Il TAR del Lazio indica quali possono essere le alternative per lo smaltimento delle canne fumarie dei Ristoranti (T.A.R. Lazio Roma, Sezione II Ter, Sentenza 5 febbraio 2018, n. 1434).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 10757 del 2017, proposto dalla società I.H.F.F. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Daniele Di Stasio, Fabio Arigoni, con domicilio eletto presso lo studio avv. Daniele Di Stasio in Roma, via Dardanelli n. 46;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Rosalda Rocchi, con domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina in Roma, via del Tempio di Giove 21;

per l’annullamento, previa sospensione,

della Determinazione Dirigenziale n. rep. CA/870/2016, n. prot. (…) del 07.04.2016, adottata dal Municipio Roma I Centro (ex Mun. I e XVII) – Unità Organizzativa Amministrativa, notificata il 24.10.2017, con la quale veniva ordinata la cessazione dell’attività di cottura nell’esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande nei locali siti in Piazza Vittorio Emanuele II n.141/142 (Roma) entro quindici (15) giorni dalla notifica e di tutti gli atti ad essa presupposti e conseguenziali.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2018 il Cons. Mariangela Caminiti e uditi per le parti i difensori presenti, come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La società indicata in epigrafe riferisce che con nota in data 22.6.2015, prot. n.(…) Roma Capitale – Municipio Roma I Centro-UOA le ha comunicato l’avvio del procedimento di cessazione dell’attività di somministrazione limitatamente all’attività di cucina con cottura dei cibi per l’esercizio commerciale sito in Roma, Piazza Vittorio Emanuele II, n.141/142, e ciò per effetto di quanto risultante dalla nota prot. n. 3676 del 16.1.2015 dell’Azienda USL Roma A con la quale veniva comunicato, a seguito di sopralluogo in data 15.12.2014, che presso il suddetto locale sarebbe stata “riscontrata la presenza di sistema di captazione e abbattimento vapori di cottura con espulsione finale all’esterno senza canna fumaria” e tanto si è rappresentato che sul punto la stessa Azienda USL A aveva evidenziato (con nota prot. n. (…) del 9.3.2015 che “La normativa vigente, art.64 del regolamento d’Igiene del Comune di Roma e la NORMA UNI EN 13779/08, prevedono ancora l’obbligo della captazione delle esalazioni dei fumi provenienti dalla cottura degli alimenti attraverso cappa aspirante convogliata in una canna fumaria autonoma, esterna e prolungata oltre la sommità del tetto di copertura dello stabile ove insiste l’attività……Pertanto l’adozione di impianti alternativi alle canne fumarie è da ritenersi al momento irregolare……” .

Lamenta la società che dopo oltre due anni il Municipio Roma I Centro ha adottato la D.D. rep. N.CA/870/2016, prot. n.(…) del 07.04.2016, con cui ha ordinato la cessazione dell’attività di cottura, facendo un generico richiamo alle osservazioni presentate dalla società in data 6.7.2015 “non idonee ed efficaci ad interrompere il procedimento, alla luce del quadro normativo in vigore” (ossia art. 64 del Reg. d’Igiene e la normativa UNI EN 13779/08), concludendo che “L’utilizzo di impianti alternativi, pertanto, non risulta, allo stato attuale, legittimato da alcuna fonte normativa”.

2. Avverso tale determinazione la società ha proposto ricorso deducendo articolati motivi di impugnazione – Violazione di legge, illogicità, genericità, contraddittorietà e difetto di motivazione, eccesso di potere, violazione del diritto di difesa della ricorrente, carenza dei presupposti di fatto e di diritto – ed ha denunciato la illegittimità della misura sanzionatoria in quanto adottata dall’Amministrazione oltre due anni dalla comunicazione di avvio del procedimento e dalla presentazione delle osservazioni motivate, senza tener conto di queste ultime, in violazione della normativa in materia di procedimento e di celerità nella conclusione dello stesso e in violazione del principio dell’affidamento.

Assume parte ricorrente che l’Amministrazione non avrebbe considerato le caratteristiche dell’impianto di estrazione di fumi adottato nella cucina del locale in questione, munito di carboni attivi e rilascio di aria pulita all’esterno, con maggiore efficienza per la neutralizzazione dei fumi e odori nocivi, rispetto a quella tradizionale della canna fumaria.

