Il produttore di fazzoletti di carta al nichel deve indicarlo sulla confezione (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Ordinanza 15 febbraio 2018, n. 3692).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

…, omissis …

ORDINANZA

sul ricorso 16500-2014 proposto da:

SOFFASS SPA rappresentante CC in persona del suo legale pro tempore Sig. EMY STEFANI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –

contro C.F.A, domiciliata ex lege in Roma, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 170/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 29/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2017 dal Consigliere Dott. DANILO
SESTINI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALESSANDRO PEPE, che ha chiesto il rigetto del ricorso proposto da SOFFASS SPA, con conseguente conferma della gravata sentenza della Corte d’Appello di Torino;

Rilevato che:

Fulvia Cobai convenne in giudizio la Soffass s.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni sofferti per avere utilizzato (per detergersi il sudore dal viso, dal collo e dagli avambracci) un fazzolettino di carta -a marchio “Regina”- prodotto dalla convenuta, che aveva determinato una reazione cutanea -imputabile ad allergia da metallo- con una conseguente estesa dermatite protrattasi per oltre tre mesi;

che la convenuta resistette alla domanda, che venne rigettata dal Tribunale di Cuneo, con condanna dell’attrice al pagamento delle spese di lite;

che la Corte di Appello di Torino ha riformato la sentenza, affermando la responsabilità della convenuta e condannandola al risarcimento dei danni (nell’importo di 4.193,55 euro), oltre al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio;

che la Soffass s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo illustrato da memoria;

che ha resistito l’intimata con controricorso;

che il P.M. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.

Considerato che:

con l’unico motivo, la ricorrente deduce la «falsa applicazione degli artt. 114 e 117 del d. Igs. 6 settembre 2005 n. 206 […], per avere ritenuto la corte di appello che il danno costituisca prova del difetto del prodotto», nonché «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio […], per avere la corte di appello attribuito alla c.t.u. chimica una valutazione di pericolosità del prodotto, in quest’ultima del tutto assente»;

che assume la ricorrente che, mentre è incontroverso che l’utilizzo del fazzoletto ha prodotto la reazione allergica sfociata nella dermatite, non risulta accertato che tale reazione allergica sia stata prodotta dalla presenza di nichel nel fazzoletto; e ciò in quanto, pur affermando che il nichel è un sensibilizzante da contatto, la c.t.u. aveva chiarito che la percentuale di nichel riscontrata nel fazzoletto era superiore al limite consentito per gli imballaggi a contatto con gli alimenti ed i cosmetici, ma conforme alla direttiva comunitaria CE 2004/96 e al regolamento OEKOTex per i tessili; ha sostenuto dunque che «la c.t.u. non ha accertato in alcun modo che la reazione fosse stata causata da una presenza di nichel superiore ai livelli prescritti dalle norme o dalle discipline precauzionali esistenti»;

che, ciò premesso e rilevato che la disciplina risultante dagli artt. 114 e 117 del Codice del consumo esclude che l’esistenza del danno dimostri di per sé la natura difettosa del prodotto, ha concluso che la fattispecie concreta e quella astratta “non combaciano” in quanto la Corte «ha ritenuto difettoso il prodotto per il solo fatto che esso ha prodotto un danno, essendo palesemente inesistenti le valutazioni di difettosità del prodotto, che essa attribuisce alla c.t.u.»;

che il motivo è inammissibile e, comunque infondato;

che inammissibile, in quanto non censura in modo adeguato la ratio della decisione, omettendo di prendere posizione sulla previsione dell’art. 6 D.Lgs n. 206/2005 (che, alla lett. d, impone al produttore di indicare l’«eventuale presenza di materiali o sostanze che possano arrecare danno all’uomo, alle cose o all’ambiente») e sul rilievo della Corte secondo cui era «pacifica […], in causa, la mancanza assoluta di etichetta o avvertenza circa la presenza dei metalli in questione sulla confezione, avvertenze funzionali ad informare potenziali soggetti allergici del rischio, particolarmente concreto proprio in rapporto alla tipologia del prodotto e alla sua normale destinazione d’uso»;

che si tratta -all’evidenza- di un rilievo decisivo ai fini della connotazione del prodotto come difettoso (in relazione alla previsione dell’art. 117, lett. a del D.Lgs. cit.) che, in quanto non censurato, rende priva di interesse la contestazione della difettosità del prodotto sotto altri profili;

che la censura svolta è comunque infondata, in quanto è basata sulla premessa, non corretta, che il fazzoletto non potesse essere ritenuto difettoso: invero, a prescindere dall’esistenza o meno di un’espressa affermazione della difettosità del prodotto nella relazione di c.t.u., la Corte è pervenuta ad affermare tale difettosità evidenziando elementi (segnatamente, l’anomalia della presenza di un metallo noto come sensibilizzante da contatto e causa di allergie in un fazzolettino di carta «destinato per sua natura a venire a contatto con la pelle, il naso o la bocca degli individui» e «sicuramente idoneo a provocare un danno all’uomo») che rispondono pienamente al paradigma normativo di cui all’art. 117 del Codice del consumo;

che va escluso pertanto che la Corte abbia fatto discendere la difettosità del prodotto dal solo fatto che esso abbia prodotto un danno, giacché la natura difettosa è stata accertata sotto il duplice profilo della anomalia della presenza di un metallo idoneo ad arrecare danno all’uomo e -come detto sopra- della mancanza delle informazioni “minime” richieste dai citati artt. 6 e 117 lett. a);

che le spese di lite seguono la soccombenza;

che trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma nella sede della Cassazione, Sezione Terza Civile, in data 5.12.2017.

Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2018.