Giudice deposita motivazioni di sentenze per ben 21 volte con ritardi ultrannuali e in qualche caso che superano i tre anni. Censurato dal Csm. La Cassazione annulla: la sentenza viene cassata perché non sono state valutate le giustificazioni del magistrato.

(Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 13 luglio 2017, n. 17325)

…, omissis …

I fatti di causa

B.M.A., giudice del Tribunale di Frosinone, è stato ritenuto responsabile dell’illecito di cui all’art. 2 lett. q d.lgs. n. 109 de 2006 per aver depositato diverse sentenze collegiali e monocratiche con rilevanti ritardi, di cui ben 21 ultrannuali (con punte elevate di 1172, 1054, 902 e 793 giorni) e pertanto condannato alla sanzione della censura.

Avverso la sentenza della sezione disciplinare del CSM l’interessato ricorre con quattro motivi.

Le ragioni della decisione

Col primo motivo il ricorrente si duole del fatto che i giudici disciplinari abbiano negato che tra le giustificazioni dei ritardi “possano annoverarsi il notevole carico di lavoro, la elevata laboriosità e la conclamata professionalità del magistrato”.

Col secondo motivo, nell’ipotesi in cui si ritenga che giudici disciplinari hanno invece riconosciuto in astratto la possibile rilevanza dei carichi di lavoro che oneravano l’incolpato ma ne abbiano escluso in fatto la consistenza, il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Col terzo motivo il ricorrente deduce illogicità della motivazione per avere i giudici disciplinari apoditticamente negato una relazione causale tra i ritardi rilevati e la situazione di criticità organizzativa degli anni precedenti nonché la mancanza di specializzazione nella distribuzione degli affari.

Col quarto motivo il ricorrente si duole del fatto che i giudici disciplinari abbiano negato che la laboriosità del magistrato possa giustificare ritardi protratti oltre il limite di tolleranza anche quando sia espressa in una produzione largamente superiore alla media dell’Ufficio o dei rendimenti che nella prassi si considerano esigibili.

I sopraesposti motivi, da esaminare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono fondati, nei limiti e nei termini di cui in prosieguo.

Come risulta dalla sentenza impugnata, i giudici disciplinari hanno affermato che il ritardo superiore ad un anno nel deposito delle sentenze rende ingiustificabile la condotta del magistrato incolpato in mancanza di allegazione di circostanze oggettive assolutamente eccezionali, tali non potendosi ritenere né la particolare situazione di lavoro e organizzativa nella quale il magistrato avrebbe operato né la grave situazione di criticità degli anni precedenti e la mancanza di specializzazione negli affari né la particolare consistenza del ruolo dell’incolpato rispetto a quello degli altri colleghi né l’alta produttività del medesimo.

In tali termini la decisione impugnata risulta dissonante rispetto ai recenti arresti di queste sezioni unite in materia (v. tra le altre su n. 14268 del 2015 e n. 2948 del 2016) nei quali, anche attraverso una rilettura conforme a costituzione e non frammentaria dei precedenti ed una interpretazione di essi alla luce del complessivo ed articolato ragionamento che li sostiene, si è escluso che possano tout court ritenersi di per sé “ingiustificabili” i ritardi superiori all’anno.

In particolare, nelle citate decisioni queste sezioni unite hanno chiarito che non esistono ritardi in sé ingiustificabili, anche se l’ampiezza dei medesimi non può non incidere sulla giustificazione richiesta, sicuramente più complessa e articolata di quella che si richiede in relazione a ritardi di minore ampiezza, ma di certo non impossibile.

Inoltre, secondo la citata giurisprudenza (v. tra le altre su n. 5761 del 2012), i presupposti della reiterazione, della gravità e della ingiustificatezza dei ritardi debbono essere contestualizzati alla luce del complessivo carico di lavoro in riferimento a quello mediamente sostenibile dal magistrato a parità di condizioni, della laboriosità e dell’operosità, desumibili dall’attività svolta sotto il profilo quantitativo e qualitativo, e di tutte le altre circostanze utili che, per loro natura, implicano un tipico apprezzamento di fatto e sono quindi devolute alla valutazione di merito della sezione disciplinare.

La giurisprudenza di queste sezioni unite (v. s.u. n. 14268 del 2015 già citata) ha ancora evidenziato che il “carico di lavoro”, ossia il “ruolo” del magistrato civile è elemento condizionante da considerare in concreto nella sua ampiezza, indipendentemente dal numero delle cause che poi il magistrato riesce a “trattare” e decidere, perché esso non è una massa inerte che grava sul suo titolare solo per le controversie trattate e/o decise, ma, quanto più esso è carico e pertanto si allontana vieppiù nel tempo il momento della trattazione e decisione per un notevole numero di controversie tanto più “produce” lavoro, basti pensare, ad esempio, alle istanze di trattazione anticipata ovvero ad eventuali richieste di istruzione preventiva, non potendo ovviamente il magistrato sottrarsi quanto meno alla verifica della effettiva urgenza dell’anticipazione della trattazione ovvero della anticipata assunzione del mezzo di prova richiesto e non essendo certo esempio di buona organizzazione né di rispetto del giusto processo e della sua ragionevole durata la mera assunzione in decisione del numero di processi che sicuramente si é in grado di smaltire, lasciando per il resto di fatto situazioni completamente prive di tutela.

Ciò anche considerato che secondo il più volte citato art. 2 comma primo lettera q) d.lgs. n. 109 del 2006 “costituisce illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni”, non quindi soltanto il ritardo nel deposito dei provvedimenti assunti in decisione.

Dovendo dunque escludersi, alla luce della sopra richiamata giurisprudenza delle sezioni unite, che il ritardo ultrannuale sia di per sé ingiustificabile se non in presenza di fattori eccezionali, i giudici disciplinari non avrebbero potuto sottrarsi al compiuto esame delle giustificazioni addotte dall’incolpato, soprattutto con riguardo al carico di lavoro del quale il medesimo era onerato, alla possibile incidenza sui ritardi dei problemi organizzativi, denunciati, come emerge dalla stessa sentenza disciplinare, da ben due Presidenti del Tribunale, nonché alla notevole produttività (dato peraltro di per sé solo non univocamente rilevante).

In particolare il giudice disciplinare avrebbe dovuto valutare l’entità degli elementi di giustificazione addotti, il momento in cui sono sopravvenuti, l’eventuale reciproca interazione, la rispettiva incidenza e durata in rapporto al verificarsi dei ritardi e al dilatarsi di essi in maniera “irragionevole”.

La riconosciuta fondatezza, nei termini sopra evidenziati, dei quattro motivi esaminati comporta l’assorbimento dei motivi quinto e sesto, coi quali è stata dedotta violazione ed erronea applicazione di legge nonché vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui al citato art. 3 bis d.lgs. n. 109 del 2006.

Dall’argomentare che precede discende l’accoglimento, nei termini e nei limiti di cui in motivazione, dei primi quattro motivi di ricorso e l’assorbimento del quinto e del sesto.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.

Non vi è da provvedere sulle spese perché il Ministro della Giustizia non ha partecipato al giudizio ed il Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte Suprema non può essere destinatario di statuizioni sulle spese.

P.Q.M. 

La Corte accoglie nei limiti e nei termini di cui in motivazione i primi quattro motivi, assorbito il quinto e il sesto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.