Inoltre l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto della riconosciuta possibilità, ammessa dalla Soprintendenza Capitolina (nota prot. n. (…) del 1.4.2015), di utilizzare sistemi alternativi di abbattimento dei fumi e vapori per le attività di somministrazione con cottura di cibi, laddove non sia possibile adottare il sistema di aspirazione della canna fumaria.

Parte ricorrente assume altresì che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo ed erroneo perché afferma che “L’utilizzo di impianti alternativi, pertanto, non risulta, allo stato attuale, legittimato da alcuna fonte normativa”, senza tener conto della normativa vigente nazionale e regionale non escludente la possibilità dell’utilizzo, in alternativa al sistema tradizionale della canna fumaria, di quello degli impianti di smaltimento dei fumi, come nella specie (art. 12 del Reg.reg. n. 1/2009 e Reg. igiene del Comune art. 64, risalente, non escludono i sistemi alternativi parimenti alla normativa tecnica comunitaria in materia di emissioni UNI EN 13779/08, anch’essa non escludente).

Parte ricorrente ha allegato al ricorso relazione e descrizione della società installatrice sulle specifiche tecniche del gruppo filtrante a comprova della idoneità dello strumento alternativo alla canna fumaria utilizzata nel locale.

Conclude con la richiesta istruttoria di approfondimento mediante una consulenza e/o verificazione e comunque chiede l’annullamento dell’atto impugnato, previa sospensione dell’efficacia dello stesso.

Roma Capitale si è costituita in giudizio per resistere al ricorso con deposito di documentazione relativa al procedimento.

Parte ricorrente previa richiesta di integrazione del contraddittorio, con separato atto ha evocato in giudizio la ASL Roma con notifica dello stesso ricorso in esame. Con separata memoria la società ha insistito sulla propria posizione e ha documentato di aver presentato in data 7.12.2017 al Municipio Roma I e alla ASL Roma 1 la relazione tecnica del professionista sulla efficienza dell’impianto di estrazione fumi alternativo utilizzato nella specie (del 1.12.2017), con successivo deposito presso gli Enti suddetti in data 15.12.2017 e 21.12.2017 di analoga memoria e relazione tecnica con richiesta di autorizzazione all’utilizzo del sistema alternativo di estrazione fumi adottato.

Aggiunge altresì che la ASLRoma 1 con nota del 21.12.2017, allegata in atti, ha comunicato che il Dipartimento prevenzione “non è autorizzato a valutare le relazioni prodotte dai consulenti di parte ai fini della dimostrazione della “presunta equipollenza” tra filtri a carboni attivi e canne fumarie….tale assunto potrebbe scaturire solo da una modifica dell’articolo 64 del Regolamento di Igiene del Comune di Roma…..e dalla conseguente disapplicazione di una serie di norme a tutela della salute pubblica e di buona tecnica, tra cui le NORME UNI EN 13779/08″.

Alla Camera di consiglio del 17 gennaio 2018, avvisate le parti presenti circa la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti per la definizione del gravame con una sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione.

  1. Il ricorso è parzialmente fondato, nei sensi, precisazioni e limiti che seguono.

3.1. Con l’impugnata determinazione dirigenziale il Municipio ha ordinato la cessazione dell’attività di cottura nell’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande in questione per la presenza nei locali – accertata a seguito di sopralluogo in data 15.12.2014 da personale del Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione del Dipartimento Prevenzione della Azienda USL Roma A – “di un impianto di captazione e abbattimento vapori di cottura con espulsione finale all’esterno senza canna fumaria……, che con nota prot.(…) del 09/03/2015 dell’Azienda U.S.L. Roma A viene evidenziato che ‘La normativa vigente art. 64 del regolamento d’Igiene del Comune di Roma e la NORMA UNI EN 13779/08 prevede ancora l’obbligo della captazione delle esalazioni e dei fumi provenienti dalla cottura degli alimenti attraverso cappa aspirante convogliata in una canna fumaria autonoma, esterna e prolungata oltre la sommità del tetto di copertura dello stabile ove insiste l’attività …

Pertanto, l’adozione di impianti alternativi alle canne fumarie è da ritenersi al momento irregolare … .

3.2. Il Collegio, a confutazione dei motivi di gravame, si riporta integralmente al complesso motivazionale sotteso alle numerose pronunce in materia della Sezione, allo stato non riformate dal giudice d’appello (cfr. sent. n. 11990, n. 11973, n. 10778, n. 10770, n.10337 del 2016; da ultimo, sentenze 24 novembre 2017, n. 11671; 23 novembre 2017, n. 11584; 19 luglio 2017, n. 8735; 5 aprile 2017, n.4245).

