Furto in appartamento. Ponteggio per lavori di restauro: chi risponde dei danni? Il Condominio? E’ configurabile, ed eventualmente in quali termini, una responsabilità del condominio per i danni subiti dal condomino a seguito del furto ad opera di ignoti che abbiano approfittato delle impalcature installate sulla facciata dell’edificio per l’esecuzione dei lavori di restauro appaltati appunto dal condominio?

(Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 20 giugno 2017, n. 15176)

…, omissis …

Fatti di causa

Gueco S.r.l., conduttrice di un appartamento sito al terzo piano di un edifico sulla cui facciata erano state installate dalla (…) S.r.l. delle impalcature per l’esecuzione di opere ad essa appaltate dal condominio di (omissis) , ha convenuto in giudizio l’appaltatrice ed il condominio committente, chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti a seguito del furto subito ad opera da ignoti nella notte tra il (omissis).

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Roma.

La Corte di Appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado, ma questa Corte, con sentenza n. 23583 del 17 ottobre 2013, ha cassato con rinvio la relativa pronunzia.

All’esito del giudizio di rinvio, la Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, ha dichiarato improcedibile la domanda proposta nei confronti di (…) S.r.l., frattanto dichiarata fallita, ed ha nuovamente rigettato l’appello dell’attrice. Ricorre Gueco S.r.l. in liquidazione, sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso il condominio di via (omissis).

Non ha svolto attività difensiva in questa sede la curatela intimata.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis.1 c.p.c..

Sia la società ricorrente che il condominio controricorrente hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “falsa e/o erronea applicazione della legge sulla responsabilità ex art. 2043 e 2051 c.c. con riferimento all’art. 360, n. 3 c.p.c.”. Il motivo, che risulta articolato sotto diversi profili di censura, è in parte infondato ed in parte inammissibile.

1.1 La società ricorrente sostiene, in primo luogo, la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui nega la responsabilità del condominio, quale custode del ponteggio che aveva agevolato il furto, in quanto tale responsabilità sarebbe stata in realtà già affermata nella originaria pronuncia di secondo grado e non sarebbe stata oggetto di cassazione.

La censura è infondata.

La corte di appello, nella sua prima pronuncia, poi cassata, si era limitata ad affermare solo in astratto la possibile sussistenza di una eventuale responsabilità concorrente dell’appaltatore e del condominio committente.

Avendo però escluso la prova dell’effettiva sussistenza del furto, con le modalità dedotte dall’attrice – questione evidentemente di carattere preliminare ed assorbente – non si era pronunziata sulla effettiva sussistenza della responsabilità, né dell’appaltatore né, a fortiori, del condominio, che pertanto non aveva in alcun modo accertato in concreto.

La Corte di Cassazione ha poi ritenuto insufficiente la motivazione della predetta decisione proprio con riguardo alla ritenuta esclusione della sussistenza della prova del furto, mentre la questione dell’eventuale responsabilità dell’appaltatore e del condominio è stata rimessa alla valutazione da effettuarsi nel giudizio di rinvio.

1.2 Sotto diverso profilo, la società ricorrente denunzia la violazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. in relazione alla soluzione della questione di diritto della responsabilità del condominio committente per il furto in appartamento condominiale commesso con accesso dalle impalcature installate in occasione della ristrutturazione dell’edificio.

In realtà il descritto profilo di censura si risolve nella contestazione di accertamenti in fatto operati dai giudici del merito e da questi posti a base della relativa decisione in diritto, la quale può ritenersi in linea con i principi che regolano la materia, con le precisazioni e le integrazioni che seguono.

Secondo costante e risalente giurisprudenza di questa Corte, in caso di furto in appartamento condominiale commesso con accesso dalle impalcature installate in occasione della ristrutturazione dell’edificio, è certamente configurabile la responsabilità dell’imprenditore, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per omessa ordinaria diligenza nella adozione delle cautele atte ad impedire l’uso anomalo dei ponteggi (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 539 del 24/01/1979, Rv. 396659 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2836 del 17/05/1979, Rv. 399152 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5840 del 23/05/1991, Rv. 472330 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9707 del 06/10/1997, Rv. 508566 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5775 del 10/06/1998, Rv. 516322 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7921 del 26/04/2004, Rv. 572330 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2844 del 11/02/2005, Rv. 579721 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12111 del 23/05/2006, Rv. 590844 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 24897 del 25/11/2005, Rv. 585727 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8630 del 12/04/2006, Rv. 592533 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 292 del 10/01/2011, Rv. 615249 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 19399 del 30/09/2016, Rv. 642589 – 01).

Una responsabilità del condominio committente, concorrente con quella dell’appaltatore, è ritenuta altresì configurabile (secondo i principi generali, e quindi sempre ai sensi dell’art. 2043 c.c.) in caso di concreta riferibilità ad esso dell’evento, per “culpa in eligendo” (e cioè per essere stata affidata l’opera ad un’impresa assolutamente inidonea), o laddove l’appaltatore – in base ai patti contrattuali – sia stato un semplice esecutore dei suoi ordini ed abbia agito quale “nudus minister”, attuandone specifiche direttive.

