Il giustificato motivo del licenziamento fa si che scatti un’indennità risarcitoria (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 25 luglio 2018, n. 19732).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. LORITO Matilde – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8583-2016 proposto da:

(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1023/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/11/2015 R.G.N. 589/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/03/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento parziale del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 4 novembre 2015, in riforma della pronuncia di primo grado, ha annullato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a (OMISSIS) con lettera del 14.5.2014 dalla (OMISSIS) Srl, condannando quest’ultima a reintegrarla nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennita’ risarcitoria pari a 12 mensilita’ della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

La Corte territoriale ha premesso in fatto che il licenziamento era stato determinato da una “riduzione di un appalto di pulizie con la committente (OMISSIS), che, con riferimento alla pulizia degli stabili denominati (OMISSIS) ed (OMISSIS), ha ridotto l’appalto di circa 60 ore lavorative settimanali”, per cui “il datore di lavoro ha licenziato le due lavoratrici addette in quel momento alla pulizia di quegli immobili”.

Ha poi rilevato che “il fatto che la sede produttiva ove la (OMISSIS) eseguiva i lavori di appalto delle pulizie fosse unica, anche se frazionata tra i vari palazzi dislocati nell’area circoscritta del complesso aziendale della committente, nonché la costante rotazione del personale sulle prestazioni lavorative e l’assoluta fungibilita’ delle mansioni e quindi del personale addetto all’appalto rendono di per se’ privo di sufficiente funzione individualizzante del lavoratore licenziabile nella persona della Sig.ra (OMISSIS) la riduzione dell’appalto di 60 ore settimanali su 90 lavoratori”.

Ha concluso che nella specie, in ossequio al rispetto della regola di cui all’articolo 1175 c.c., avrebbe dovuto applicarsi il criterio dell’anzianità aziendale, che invece non era stato rispettato, rendendo illegittimo il licenziamento.

In punto di tutela applicabile la Corte milanese ha ritenuto che “la violazione delle regole di correttezza di cui all’articolo 1175 c.c. nella scelta del lavoratore da licenziare spezza il nesso di causa tra il giustificato motivo addotto e il licenziamento della Sig.ra (OMISSIS) e rende, rispetto al suo licenziamento, il fatto posto a base del licenziamento non rilevante, vale a dire manifestamente insussistente”.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con 2 motivi.

2.1. Ha resistito l’intimata con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia che la Corte di Appello avrebbe violato o falsamente applicato la L. n. 300 del 1970, articolo 18, commi 4 e 7, per avere ritenuto manifestamente insussistente il licenziamento, con conseguente applicabilità della tutela reintegratoria.

Si argomenta che la circostanza che aveva dato luogo al recesso, cioe’ la riduzione dell’appalto, era sussistente, sicche’ non avrebbe dovuto riconoscersi detta tutela reintegratoria.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1175 c.c.sostenendo che il criterio dell’anzianita’ di servizio previsto dalla L. n. 223 del 1991, articolo 4non e’ applicabile ad un licenziamento individuale e che l’oggettivita’ del licenziamento nella specie e’ ravvisabile proprio nell’adibizione di quella lavoratrice al servizio di pulizia nello stabile presso il quale era stato ridotto l’appalto.

2. Per ragioni di priorita’ logica va esaminato il secondo motivo di ricorso, il quale contesta in radice l’illegittimita’ del licenziamento ritenuta dalla Corte di Appello milanese.

Il motivo e’ infondato.

Per come accertato dalla Corte territoriale la ragione del licenziamento e’ da ravvisare nella riduzione di un appalto che ha determinato la soppressione di posizioni lavorative impiegate in mansioni omogenee e fungibili.