Nella specie, va rilevato in fatto che l’attività esercitata nel locale concerne, come dichiarato in ricorso e indicato nella documentazione allegata, quella di fast food – ristorante – bar.

Al riguardo, ai fini dell’inquadramento normativo applicabile, si rileva che la vigente normativa in materia di criteri di realizzazione e di utilizzo delle canne fumarie attiene alla tutela della salute e pubblica igiene (cfr. sul principio, Cons. St., sez. VI, n.1 del 2015) e quindi è ripartita tra la competenza non esclusiva dello Stato e quella concorrente delle Regioni. In particolare è tuttora vigente il D.M. 5 settembre 1994 che fissa l’elenco delle industrie insalubri di prima e seconda classe, includendo nell’elenco di seconda classe le “friggitorie”.

Inoltre la L.r. Lazio n. 21 del 2006, concernente la “disciplina dello svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande” demanda, per la sua attuazione, ad un regolamento regionale (art.7) “le previsioni di salvaguardia per gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, con riferimento alle norme in materia di destinazione d’uso e ai regolamenti urbanistici ed edilizi, nell’ambito di contesti urbani di particolare pregio artistico ed architettonico”; mentre rimette alla regolamentazione comunale “l’utilizzo, da parte dei locali in cui si svolge attività di somministrazione di alimenti e bevande, di più moderni ed ecologicamente idonei strumenti o apparati tecnologici per lo smaltimento dei fumi, di preferenza senza immissione in atmosfera, e per la diminuzione dell’inquinamento acustico, con particolare riferimento ai centri storici”.

La regolamentazione regionale (art. 12 del Reg. Reg. n. 1/2009) dispone che i Comuni, nell’ambito degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi garantiscono l’equilibrio tra le esigenze di tutela dei contesti urbani di particolare pregio artistico-architettonico e quelle di tutela della libera iniziativa economica e dei diritti acquisiti dagli esercizi già operanti all’interno dei contesti stessi; ulteriormente prevedendo che gli esercizi di cui al comma 1 (e cioè quelli che operano all’interno dei contesti urbani di particolare pregio artistico-architettonico) “possono utilizzare, in alternativa alle canne fumarie, altri strumenti o apparati tecnologici aspiranti e/o filtranti per lo smaltimento dei fumi, la cui idoneità è accertata secondo la normativa vigente in materia” implicitamente, dunque, riconoscendo la possibilità dell’uso d’impiego di sistemi alternativi ( e cioè di “di più moderni ed ecologicamente idonei strumenti o apparati tecnologici per lo smaltimento dei fumi”) alla via di fumo tradizionale (id est: canna fumaria), ma subordinandola alla circostanza (da accertarsi, dunque, in concreto) che tale impiego assicuri un’efficienza di rendimento pari o superiore all’impiego della canna fumaria: esegesi questa che del resto si impone anche alla luce dei principi di derivazione comunitaria di precauzione e prevenzione (sulla conferma di una tale interpretazione in fattispecie del tutto simile a quella in trattazione, vedi. Cons. St., sez. V, n. 4428 del 2008); e tanto fermo restando che:

– 1. gli esercizi autorizzati, in linea di principio, ad avvalersi di vie di fumo diverse da quelle tradizionali sono solamente quelli siti in determinati contesti urbani di particolare pregio (e si rammenta a tal riguardo che, per le zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale sottoposte a tutela, l’apertura o il trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, di cui alla L. n. 287 del 1991, sono soggetti ad autorizzazione e non a Scia: vedi art.64 commi 1 e 3 del D.Lgs. n. 59 del 2010, come sostituito dall’art. 2 del D.Lgs. n. 147 del 2012); ne consegue che gli esercizi esterni a tali contesti non beneficiano di analoga alternativa e sono tenuti, inevitabilmente, a dotarsi di canne fumarie ( e tanto anche ai sensi del comma 6 dell’art.64 citato che subordina l’avvio e l’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande “al rispetto delle norme urbanistiche, edilizie, igienico-sanitarie e di sicurezza nei luoghi di lavoro”);

