Il Comune vieta la ristrutturazione di un fabbricato esistente da epoca anteriore all’anno 1942 e mai censiti. Il Consiglio di Stato annulla (Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza 4 febbraio 2016, n. 1403).

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

con l’intervento dei magistrati:

Dott. Sergio Santoro, Presidente

Dott. Roberto Giovagnoli, Consigliere

Dott. Bernhard Lageder, Consigliere

Dott. Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Dott. Francesco Mele, Consigliere

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9020 del 2014, proposto da

Anna Maria Polosa, rappresentata e difesa dall’avv. Gian Michele Gentile, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, Via Giuseppe Gioacchino Belli, 27;

contro

Comune di Sperlonga, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Roberto De Tilla, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, Via S. Nicola Da Tolentino, 50;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO -SEZIONE STACCATA DI LATINA, n. 764/2014, resa tra le parti, concernente diniego di autorizzazione paesaggistica –ordinanza di demolizione di opera abusiva;

Visti il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sperlonga;

Vista l’ordinanza cautelare di accoglimento della Sezione n. 5889 del 2014;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 4 febbraio 2016 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Gentile e De Tilla;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. In data 2 marzo 2012 la signora Anna Maria Polosa, unitamente alle altre proprietarie delle unità immobiliari facenti parte del fabbricato sito in Sperlonga, via Ripa 25, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ex d. lgs. n. 42 del 2004, ha presentato al Comune di Sperlonga una SCIA per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione consistenti in un intervento di consolidamento e di risanamento statico delle strutture verticali in muratura di pietrame calcareo – realizzazione balconi ai vari livelli delle unità immobiliari (ex articoli 22 e 10/c) del d.P.R. n. 380/2001, a quanto consta).

Il 18 aprile 2012 la ricorrente e odierna appellante e le altre proprietarie hanno domandato al Comune il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per gli interventi di modifica prospettica connessi alla realizzazione dei balconi.

Nel corso della procedura di verifica della conformità dell’intervento progettato alla disciplina urbanistico –edilizia, prevista dagli articoli 4 e seguenti del d.P.R. n. 139 del 2010, l’Amministrazione comunale ha chiesto documentazione integrativa.

Il 2 marzo 2013 il Comune ha evidenziato, per l’unità immobiliare della ricorrente, sita all’ultimo piano del fabbricato, una variazione catastale –la n. 28968 in data 18.12.2012, nella quale tra l’altro ha subito una modifica del subalterno da sub 5 a sub 7, con oggetto “Ampliamento – diversa distribuzione degli spazi interni – ristrutturazione”: la situazione rappresentata nella planimetria catastale a firma del geom. Marco Campagna é completamente difforme dalla situazione rappresentata negli elaborati progettuali a firma dell’ing. Di Fazio Benito.

E’ stato quindi richiesto alla comproprietaria di fornire chiarimenti sugli interventi effettuati, sull’epoca di realizzazione dei medesimi, sui titoli abilitativi legittimanti e sull’accertata difformità tra la situazione rappresentata in progetto e quella catastale.

Con note del 22 marzo 2013 e del 5 aprile 2013, il progettista e la comproprietaria hanno controdedotto.

In particolare, l’ing. Benito Di Fazio, progettista e direttore dei lavori di ristrutturazione, ha risposto evidenziando, tra l’altro, l’irrilevanza, ai fini del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica richiesta per eseguire la variazione prospettica della facciata per la realizzazione dei balconi, di situazioni interne alle singole unità immobiliari facenti parte del fabbricato.

La signora Polosa ha comunicato di avere realizzato opere interne all’abitazione, senza alcun incremento di superficie, nel rispetto della casistica di cui all’art. 6, comma 2, lett. a) del d.P.R. n. 380 del 2001, che fa richiamo agli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lett. b) del medesimo d.P.R. .