Orbene, nel caso di licenziamento per ragioni inerenti l’attivita’ produttiva e l’organizzazione del lavoro, ai sensi della L. n. 604 del 1966, articolo 3, per la giurisprudenza di questa Corte, allorquando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare per il datore di lavoro non e’ totalmente libera: essa, infatti, risulta limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex articoli 1175 e 1375 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse (v. Cass. n. 7046 del 2011; Cass. n. 11124 del 2004; Cass. n. 13058 del 2003; Cass. n. 16144 del 2001; Cass. n. 14663 del 2001).

In questa situazione, pertanto, la stessa giurisprudenza si e’ posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede ed ha ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversita’ dei rispettivi regimi, ai criteri che la L. n. 223 del 1991, articolo 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianita’ (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilita’ tra i dipendenti). In analoga prospettiva si e’ puntualizzato che il ricorso a detti criteri resti giustificato non tanto sul piano dell’analogia quanto piuttosto per costituire i criteri di scelta previsti dalla predetta L. n. 223 del 1991, articolo 5 uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo, unilaterale, potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale (cfr. Cass. n. 6667 del 2002 e giurisprudenza ivi citata in motivazione).

Pertanto non e’ in grado di determinare la cassazione della sentenza impugnata il secondo mezzo di gravame della societa’ che non spiega perche’ la Corte milanese avrebbe errato a ritenere violato il consolidato principio di legittimita’ in base al quale – a fronte dell’esigenza, derivante da ragioni inerenti all’attivita’ produttiva, di ridurre di una o piu’ unita’ il numero dei dipendenti dell’azienda nella scelta del lavoratore licenziato, tra piu’ lavoratori occupati in posizione di piena fungibilita’, occorre rispettare le regole di correttezza di cui all’articolo 1175 c.c..

Tanto a prescindere da quanto poi ritenuto dalla stessa Corte di merito in ordine al criterio dell’anzianita’ che avrebbe dovuto essere applicato in concreto, perche’ cio’ che rileva e’ a monte l’illegittimita’ del licenziamento per aver individuato la lavoratrice da licenziare sulla base del mero collegamento al servizio di pulizia di un edificio senza porsi il problema di dover rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede per il licenziamento di personale con mansioni fungibili.

Diversa l’ipotesi in esame da quella in cui il licenziamento per motivo oggettivo non trova giustificazione nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, bensì nella soppressione dei posti di lavoro di personale adibito all’espletamento di un servizio per un appalto integralmente venuto meno, per cui e’ il nesso causale che necessariamente lega la ragione organizzativa e produttiva posta a fondamento del recesso con la posizione lavorativa non più necessaria ad identificare il soggetto destinatario del provvedimento espulsivo, senza necessita’ di fare ricorso ad ulteriori criteri selettivi (cfr. Cass. n. 25563 del 2017).

3. Poiché tuttavia l’illegittimità del recesso per giustificato motivo oggettivo e’ stata riscontrata dalla Corte territoriale per la violazione delle regole di correttezza e buona fede nella individuazione del licenziando tra piu’ lavoratori in posizione fungibile, merita accoglimento il primo motivo di ricorso con cui si lamenta che la medesima Corte abbia applicato in tal caso la tutela reintegratoria e non quella meramente indennitaria.

Non vi e’ infatti ragione di discostarsi dal principio di diritto gia’ affermato da questa Corte e qui ribadito secondo cui, in tema di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, il nuovo regime sanzionatorio introdotto dalla L. n. 92 del 2012 prevede di regola la corresponsione di un’indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità, riservando il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino ad un massimo di dodici mensilità, alle ipotesi residuali, che fungono da eccezione, nelle quali l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento e’ connotata di una particolare evidenza, sicché la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee da’ luogo alla tutela indennitaria (v. Cass. n. 14021 del 2016; conf. Cass. n. 30323 del 2017 e Cass. n. 1373 del 2018).

4. Conclusivamente il ricorso, respinto il secondo motivo, va accolto limitatamente al primo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che dovra’ quantificare l’indennita’ prevista dalla novellata L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 5 e provvedere altresi’ alle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.