– 2. l’idoneità degli impianti alternativi va accertata in concreto e secondo la normativa vigente in materia, che include tanto la normativa comunitaria quanto quella regolamentare (posto che la prescrizione in esame si limita a richiamare la normativa vigente, senza altre specificazioni); del resto una interpretazione costituzionalmente orientata delle predette norme regionali secondo ragionevolezza non può prescindere nella sua applicazione dal considerare le locali norme regolamentari, che, secondo i consueti principi di sussidiarietà e prossimità dei livelli di governo, assicurano l’effettività di tutela delle concrete esigenze dello specifico contesto territoriale, così evitando le conseguenze abnormi di un’applicazione del dato legislativo uguale per tutte le realtà urbane (come sarebbe, si immagini, la situazione in cui ci si troverebbe laddove, applicando acriticamente ed in maniera generalizzata il principio secondo il quale la canna fumaria deve sovrastare di una certa distanza il colmo dell’edificio vicino, si dovesse pretendere un’altezza superiore a quella anche del più alto grattacielo confinante: cfr., sul principio, Cons. St., sez.VI, n.1/2015 cit.; vedi altresì Cons. St., sez. V, 17 giugno 2014, n. 3081 ove si afferma che “ai sensi dell’art. 272, comma 1, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e successive modifiche, la canna fumaria in questione è considerata scarsamente inquinante, con conseguente suo assoggettamento ai “piani e programmi di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa” di fonte locale, ovvero ad una disciplina di fonte regionale à sensi dell’art. 271, comma 3, dello stesso T.U. e successive modifiche”: disciplina che nella Regione Lazio tuttavia non risulta a tutt’oggi emanata se non nei termini sopra indicati).

Va altresì considerato che:

– a livello regolamentare locale l’art. del 59 Reg. Ed. dispone, quanto ai “Condotti di fumo”, che “Ferme restando le disposizioni contenute nel Regolamento di igiene, è vietato di far esalare il fumo inferiormente al tetto o stabilire condotti di fumo con tubi esterni ai muri prospettanti sul suolo pubblico” (per quanto attiene alla correlazione tra la disciplina del commercio e quella urbanistico-edilizia, e tra queste ed il regolamento igienico-sanitario comunale, cfr. Tar Lazio, sez. II ter, n. 11129 del 2015; Cons. St., sez. V, n. 3262 del 2009; Tar Campania, Napoli, n. 10058 del 2008 e n. 556 del 2010); mentre, sempre al medesimo livello normativo, l’art. 64 del Reg. Igiene non impone necessariamente l’utilizzo della canna fumaria; esso difatti, all’ultimo comma, dispone che “L’Ufficio d’Igiene potrà anche prescrivere caso per caso, quando sia ritenuto necessario, l’uso esclusivo dei carboni magri o di apparecchi fumivori”. Dunque, e fermo restando l’impiego ordinario delle vie di fumo tradizionali, la disciplina normativa consente anche il ricorso a vie di fumo alternative che dovranno essere valutate caso per caso.

– Tale disciplina è da considerarsi tuttora vigente in quanto non in contrasto con l’art.12 del Reg. reg. 1/2009 che prescrive l’accertamento dell’idoneità della via di fumo alternativa “secondo la normativa vigente in materia” (e dunque non pregiudica l’operatività di detta norma regolamentare). Né l’implicita abrogazione dell’art. 64 può derivare dall’art. 15 del Reg. reg. citato: e ciò in quanto tale previsione nulla dispone con riguardo alle conseguenze della mancata adozione, entro il termine di 90 giorni prescritto, della normativa regolamentare locale di adeguamento (che può essere sollecitata da chi vi abbia interesse con il ricorso ai normali strumenti processuali); va solo meglio chiarito che un adeguamento si impone allorché la norma locale pre-esistente sia incompatibile con la superiore previsione regionale, ma ciò è da escludersi nel caso di specie, non vietando il locale Regolamento d’Igiene il ricorso a più moderni ed ecologicamente idonei strumenti o apparati tecnologici per lo smaltimento dei fumi ma, semplicemente, limitandosi ad imporne, a tutela di un interesse primario quale, come dianzi ricordato, quello della salute, il preventivo accertamento); al che accede la evidente infondatezza delle censure che poggiamo sulla violazione della citata normativa regionale ovvero sull’assunta abrogazione dell’art.64 del Reg. d’Igiene dell’Amministrazione resistente nonché sull’interpretazione di tale disposizione così come dedotto in gravame (nessun dubbio sulla vigenza dell’art.64 citato è sollevato nella decisione del Cons. St., sez. III, 5 ottobre 2011, n. 5474 laddove si afferma che “la ratio di tale norma sia quella di evitare che le canne fumarie provochino immissioni nocive o comunque disturbo a terzi e pertanto, laddove, come nel caso in esame, per la peculiare configurazione architettonica a scaloni, lo stabile abbia due o più piani di copertura di diverso livello, le canne fumarie debbono innalzarsi oltre l’ultimo piano al fine di evitare immissioni nocive a terzi”);