Per quanto riguarda la situazione planimetrica riportata nella variazione catastale redatta dal geom. Marco Campagna, la ricorrente ha precisato che questa è conforme allo stato reale, precisando che nella variazione catastale del 18 dicembre 2012, deve intendersi per ampliamento quello catastale, come specificato nel Quadro D/Note Relative al Documento e Relazione Tecnica, là dove si legge testualmente: l’ampliamento non modifica la sagoma in mappa del fabbricato, in quanto trattasi dell’accatastamento del vano situato a livello del terrazzo praticabile al quarto piano, entrambi esistenti da epoca anteriore all’anno 1942 e mai censiti.

Ha fatto seguito un sopralluogo tra i tecnici delle parti, in data 23 maggio 2013, dopo di che, con ordinanza del 3 giugno 2013, il Comune ha ordinato alla signora Polosa la sospensione immediata delle opere abusive in corso di realizzazione presso l’immobile – …piano ammezzato praticabile posto ad una quota di m. +2,50 … dal piano del pavimento, avente una superficie di circa mq. 15,00…” –“…intervento edilizio difforme dalla normativa urbanistica vigente nel centro storico in cui sono ammissibili unicamente interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria e restauro / risanamento conservativo ad esclusione di qualsiasi intervento di ristrutturazione edilizia che comporti incremento della superficie utile ovvero la modifica delle quote d’imposta dei solai esistenti.

Con altra nota in pari data è stata comunicata alle richiedenti l’improcedibilità, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 139 del 2010, della richiesta di autorizzazione paesaggistica del 18 aprile 2012, per mancata conformità urbanistico–edilizia, poiché l’intervento progettuale risulta in contrasto con le vigenti prescrizioni urbanistico/edilizie previste dal PRG per la zona A – centro storico.

Il 2 luglio 2013 la signora Polosa ha presentato al Comune una documentata memoria negando di avere posto in essere abusi

edilizi e, in particolare, di avere realizzato un piano ammezzato “a quota + 2,50”, in quanto il piano ammezzato (soppalco), a una quota dal pavimento sottostante di m. +2,50, preesisteva sin dall’epoca della costruzione dell’intero edificio.

L’istanza di annullamento o revoca dell’ordinanza di sospensione dei lavori e della comunicazione di improcedibilità della domanda di autorizzazione paesaggistica è stata rigettata dal Comune in data 26 luglio 2013 essenzialmente per mancata dimostrazione della preesistenza e utilizzazione a scopo abitativo in data antecedente al 1°.9.1967 del piano ammezzato praticabile posto a una quota di m. + 2,50 dal piano del pavimento e avente una superficie di circa mq. 15, e la dichiarazione d’improcedibilità della richiesta di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica del 18.4.2012 è stata confermata per mancata conformità urbanistico/edilizia dell’unità immobiliare.

Ha fatto seguito, con ordinanza n. 61 in data 29 luglio 2013, l’ingiunzione di demolizione delle opere abusive in corso di realizzazione –piano ammezzato praticabile posto ad una quota di m. +2,50 dal piano del pavimento avente una superficie di circa mq. 15, per difformità dalla normativa urbanistica vigente nel centro storico.

2. Avverso e per l’annullamento degli atti e dei provvedimenti suindicati, oltre che delle relazioni istruttorie e di sopralluogo, la signora Polosa ha proposto ricorso innanzi al Tar di Latina con sette motivi, sintetizzati nella parte in FATTO della sentenza impugnata, alla quale si fa rinvio.

Con la sentenza in epigrafe, pronunciata nella resistenza del Comune, il giudice di primo grado, dopo avere individuato in via preliminare le caratteristiche dell’intervento contestato, ha rigettato tutte le censure formulate, compensando le spese.

Per quanto riguarda il nucleo essenziale della causa, vale a dire, sull’affermata inesistenza dell’abuso contestato –per la ricorrente, non era stato realizzato ex novo e, comunque, non era in corso di realizzazione un piano ammezzato (soppalco) con modifica di quota da 2,90 a 2,50, dato che il soppalco preesisteva a “quota 2,50” da epoca anteriore al 1° settembre 1967-, la decisione ha richiamato la relazione istruttoria del 25 maggio 2013, relativa al sopralluogo del 23 maggio 2013, nella parte in cui era stato specificato che …all’interno della unità immobiliare risulta parzialmente realizzato mediante posa in opera di putrelle in ferro ancorate alla muratura un piano ammezzato posto a quota più 2,50 ml dal piano del pavimento avente una superficie stimata di circa mq 15,00.

