Gelosia – tentato omicidio – aggravante (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 26 ottobre 2018, n. 49129).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Mariastefania – Presidente –

Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere –

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –

Dott. DI GIURO Gaetano – rel. Consigliere –

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.N., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 24/04/2017 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CANEVELLI Paolo che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio limitatamente all’aggravante dei futili motivi, con rinvio per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, mentre il rigetto nel resto del ricorso;

è presente l’avvocato IPPOLITO CARMINE, del foro di NAPOLI in difesa di C.N., che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il G.i.p. del Tribunale di Napoli, con sentenza in data 28/09/2016, affermava la penale responsabilità di C.N. in ordine al tentato omicidio di B.A., aggravato dai motivi futili, ed al reato di porto fuori della propria abitazione di coltello, e lo condannava, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, ritenuta la continuazione tra i reati e tenuto conto della diminuente per il rito, alla pena di anni sei di reclusione.

La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato la suddetta pronuncia, riducendo la pena inflitta a C. ad anni cinque di reclusione.

1.1 Questi i fatti come ricostruiti dai Giudici del merito.

In data 23.3.16 era segnalata la presenza di una persona gravemente ferita presso l’ospedale (OMISSIS). Si trattava di B.A., il quale riportava “ferite all’emotorace sinistro, regione lombare sinistra, spalla sinistra con frattura costale e ferimento flennico sinistro”. Il suddetto veniva dapprima ricoverato in prognosi riservata e poi trasferito al reparto di chirurgia dello stesso ospedale.

Sentiti i suoi amici ( G.C. e L.A.), gli stessi affermavano che erano stati con lui presso il bar (OMISSIS), ove nelle prime ore della mattina avevano incontrato C., con il quale B. aveva avuto una discussione poi degenerata in scontro fisico, nel corso del quale B. aveva riportato le ferite sopra descritte.

Quest’ultimo confermava quanto detto dagli amici e riferiva che l’imputato gli aveva afferrato il braccio e lo aveva colpito alla schiena. C., dal canto suo, affermava che sarebbe stato B. ad inveire inizialmente nei suoi confronti, dicendo “che cazzo guardi a fare, ma quanta confidenza”, avvicinandosi successivamente e colpendolo prima con uno schiaffo e poi con una lattina di coca cola al viso; a seguito di ciò sarebbe nata una colluttazione, alla quale avrebbero preso parte anche gli amici di B. e durante la quale l’imputato (che inizialmente riferiva di avere sfilato un coltello dalle mani dello stesso B.) avrebbe sfilato il coltello dalle mani di uno degli amici della vittima, ferendosi alla mano, come da referto medico.

La Corte territoriale, con riferimento alla discrasia tra le due ricostruzioni del fatto, considera la testimonianza resa dalla persona offesa attendibile, in quanto precisa, puntuale, logicamente coerente e costante, oltre che confermata sia dai testimoni oculari che dalla compatibilità delle lesioni refertate con le modalità dell’aggressione subita.

Conclude col ritenere configurabili il tentato omicidio, sia sotto il profilo dell’elemento oggettivo che soggettivo, e l’aggravante dei futili motivi, e con l’escludere la legittima difesa anche nella forma putativa e come eccesso colposo.

Passando al trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata ritiene, infine, di individuare la pena base nel minimo edittale e ridurre conseguentemente la pena inflitta dal primo Giudice.

2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, C.N..

2.1 Con il primo motivo di impugnazione vengono denunciati erronea qualificazione giuridica del fatto, che andava qualificato in quello meno grave di lesioni volontarie, violazione dell’art. 59 c.p., comma 4, vizio di motivazione.

Ci si duole che, in assenza di accertamenti tecnici e peritali sulle condizioni della parte lesa, la Corte territoriale parli apoditticamente di “profondità delle lesioni” e di “forza impressa nel colpo tale da far versare la vittima in pericolo di vita”.

Si rileva che la condotta del ricorrente è stata posta in essere nel corso di una colluttazione, come evincibile dai fotogrammi estratti dal sistema di videosorveglianza che documentano che gli indumenti di C. erano ridotti a brandelli dall’azione-reazione del suo antagonista; fotogrammi trascurati completamente dalla Corte territoriale.