– a livello comunitario, vengono in considerazione più normative tecniche (vedi UNI EN 15251:2008, recante “Criteri per la progettazione dell’ambiente interno e per la valutazione della prestazione energetica degli edifici, in relazione alla qualità dell’aria interna, all’ambiente termico, all’illuminazione e all’acustica” e applicabile ad abitazioni individuali, condomini, uffici, scuole, ospedali, alberghi e ristoranti, impianti sportivi, edifici ad uso commerciale all’ingrosso e al dettaglio; UNI EN 15239:2008 e UNI EN 15240:2008 entrambe descriventi una metodologia per l’ispezione degli impianti); e fra queste in particolare la normativa UNI EN 13779:2008 (Requisiti prestazionali dei sistemi per l’edilizia non residenziale) che prevede dettagliate classificazioni di aria nell’ambiente ambiente, in particolare l’aria esterna (ODA) e l’aria interna (IDA) e che classifica quest’ultima in quattro categorie collocando all’interno di quella più dannosa per la salute umana (“aria estratta con altissimo livello di inquinamento”), l’aria proveniente, fra l’altro, da “cappe aspiranti per uso professionale, piani cottura e scarichi locali di cucine ” in quanto contenente odori ed impurità dannosi per la salute in concentrazioni sensibilmente più elevate di quelle permesse per l’aria interna nelle zone occupate;

– le sopracitate norme UNI EN, elaborate dal CEN (Comité Européen de Normalisation), sono preordinate ad uniformare la normativa tecnica in tutta Europa e devono ritenersi (non solo regole di buona tecnica ma, altresì) norme vincolanti in presenza di leggi o di regolamenti di recepimento (cfr. sul principio, Corte Cost. sentenza 18 giugno 2015, n.113 nonché Corte Cass., II sezione civile, sentenza 15 dicembre 2008, n. 29333; Cons. St. sez. V, 17 giugno 2014, n. 3081 cit. laddove con riguardo alle modalità di intubamento della canna fumaria asservita ad una pizzeria con forno a legna sottolinea la necessità di renderla sicuramente conforme alla tuttora vigente norma UNI 10683 Ed. marzo 1998 “Generatori di calore a legna. Requisiti di installazione”, nonché l’ulteriore disciplina tecnica susseguentemente intervenuta);

– la normativa tecnica “UNI EN 13779 Ventilazione degli edifici non residenziali – Requisiti di prestazione per i sistemi di ventilazione e di climatizzazione” è espressamente richiamata nell’all. B. al D.M. 26 giugno 2009 (vedi altresì, in precedenza, art. 7 dell’abrogata L. n. 46 del 1990 nonché, per quanto riguarda le attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici, il D.M. n. 38 del 2007, all’art.5 comma 3 e all’art.6 c.1) e quindi trova applicazione nel vigente Ordinamento (con pacifica infondatezza della doglianza che ne esclude la cogenza e vincolatività); e preso atto che la norma tecnica che essa indica in tutti i casi di scarico dell’aria esausta diversa da quella della cat. EHA 1(che è nella catalogazione sopra richiamata quella considerata la meno dannosa per la salute ed è qualificata come “aria estratta con basso livello di inquinamento” da ambienti come uffici, classi scolastiche, scalinate, corridoi ecc.) è data dalla seguente prescrizione: “In tutti gli altri casi lo scarico dovrebbe essere posto sulla cima del tetto. Come regola, l’aria esausta è condotta sopra la sezione più alta dell’edificio e scaricata verso l’alto”;

– in forza di quanto sin qui esposto, deriva (in tutti i casi di scarico non collocabili nella predetta catg. EHA 1) l’obbligo di dotare gli impianti dei locali di cottura all’interno dei locali di ristorazione di sistemi di scarico posti sulla cima del tetto ovvero sulla sezione più alta dell’edificio: vincolo questo che rende inapplicabile alla fattispecie il disposto dell’art. 19, comma 1, della L. n. 241 del 1990, a norma del quale sono esclusi dall’ambito dell’applicazione della segnalazione ivi meglio disciplinata i casi in cui sussistano (i) “vincoli” ivi individuati tra i quali quelli imposti dalla normativa comunitaria;