Ad avviso del Comune preesisteva un piano ammezzato (soppalco) a “quota 2,90”, demolito e ricostruito con modificazione però della quota d’imposta del solaio esistente, a una quota inferiore –appunto, a mt. 2,50 dal piano di pavimento-, per ricavarne un vano abitabile; la contestazione s’incentra sull’affermata diversità dell’intervento realizzato rispetto all’impalcato preesistente; la vicenda è caratterizzata dunque dalla effettiva consistenza del piano ammezzato.

Alla stregua delle risultanze istruttorie la sentenza ha concluso rilevando che il preesistente ammezzato non poteva ragionevolmente dirsi praticabile, attesa l’assenza di un idoneo collegamento funzionale con il sottostante piano.

La documentazione fotografica prodotta conferma che le opere eseguite per rendere funzionale il preesistente piano rialzato (scala, opere di accesso al terrazzo ed in genere di trasformazione del mezzanino ecc) avrebbero postulato il rilascio del permesso di costruire.

D’altro canto, nel caso di specie, non avrebbe potuto essere rilasciato detto titolo edilizio, ricadendo l’immobile in questione in zona “A” a tutela vincolata….

3. La signora Polosa ha proposto appello deducendo in particolare travisamento del fatto, contraddittorietà e illogicità della motivazione ed errore sui presupposti.

L’appellante sostiene che, pur avendo, il Tar, individuato esattamente il punto centrale della controversia, e pur avendo riconosciuto la preesistenza dell’ammezzato, “da tempo immemorabile rispetto alla richiesta di ristrutturazione”, la sentenza avrebbe compiuto un errore decisivo nel considerare modificata la quota d’imposta da m. 2,90 a m. 2,50, per trasformare il vano sovrastante in vano abitabile, con un conseguente incremento di superficie non consentito dal PRG (v. in particolare da pag. 10 a pag. 17 dell’atto d’appello).

Il Comune si è costituito per resistere.

Con ordinanza n. 5889 del 18 -22 dicembre 2014 la Sezione, considerando l’esecuzione della sentenza…idonea ad arrecare alla ricorrente un pregiudizio di eccezionale gravità, ha accolto l’istanza cautelare e, per l’effetto, ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata, specificando che nella sede di merito dovrà essere esaminata, tra le altre, la questione relativa al momento di effettiva realizzazione delle putrelle in ferro ancorate alla muratura, rilevate nel corso del sopralluogo del 23 maggio 2013.

In data 15 luglio 2015 l’appellante ha depositato una documentata relazione di consulenza tecnica.

In prossimità dell’udienza di merito le parti hanno illustrato le rispettive posizioni con memorie difensive e nell’udienza del 4 febbraio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

4. L’appello appare fondato e va accolto per le ragioni ed entro i limiti di cui in motivazione. Per l’effetto, la sentenza va riformata.

Il ricorso di primo grado andava infatti accolto, e gli atti impugnati annullati, salvi gli ulteriori provvedimenti della P. A. , risultando fondato il VI motivo, in particolare sotto i profili dell’erroneità della motivazione e dell’istruttoria.

Come si ricava dalla pregressa narrazione in fatto, le ragioni che sorreggono gli atti contestati in primo grado si basano sull’affermata, dal Comune, realizzazione ex novo (parziale e in corso d’opera, a quanto consta), nel 2013, da parte della ricorrente e odierna appellante, di un piano ammezzato (soppalco), mediante modifica della quota da m. 2,90 a m. 2,50, per una superficie di circa 15 mq. , a Sperlonga, Via Ripa, 25, in zona vincolata paesaggisticamente.

Il Comune, che aveva dapprima dichiarato improcedibile la domanda di autorizzazione paesaggistica, per mancata conformità urbanistico–edilizia dell’intervento, e ha poi ordinato la demolizione dell’opera, comportando la stessa un incremento di superficie utile o una modifica della quota d’imposta del solaio esistente (e concretizzandosi perciò in un abuso), come tale non consentita dal PRG in zona A, ha preso le mosse dall’assunto della preesistenza di un soppalco a quota 2,90, demolito e ricostruito a una quota inferiore (2,50) allo scopo di ricavarne un vano abitabile.

