiale non consentirebbe di ritenere legittimo l’uso del fucile a canna rigata contenente (fino a) cinque colpi nel caricatore, si correrebbe seriamente il rischio di provocare, in sede penale, un trattamento diverso di fattispecie perfettamente identiche sul territorio nazionale, con evidente violazione di basilari principi costituzionali. Si consideri il caso in cui in una regione sia possibile esercitare la caccia al cinghiale “in solitaria”, senza partecipare alle battute organizzate, mentre nella regione limitrofa ciò non sia possibile.

In tale ipotesi, abbastanza frequente nella realtà, si correrebbe il rischio di sanzionare in modo diverso la medesima fattispecie, verificatasi nello stesso tempo, magari a distanza di pochi chilometri, con evidente violazione del precetto costituzionale.

Tale semplice riflessione consiglierebbe di aderire alla tesi secondo cui andrebbe accertato in concreto l’esercizio della caccia verso quale specie è diretto, senza ritenere che la violazione del regolamento locale possa interferire con l’applicazione del precetto penale.

4. – Conclusioni.

Alla luce delle considerazioni svolte, dunque, si può ritenere che l’attuale regime normativo consente di utilizzare per l’attività venatoria (ferme le limitazioni di calibro, previste dal medesimo art. 13 della legge 157/92):

a)  Fucili con canna ad anima liscia contenenti non più di due colpi nel caricatore (più uno in canna ovviamente);

b)  Fucili con canna ad anima rigata (c.d. carabine) a funzionamento semiautomatico contenenti non più di due colpi nel caricatore (oltre uno in canna), per tutte le tipologie di caccia, eccetto che per l’esercizio della caccia al cinghiale;

c)  Fucili con canna ad anima rigata (c.d. carabine) a funzionamento semiautomatico contenenti non più di cinque colpi nel caricatore (oltre uno in canna) per il solo esercizio della caccia al cinghiale;

d)  Fucili con canna ad anima rigata (c.d. carabine) a funzionamento non semiautomatico (c.d. carabine a leva e bolt action) per qualunque tipologia di caccia, contenenti nel caricatore anche più di cinque colpi, che incontrano come unico limite il numero massimo di cartucce previsto dalla casa costruttrice.