– conseguentemente, al fine di superare tale vincolo, il Collegio, rimeditando precedenti orientamenti, ritiene che non può considerarsi sufficiente la produzione in giudizio di una perizia circa l’idoneità dell’impianto alternativo a sostituire le vie di fumo tradizionali, dovendosi esigere l’accertamento – da parte di professionisti che possiedano le conoscenze tecnico scientifiche idonee per effettuare, con i necessari strumenti, le misurazioni dei fumi e vapori evacuati dalla via di fumo alternativa utilizzata – che il sistema di scarico sia, concretamente, di efficienza e funzionalità tale da garantire (nel tempo e/o anche tramite gli interventi manutentivi da debitamente documentare e comprovare) una resa di livello pari o maggiore di quello assicurato da una via di fumo tradizionale e che tale accertamento, in sintonia con quanto previsto dall’art. 64 citato (“L’Ufficio d’Igiene potrà anche prescrivere caso per caso, quando sia ritenuto necessario, l’uso esclusivo dei carboni magri o di apparecchi fumivori”) sia condotto nel procedimento amministrativo con le competenti autorità e concluso prima dell’avvio dell’attività imprenditoriale.

Nel caso di specie non risulta effettuato detto accertamento preventivo da parte dell’autorità amministrativa né rilasciato alcun provvedimento espresso di autorizzazione ex art. 64 citato all’uso di impianti alternativi alla canna fumaria (con esclusione della formazione di un titolo abilitativo a seguito di presentazione della Scia c.d. “sanitaria”).

Del resto la praticabilità della Scia (sanitaria) in subiecta materia neppure potrebbe essere predicata in forza del regime di liberalizzazione delle attività economiche, tenuto conto delle espresse deroghe contemplate nella relativa legislazione a tutela del bene “salute” e della “sicurezza dei lavoratori” (alla stregua dei ribaditi principi in materia elaborati dagli orientamenti giurisprudenziali la formulazione comunale non rivela profili di confliggenza con la normativa di matrice comunitaria, con la legislazione statale in tema di “liberalizzazione” delle attività commerciali nonché con gli orientamenti interpretativi della Corte Costituzionale in ragione del necessario contemperamento di tale principio con interessi di tutela che rivelano preminente attenzione, sì da indurre profili di recessività dello stesso, come più volte affermato dalla Sezione nelle richiamate sentenze in materia).

Del resto, va rilevato che anche in un settore (pur parallelo, ma) diverso da quello degli impianti di scarico utilizzati dagli esercizi di ristorazione, la normativa più recente (L. n. 90 del 2013, entrata in vigore il 4 agosto 2013) ha stabilito nuove disposizioni riguardanti l’evacuazione dei prodotti della combustione degli impianti termici.

In particolare, l’art. 17-bis “Requisiti degli impianti termici”, al comma 9 e ss., privilegia espressamente il ricorso alle canne fumarie ammettendo lo scarico a parete solo in tre casi specifici (sostituzione dell’impianto con uno già esistente prima del 1 settembre 2013 che scaricava a parete o era allacciato a canna collettiva ramificata; se lo scarico a tetto risulta incompatibile con norme di tutela degli edifici; se si dimostra, con un’asseverazione del progettista, che è impossibile tecnicamente realizzare uno sbocco a tetto) ed a condizione che gli impianti siano di classe 4 e 5 stelle nel rispetto delle norme UNI EN 297, UNI EN 483 e UNI EN 15502 e delle prescrizioni della UNI 7129:2008.

Pertanto il potere di controllo esercitato nella circostanza dall’intimata Amministrazione trova titolo nello svolgimento di una attività economica (somministrazione alimenti: cottura di cibi) in assenza di requisiti oggettivi, ovvero di canna fumaria, ed in carenza di autorizzazione all’uso di impianto alternativo che asseveri l’idoneità dell’impianto medesimo sotto il profilo della sua “equipollenza” alla via di fumo tradizionale.