Secondo alcune pronunzie, il condominio potrebbe inoltre essere chiamato a rispondere del danno in concorso con l’appaltatore anche per l’omessa vigilanza e custodia cui è obbligato quale soggetto che ha disposto l’installazione ed il mantenimento della struttura; in proposito viene sovente richiamata la responsabilità per cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c. (cfr. ad es., tra le più recenti: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 26900 del 19/12/2014, Rv. 633699 – 01, citata dalla società ricorrente; in senso analogo, in precedenza: Sez. 3, Sentenza n. 6435 del 17/03/2009, Rv. 607529 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4591 del 22/02/2008, Rv. 601941 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9707 del 06/10/1997, Rv. 508566 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 913 del 09/02/1980, Rv. 404344 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 691 del 10/03/1972, Rv. 356793 – 01).

Peraltro, ai fini della sussistenza della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. sono necessari due presupposti: a) una relazione diretta tra la cosa e l’evento dannoso, intesa nel senso che la prima, per il suo intrinseco dinamismo o per l’insorgere in essa di un evento dannoso, abbia prodotto direttamente il secondo, e non sia stata invece solo lo strumento mediante il quale l’uomo abbia causato il danno con la sua azione od omissione; b) un effettivo potere fisico del soggetto sulla cosa, comportante a carico del predetto l’obbligo di vigilare la cosa medesima e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che essa produca danni a terzi (cfr. espressamente in tal senso: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 520 del 22/01/1980, Rv. 403906 – 01; nel medesimo senso; Sez. 3, Sentenza n. 3722 del 21/10/1976, Rv. 382419 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3994 del 28/08/1978, Rv. 393591 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 1682 del 15/02/2000, Rv. 533878 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11275 del 27/05/2005, Rv. 581920 – 01; cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 26901 del 19/12/2014, Rv. 633783 – 01 e, per certi aspetti, Sez. 3, Sentenza n. 2660 del 05/02/2013, Rv. 625158 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6306 del 13/03/2013, Rv. 625465 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21212 del 20/10/2015, Rv. 637445 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5910 del 11/03/2011, Rv. 617369 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8005 del 01/04/2010, Rv. 612274 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 28811 del 05/12/2008, Rv. 605943 – 01).

È quindi da escludere, in linea di principio, che – in caso di furto reso possibile dall’omessa adozione delle necessarie misure di sicurezza in relazione all’impalcatura di proprietà e/o installata, come nella specie, dall’appaltatore per effettuare lavori nello stabile condominiale – possa automaticamente affermarsi sussistere a carico del condominio committente, ai sensi dell’art. 2051 c.c., una responsabilità oggettiva o presunta, “da custodia” della struttura, della quale quest’ultimo ha semplicemente consentito l’installazione, laddove si riconosca a carico dello stesso appaltatore (proprietario e/o quanto meno diretto installatore e utilizzatore della predetta struttura) esclusivamente una responsabilità ordinaria per colpa, ai sensi dell’art. 2043 c.c..

In una siffatta ipotesi, la responsabilità del condominio committente può essere affermata esclusivamente ai sensi dell’art. 2043 c.c., in concorso con quella dell’appaltatore, per omissione degli obblighi di vigilanza sull’attività di quest’ultimo.

Ed in tale ottica costituisce questione di fatto stabilire in quali limiti ed in quali termini lo stesso condominio disponga, nella vicenda concreta, di tali poteri di vigilanza, ed eventualmente anche in che termini ed in che limiti sia comunque esigibile, secondo l’ordinaria diligenza che, nell’affidamento a terzi di lavori in appalto da svolgersi sulle parti comuni dell’edificio, esso si riservi in ogni caso siffatti poteri, a tutela dei condomini e dei terzi ai quali dai lavori stessi possano derivare eventuali pregiudizi.

Nella specie, i giudici di merito, sulla base dell’esame delle circostanze di fatto rilevanti e della prudente valutazione del materiale istruttorio, ed in virtù di adeguata motivazione, da una parte hanno in concreto escluso la sussistenza di un concreto potere di fatto, da parte del condominio, in relazione all’impalcatura montata dall’appaltatore, così negando in radice il presupposto del rapporto di custodia con la struttura che avrebbe agevolato il danno, e dall’altra parte hanno altresì accertato che non era stato dedotto, ancor prima che provato, un difetto di vigilanza sull’impresa da parte del condominio.

E le suddette questioni – di mero fatto – non possono essere nuovamente poste in discussione in sede di legittimità.

La ricorrente sostiene in effetti, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di appello, che il condominio committente avrebbe in realtà mantenuto il potere di fatto, con correlativo obbligo di custodia e vigilanza, sul ponteggio montato dall’impresa appaltatrice.