Nella fase cautelare d’appello la Sezione ha posto in risalto, considerandola dirimente, la questione del momento della realizzazione effettiva delle travi in ferro ancorate alla muratura, rilevate nel corso del sopralluogo del 2013.

Ciò posto, preliminarmente va rilevato che la preesistenza del piano ammezzato –soppalco (v. pag. 8 sent.), è di per sé fuori discussione, non essendo stata contestata dal Comune.

Quella che va compiuta, in base alle ragioni sulle quali si sorreggono gli atti impugnati in primo grado, è, essenzialmente, una verifica circa l’avvenuta modifica, o no, della quota del piano ammezzato (soppalco), da m. 2,90 a m. 2,50.

Su questo tema il Collegio, nel fare proprio l’invito formulato dalla Sezione nella sede cautelare (v. sopra, p. 3.), reputa attendibili –quantunque il contesto in cui s’inserisce la controversia non sempre appaia di agevole comprensione- le considerazioni svolte nell’appello, sulla base della documentazione, anche fotografica, prodotta in giudizio, con cui viene riprodotto lo stato dei luoghi negli ultimi anni, e delle osservazioni formulate in particolare con l’allegazione difensiva di parte appellante costituita dalla relazione tecnica depositata il 15 luglio 2015.

Si tratta di elementi sottoposti al prudente apprezzamento di questo giudice d’appello e con i quali viene confutato in maniera convincente l’assunto del Comune secondo cui, nell’unità immobiliare di cui la signora Polosa è comproprietaria, era stato realizzato ex novo e, comunque, era in corso di realizzazione, un piano ammezzato posto a una quota di + 2,50 ml. …dal piano di pavimento avente una superficie stimata di circa mq. 15, con una modifica di quota rispetto al preesistente soppalco, posto a 2,90 m.

In realtà, il piano ammezzato praticabile preesisteva a quota 2,50 in epoca anteriore al 1° settembre 1967 come risulta, appunto, dagli atti del giudizio.

Dagli atti di causa –si vedano, in particolare, la documentazione fotografica e la relazione tecnica dell’arch. F. Squitieri- risulta anzitutto che il soppalco sovrastante l’appartamento della signora Polosa, posto a m. 2,50 di altezza rispetto al piano di calpestio del vano sottostante, si estende per l’intera superficie dell’appartamento sottostante, a eccezione del locale cucina e del vano scala.

La parte centrale del soppalco risulta distrutta da un incendio, che ha lasciato esistenti le parti laterali (cfr. rapporto Carabinieri Sperlonga del 5 gennaio 1989, in atti, riferibile al soppalco indicato come “quarto piano” dell’abitazione).

Dagli atti si desume poi che il soppalco è sostenuto dalle stesse travi in ferro, costituenti la struttura portante orizzontale del soppalco esistente, oggetto di trattamento di ripristino in quanto ammalorate, che lo hanno sorretto da sempre.

Le travi di ferro risultano sempre rimaste nella stessa posizione rispetto alle pareti alle quali erano ancorate fin dalla realizzazione.

Il periodo di effettiva realizzazione del soppalco sopra descritto, non successivo alla fine degli anni Quaranta –inizio anni Cinquanta, del XX secolo, risulta individuabile in modo credibile, in base alla documentazione fotografica prodotta in giudizio e “corroborata” dalle osservazioni del perito di parte, e ciò in considerazione dell’accertato, ed evidente, stato di corrosione, dovuto a fenomeni di ossidazione degenerativa del ferro, in cui versano le travi metalliche.

Si tratta di effetti ben visibili su tutte le putrelle in ferro ancorate alla muratura.

Il grado di consunzione delle travi metalliche è ben percepibile visivamente; lo stato di avanzato deterioramento del ferro, dovuto all’ossidazione, consente di affermare che quelle travi sono state collocate in quella posizione non dopo la fine degli anni Quaranta e, in ogni caso, certamente prima del 1967.