La difesa rileva che il fatto che le lesioni siano state cagionate durante una colluttazione non consente di concludere che vi sia corrispondenza tra le parti del corpo prese di mira e le parti effettivamente attinte e che la parte lesa si sia limitata a subire l’aggressione.

La difesa sottolinea come la motivazione sia apparente anche laddove esclude la legittima difesa pure nella forma putativa.

Evidenzia come la Corte incorra in una clamorosa contraddizione dell’iter argomentativo nell’affermare la sproporzione della reazione di C., pur ammettendo che la sua sia una reazione all’altrui aggressione posta in essere da più persone di cui una armata, alla quale il ricorrente sfilava l’arma ferendosi; mentre la presenza di più persone ostili, fiancheggiatrici di B., di cui una munita di arma da taglio, avrebbe dovuto indurre la Corte a ragionare in modo diverso, trattandosi di elemento fortemente in contrasto con l’assenza di una situazione di concreto pericolo per l’incolumità personale di C., apoditticamente negata anche nella forma putativa.

2.2 Col secondo motivo di impugnazione vengono denunciati violazione di legge e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione (art. 62 c.p., n. 2) e per la mancata esclusione dell’aggravante dei futili motivi ex art. 61 c.p., n. 1.

Ci si duole che la Corte abbia affermato, senza motivare sul punto, che la sproporzione tra il fatto ingiusto altrui e la condotta ascrivibile al ricorrente assurga a condizione ostativa dell’invocata attenuante.

La difesa sottolinea, poi, che secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità il concetto di abietto non può “riferirsi ai sentimenti di affetto o di amore propri di ogni essere umano” e che pertanto, nel caso in esame, andava esclusa l’aggravante dei futili motivi per essere l’agire del ricorrente ispirato ai sentimenti di affetto e di amore coltivati nei confronti dei componenti del proprio nucleo familiare, di cui vedeva insidiate la stabilità del rapporto di coppia e le future prospettive di crescita della prole, e per non potersi affermare che l’azione criminosa costituisca un mero e banale pretesto per dare sfogo ad una genetica aggressività dell’imputato, anche considerata l’assenza di precedenti di polizia e penali a suo carico.

Lamenta che sul punto la motivazione della Corte territoriale si risolva in una mera petizione di principio, facendo, altresì, riferimento a massime giurisprudenziali prive di pertinenza con la vicenda in esame.

Motivi della decisione

1. Il ricorso va accolto in relazione, in primo luogo, alla doglianza relativa alla mancata esclusione dell’aggravante dei futili motivi ex art. 61 c.p., n. 1.

La circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014 – dep. 02/10/2014, Barnaba, Rv. 260360: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l’aggravante in relazione ad una rissa insorta per questioni di tifo calcistico in quanto la passione per una attività sportiva non può mai giustificare possibili manifestazioni di violenza).

Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale accredita la versione resa dall’imputato (nelle dichiarazioni dinanzi al G.u.p., riportate a pag. 4 della sentenza di primo grado), secondo cui a fondamento del suo litigio con B. vi sarebbe la gelosia per la propria compagna e madre della propria figlia, di cui quest’ultimo sarebbe l’amante. E ciò nondimeno ravvisa il futile motivo, affermando che l’interesse dell’imputato a salvare la propria relazione con la convivente e comunque il proprio nucleo familiare contro l’interferenza di B. “non sono tali da ritenersi esimenti dei futili motivi contestati al C.”.

Nonostante una giurisprudenza di questa Corte, dalla quale in questa sede non ci si intende discostare, consolidata nell’affermare che non può configurare motivo abbietto o futile “la sola manifestazione per quanto parossistica e ingiustificabile di gelosia, che, collegata ad un sia pur abnorme desiderio di vita in comune, non è espressione di per sè di spirito punitivo nei confronti della vittima considerata come propria appartenenza, della quale pertanto non può tollerarsi l’insubordinazione” (Sez. 5, n. 35368 del 22/09/2006 – dep. 23/10/2006, P.M. in proc. Abate, Rv. 23500801; e nello stesso senso: Sez. 1, n. 9590 del 22/09/1997, Scarola, e Sez. 1, n. 1574 del 01/12/1969, Portelli).