Alla base di tale affermazione pone una diversa interpretazione delle clausole del contratto di appalto (in particolare, quelle riguardanti la nomina di un Direttore dei Lavori e i poteri di indirizzo ad esso attribuiti, anche per la gestione delle strutture utilizzate) rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, nonché la sussistenza di determinate circostanze, a suo dire desumibili dalla relazione del consulente tecnico di ufficio, le quali deporrebbero nel senso da essa dedotto.

Censura inoltre l’ulteriore rilievo della corte di appello, per cui non era stato né dedotto né tanto meno provato il difetto di vigilanza sull’impresa da parte del condominio, e ciò sul presupposto del carattere oggettivo della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., o quanto meno dell’inversione di prova che tale disposizione determinerebbe.

Ma per il primo profilo si tratta, come già chiarito, di contestazioni attinenti a giudizi di fatto insindacabilmente operati dai giudici del merito e adeguatamente motivati, come tali certamente non censurabili in sede di legittimità, mentre per il secondo, una volta esclusa la responsabilità del condominio ai sensi dell’art. 2051 c.c., il rilievo della mancata allegazione di un difetto di vigilanza risulta correttamente operato nell’ottica dell’esclusione della sussistenza di una sua condotta colposa, quale committente, ai sensi dell’art. 2043 c.c., in relazione all’attività direttamente posta in essere dall’impresa stessa.

1.3 Sostiene infine la ricorrente che, quale mera conduttrice dell’immobile in cui era avvenuto il furto, e non rivestendo la qualità di condomino del fabbricato, essa era estranea al contratto di appalto stipulato tra condominio e impresa appaltatrice, e quindi non le potevano essere opposte le condizioni pattuite in tale contratto, che di fatto esoneravano il condominio dalla sua responsabilità, ai sensi dell’art. 1372 c.c., avendo il contratto effetti solo tra le parti contraenti.

Anche questo profilo di censura non coglie nel segno.

Nell’ottica della decisione impugnata, non sono in realtà gli effetti giuridici negoziali del contratto di appalto a costituire il fondamento dell’esonero del condominio da responsabilità nei confronti della società attrice, ma la concreta situazione di fatto esistente in relazione alla cosa cui tale danno è stato ricondotto.

E il contratto di appalto stipulato tra condominio e impresa appaltatrice, sotto questo aspetto, assume il valore di una semplice circostanza di fatto, idonea – insieme alle altre emergenze della fattispecie concreta – a consentire di stabilire se il condominio committente disponeva di un concreto potere di fatto sulla struttura che aveva agevolato l’evento dannoso ovvero sull’attività dell’impresa.

La corte di appello non ha dunque affatto affermato l’efficacia negoziale del contratto di appalto ultra partes, in violazione dell’art. 1372 c.c., ma si è limitata a prendere correttamente in considerazione il suddetto contratto solo quale circostanza di fatto rilevante ai fini della valutazione di una eventuale responsabilità del condominio ai sensi degli artt. 2043 e 2051 c.c..

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “falsa e/o erronea applicazione della legge sulla condanna alle spese ex art. 91 c.p.c., 92, 2 co. c.p.c., con riferimento all’art. 360, n. 3 c.p.c.”.

Il motivo è manifestamente infondato.

La società ricorrente si duole della compensazione delle spese del giudizio di legittimità effettuata dalla corte di appello, assumendo che essa era risultata vittoriosa in tale giudizio.

Ma è sufficiente osservare, in proposito, che la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità rimessa al giudice del merito, a seguito di cassazione con rinvio, va operata in base all’esito complessivo e finale della lite, e non in base alla valutazione della vittoria o della soccombenza nei singoli gradi di essa, con la conseguenza che la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione e tuttavia soccombente in rapporto all’esito finale della lite, può essere legittimamente condannata al rimborso delle spese in favore dell’altra parte anche per il grado di cassazione (giurisprudenza costante di questa Corte; ex multis: Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20289 del 09/10/2015, Rv. 637441 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 19345 del 12/09/2014, Rv. 633115 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 14619 del 17/06/2010, Rv. 613410 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 2634 del 07/02/2007, Rv. 594750 – 01; nel medesimo senso, si vedano altresì: Sez. 2, Sentenza n. 15005 del 21/11/2000, Rv. 541940 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4909 del 10/03/2004, Rv. 570944 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7243 del 29/03/2006, Rv. 588131 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 14053 del 18/06/2007, Rv. 599971 – 01; Sez. L, Sentenza n. 50 del 07/01/2009, Rv. 606309 – 01).

La società attrice, integralmente soccombente nell’esito finale della presente controversia, avrebbe potuto (e di regola dovuto, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.), essere condannata al pagamento integrale delle spese di lite, onde la compensazione di esse, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., è stata effettuata in suo esclusivo favore.

Va di conseguenza esclusa la violazione degli art. 91 e 92 c.p.c. da parte dei giudici di merito.

3. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dall’art. 1, co. 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, co. 17, della citata legge n. 228 del 2012.

P.Q.M. 

La Corte: 

– rigetta il ricorso; 

– condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del condominio controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, ed oltre spese generali ed accessori di legge. 

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.