Non appare verosimile che si possa riutilizzare, per la realizzazione di un nuovo solaio, travi che presentino un siffatto grado di deterioramento, dovendosi escludere che le travi di ferro siano state smontate e rimontate a una quota diversa.

D’altra parte la verifica dello stato delle murature, sulla base della documentazione fotografica, rivela che la muratura posta a una quota di 43 cm. superiore a quella del soppalco attuale (ossia, all’incirca, a quota 2,90) è integra e non presenta tracce riferibili al posizionamento del soppalco a quota 2,90.

Risulta dunque attendibile che il piano ammezzato –soppalco sia stato realizzato a suo tempo in quella posizione e a quella “quota” (ossia a m. 2,50 e non 2,90) e si sia sempre trovato nella posizione attuale.

Risulta plausibile che non si sia proceduto a una modifica di quote d’imposta di un piano ammezzato preesistente, sicché non vengono in questione incrementi di superfici utili o modifiche di quote d’imposta di solai esistenti, ma soltanto interventi di manutenzione.

Una conferma ulteriore della ricostruzione anzidetta si ricava dalla presenza, alla stessa quota d’imposta attuale del solaio, di ferri lisci di armatura utilizzati in edilizia fino alla metà degli anni Cinquanta, epoca in cui furono introdotte in edilizia le barre nervate ad aderenza maggiorata, e di tracce di tavelloni in laterizio, perfettamente aderenti alla muratura perimetrale (conf. relazione tecnica arch. F. Squitieri e fotografie in atti).

Quanto sopra conferma che il soppalco e il terrazzo al quale da questo si accede sono stati realizzati in modo contestuale in epoca post bellica.

Quanto infine alla diversità tra gli accatastamenti dell’unità immobiliare effettuati nel 2002 e nel 2012, i rilievi formulati dal Comune non appaiono decisivi al riguardo atteso che le variazioni catastali rilevano essenzialmente ai fini fiscali e non costituiscono strumento idoneo a evidenziare una situazione di conformità edilizia (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 666 del 2013).

In definitiva, la documentazione prodotta in giudizio confuta la tesi comunale della preesistenza di un soppalco posto a un’altezza dal piano dell’appartamento sottostante maggiore di quella di m. 2,50; e della demolizione del soppalco con una ricostruzione a una quota inferiore, al fine di ricavare, al di sopra, un vano abitabile non previsto nella SCIA e non consentito dalle prescrizioni urbanistiche in vigore nel centro storico che, come rilevato, escludono incrementi di superficie utile.

Orbene poiché, per le considerazioni svolte sopra, non si fa questione di costruzione ex novo, o comunque di realizzazione “in corso”, di un soppalco a quota 2,50 mediante modifica della precedente quota a m. 2,90, il presupposto dal quale ha preso le mosse il Comune nell’emanazione degli atti impugnati, vale a dire la preesistenza dell’impalcato a quota m. 2,90, traendo da ciò la conclusione che il soppalco sarebbe stato abbassato di 40 cm. con conseguente “incremento di superficie utile” o comunque “modifica delle quote d’imposta del solaio esistente”, è erroneo e appare in grado di inficiare, di per sé, indipendentemente da ogni altra considerazione svolta in sentenza e dall’appellata, gli atti adottati e impugnati in primo grado, inclusa l’ingiunzione a demolire, salvi e riservati gli ulteriori provvedimenti che la P. A. riterrà di adottare conformandosi alle indicazioni contenute in questa sentenza.

La complessità della situazione giustifica in via eccezionale la compensazione per la metà delle spese e degli onorari di entrambi i gradi del giudizio tra le parti.

Per la restante metà spese e onorari seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado come da motivazione e annulla gli atti impugnati, salvi e riservati gli ulteriori provvedimenti della P. A. .

Spese del doppio grado di giudizio compensate per metà.

Per la restante metà, condanna il Comune di Sperlonga a rifondere all’appellante le spese, i diritti e gli onorari di entrambi i gradi del giudizio, che si liquidano in complessivi € 3.000,00 (euro tremila/00), comprensivi del rimborso delle spese generali, oltre a IVA e a CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 febbraio 2016.