Nel caso di specie, invero, per come prospettate le ragioni dell’aggressione posta in essere da C., non può parlarsi di “spinta al reato priva di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento logicamente accettabile con l’azione commessa, in guisa da risultare assolutamente sproporzionata all’entità del fatto e rappresentare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto, un’occasione per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale” (Sez. 1, n. 4453 del 11/02/2000, dep. 12/04/2000, Rv. 215806; in senso conforme, oltre alla già menzionata sentenza, Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, dep. 21/09/2007, Rv. 237686 e Sez. 6, n. 28111 del 02/07/2012 – dep. 13/07/2012, U. M., Rv. 253033).

A tale rigoroso quadro di principi non si è attenuta l’impugnata pronuncia, che, pur valorizzando il movente della gelosia, ravvisa la suddetta circostanza aggravante. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio sul punto della sentenza in esame, conformemente al disposto di cui all’art. 620 c.p.p., lett. l).

2. Fondate sono anche le altre doglianze di cui al ricorso, imponendosi, in relazione alle stesse, la necessità di una rivalutazione da parte della Corte territoriale. E ciò avendo riguardo alla stessa ricostruzione fattuale assolutamente insufficiente effettuata dalla sentenza impugnata.

Invero, la Corte, in tale pronuncia, da un lato, osserva come l’azione criminosa posta in essere da C. presenti gli elementi costitutivi del tentativo di omicidio:

a) per l’arma utilizzata, costituita certamente da un coltello a lama tagliente e a punta acuminata attesa la profondità delle lesioni;

b) per la zona del corpo attinta, sede di organi vitali;

c) per la forza impressa nel colpo tale da far versare la vittima in pericolo di vita;

d) per il movente della gelosia, indicato dallo stesso C.;

e) per il comportamento tenuto dall’imputato, il quale si era allontanato dopo avere lasciato a terra la vittima sanguinante, e, quindi, per la sussistenza di una serie di circostanze sintomatiche della volontà omicida, quantomeno nella forma del c.d. dolo alternativo.

Dall’altro lato, nel confrontarsi con i rilievi difensivi, esclude che possa riconoscersi la scriminante della legittima difesa, sia per avere concorso l’imputato a creare la situazione di pericolo, litigando con B., sia per avere avuto una reazione del tutto sproporzionata rispetto all’azione di quest’ultimo, il quale, disarmato, “poteva essere diversamente bloccato anche per la presenza di altre persone al momento del fatto (G.C. e L.A.)”.

E ciò pur ritenendo verosimile la versione resa da C. (e compatibile con la ferita alla mano dal medesimo riportata), secondo cui lo stesso si sarebbe impossessato del coltello poi utilizzato nell’aggressione a B., sfilandolo dalle mani di un terzo appartenente allo stesso gruppo che secondo la Corte di appello avrebbe potuto bloccare la persona offesa.

Ed argomentando l’esclusione di detta scriminante, anche nella forma putativa e di eccesso colposo, dalla mancanza di una situazione di effettivo pericolo proprio per la presenza di più persone sulla scena del delitto, senza confrontarsi colla circostanza obiettiva che dette persone erano amici di B. e che, secondo la ricostruzione fattuale operata, almeno una era armata; e ciò potrebbe costituire riprova del fatto che il gruppo opposto all’imputato non fosse animato dalle migliori intenzioni.

Ritiene, inoltre, non concedibile l’attenuante della provocazione per una sproporzione tra fatto ingiusto altrui e reato commesso, senza avere adeguatamente ricostruito il fatto ingiusto altrui anche con riferimento alla ritenuta ostentazione del coltello da parte di uno degli avversari.

Tali lacune e/o contraddizioni motivazionali impongono l’annullamento della restante parte della sentenza impugnata ed il rinvio ad altra sezione della Corte di Napoli per nuovo esame alla luce delle osservazioni appena svolte.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione all’aggravante dei futili motivi.

Annulla la medesima sentenza nel resto e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2018