Il Gip ordina l’imputazione coatta in sede di archiviazione. Atto abnorme se il provvedimento traccia un percorso argomentativo che esproprierebbe il pubblico ministero del suo diritto/dovere di esercitare l’azione penale.

(Corte di Cassazione – Sezione VI penale – sentenza 12 agosto 2016, n. 34881)

In materia di procedimento di archiviazione, costituisce atto abnorme, in quanto esorbita dai poteri del giudice per le indagini preliminari, sia l’ordine d’imputazione coatta emesso nei confronti di persona non indagata, sia quello emesso nei confronti dell’indagato per reati diversi da quelli per i quali il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione.

In tali situazioni, infatti, il giudice per le indagini preliminari deve limitarsi a ordinare le relative iscrizioni nel registro di cui all’articolo 335 del Cpp e non tracciare con la sua decisione un percorso che finirebbe con l’espropriare il pubblico ministero del suo diritto-dovere di esercitare l’azione penale, privandolo di capacità di determinazione al riguardo.

Questo il principio espresso dalla Cassazione con la sentenza 34881 del 2016.

Nella specie, sulla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero in relazione alle imputazioni di cui agli articoli 337, 341-bis e 582 del Cp, il giudice per le indagini preliminari aveva ravvisato nei fatti anche gli estremi del reato di cui all’articolo 368 del Cp e aveva conseguentemente disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero al fine della formulazione dell’imputazione per tutti i reati.

La Corte ha ritenuto abnorme – annullandolo parzialmente – il provvedimento limitatamente al reato di cui all’articolo 368 del Cp, rispetto al quale doveva intendersi quanto segnalato dal giudice come una mera sollecitazione al pubblico ministero alla valutazione dell’ulteriore ipotesi di reato, con esclusione della possibilità della imposizione della formulazione dell’accusa.

La nozione di provvedimento abnorme – Come è noto, la nozione di provvedimento abnorme, come tale censurabile con il ricorso in sede di legit­timità, costituisce una categoria concettuale di costruzione giurisprudenziale, in forza della quale la Cassazione, pur a fronte delle regole generali della tipicità e tassatività dei casi di nullità (articolo 177 del Cpp) e dei mezzi di impugnazione (articolo 568, comma 1, del Cpp), consente di rimuovere quel provvedimento giudiziario che risulti affetto da vizi in procedendo o in iudicando, assolutamente imprevedibili per il legislatore (che quindi non avrebbe potuto prevederli e regola­mentarli, sanzionandoli a pena di nullità), che ne minano alla base la struttura o la funzione.

Sotto il primo profilo, dovendosi considerare abnorme il provvedimento del giudice che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale (cosiddetta abnormità strutturale).

Sotto il secondo profilo, dovendosi considerare tale il provvedimento che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere dell’organo che lo ha prodotto, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite, sì da determinare una stasi irrimediabile del processo con conseguente impossibilità di proseguirlo, ovvero un’inammissibile regressione a una fase ormai esaurita (cosiddetta abnormità funzionale).

In entrambi i casi, la rimozione dalla realtà giuridica non può che passare attraverso la denuncia dell’abnormità davanti al giudice di legittimità.

In particolare, poiché proprio l’atipicità del vizio non consentirebbe il ricorso a uno specifico e predeterminato mezzo di gravame, l’esigenza di giustizia può essere appagata, ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione, mediante il ricorso immediato per cassazione per violazione di legge (ex pluribus, sezioni Unite, 9 luglio 1997, Quarantelli; sezioni Unite, 10 dicembre 1997, Di Battista; sezioni Unite, 24 novembre 1999, Magnani; sezioni Unite, 31 maggio 2005, Proc. Rep. Trib. Brindisi in proc. Minervini).

L’atto abnorme è quindi quell’atto che presenti, nei termini suindicati, difetti strutturali o funzionali assolutamente imprevedibili e comunque non previsti e sanzionati dall’ordinamento processuale, collocandosi a mezza strada tra l’atto nullo e l’atto inesistente.

L’atto nullo è necessariamente tipico (articolo 177 del Cpp), trattandosi di atto affetto da vizi espressamente previsti e sanzionati dall’ordinamento con la sanzione della nullità (articolo 178 e seguenti del Cpp). L’atto inesistente è un non atto, nel senso che, ancora più radicalmente rispetto all’atto abnorme, manca dei requisiti minimi necessari a ricondurlo, almeno sotto il profilo formale, a un atto processuale (l’ipotesi tipica è quella della sentenza emessa a non iudice).

La categoria dell’atto abnorme è assimilabile a quella dell’atto inesistente per il rilevato carattere della atipicità: in entrambe rientrano vizi che non sono espressamente previsti dal legislatore. La differenza è ravvisabile nella spessore qualitativo dell’anomalia, che nell’atto inesistente è genetica e radicale, tale appunto da determinare l’inesistenza materiale o giuridica dell’atto.

L’atto abnorme è pur sempre un atto processuale, anche se affetto da vizi strutturali o funzionali che impongono di rimuoverlo. In questa prospettiva ermeneutica, per rimanere ai rapporti tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari, l’abnormità del provvedimento giudiziale è ravvisabile in tutti i casi in cui il giudice, con il provvedimento adottato, abbia finito con l’esorbitare dai propri compiti di controllo sull’ attività del pubblico ministero, in tal modo determinando una inammissibile invasione della sfera di autonomia riservato al pubblico ministero in tema di esercizio dell’azione penale, ovvero una indebita regressione del procedimento, in contrasto con il principio di irretrattabilità dell’azione penale, ovvero, ancora, una stasi irrimediabile del processo con conseguente impossibilità di proseguirlo (in tema, per i principi generali, la sentenza delle sezioni Unite, 31 maggio 2005, Proc. Rep. Trib. Brindisi in proc. Minervini).