Va altresì considerato che la più accreditata giurisprudenza, allorquando ha affrontato la tematica in argomento, non ha mai dubitato della legittimità delle norme e dei conseguenti provvedimenti amministrativi che imponevano l’impiego di canne fumarie (cfr. Cons. St., sez. V, 17 giugno 2014, n. 3081 che ha ritenuto legittima l’ordinanza, adottata ai sensi degli artt. 50 e 54 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che prescriveva “di sospendere l’utilizzo del forno a legna fino a quando non sia provveduto all’esecuzione delle opere necessarie alla risoluzione dell’inconveniente, quali una accurata pulizia della canna fumaria e l’eventuale installazione di dispositivi atti a trattenere le particelle di fuliggine, nonché una periodica manutenzione della stessa”; Cons. Stato, sez. III, n. 304 del 2013: che ha ritenuto legittima la prescrizione del regolamento locale di Igiene impositiva dell’utilizzo di canna fumaria anche nel caso di impiego di forni elettrici; Cons. St., sez. III, 5 ottobre 2011, n.5474 che ha ritenuto legittima, in applicazione dell’art.64 del Reg. Igiene del Comune di Roma, la prescrizione che le canne fumarie debbono innalzarsi oltre l’ultimo piano al fine di evitare immissioni nocive a terzi; Cons.Stato, sez. V, n. 4428 del 2008, che riguarda fattispecie ampiamente assimilabile a quella qui in trattazione, in cui l’esercente si era avvalso di un (contestato) sistema di scarico alternativo alla canna fumaria, ha dato risalto alle carenze della relazione peritale evidenziando che il tecnico si è limitato ad attestare ad attestare che “dalle rilevazioni effettuate emerge il ridottissimo impatto delle emissioni sull’ambiente esterno che non solo non mostrano caratteristiche di nocività, ma anche non possono essere ritenute lesive della qualità ambientale e/o limitative dei diritti dei terzi. In altri termini, il tecnico ha dichiarato che le emissioni non sono nocive o lesive e non limitano i diritti dei terzi, ma non che l’impianto sia “idoneo sotto il peculiare aspetto della uguaglianza dei suoi effetti di neutralizzazione di fumi, vapori ed odori di cucina a quelli del sistema tradizionale.

Né tanto è attestato nelle altre relazioni, che anzi non si basano neppure su prove effettuate in concreto, bensì su un “plausibile” valore complessivo di abbattimento delle emissioni”.

Ancora il Supremo Consesso ha precisato che è “evidente che la norma regolamentare imponga al privato una siffatta dimostrazione, e non all’Amministrazione di comprovare il contrario”).

4. Il Collegio rileva pertanto che, alla luce delle considerazioni ed argomentazioni sopra declinate, le censure in premessa sintetizzate non sono meritevoli di accoglimento, ad eccezione del solo profilo di doglianza incentrato sulla violazione dell’art.64 del Reg. d’Igiene il quale, come dianzi evidenziato, ammette la possibilità del ricorso a vie di fumo alternative “quando sia necessario” e previo accertamento da condurre “caso per caso”; possibilità invece negata dalla resistente amministrazione laddove (non si limita solo a riscontrare l’assenza di canna fumaria a servizio dell’esercizio della ricorrente, ma) conclude precisando che “L’utilizzo di impianti alternativi, pertanto, non risulta, allo stato attuale, legittimato da alcuna fonte normativa”.

Peraltro, corre l’obbligo di precisare, ex art. 34, c.p.a., che all’accoglimento del ricorso non consegue che alla società ricorrente può ritenersi automaticamente consentito l’avvio o l’esercizio di attività di cottura in locali sprovvisti di canna fumaria richiesta dall’art.64 del Regolamento d’Igiene comunale, dal momento che, come sopra articolatamente argomentato, sia l’art.9 c. 2 del Reg. Reg. n.1 del 2009 che l’art.64 citato non ostano all’esercizio di un’attività di cottura dotata di via di fumo alternativa a quella tradizionale, ma solo a condizione che tale impianto alternativo (non solo rispetti le norme tecniche di costruzione richieste, ma) sia rispetto a quello tradizionale dotato di maggiore o pari efficienza, condizione questa che va documentata dalla società attraverso una produzione peritale redatta da professionista dotato delle conoscenze scientifiche e degli strumenti necessari per le misurazioni richieste ai fini della prova del citato rapporto di equivalenza /equipollenza e che va sottoposta (anche a mente dell’art.64 citato) alla valutazione delle competenti Autorità che dovranno determinarsi espressamente o rendere il proprio parere nella sede procedimentale prevista, ulteriormente precisandosi che l’opposta evenienza espone la società alle misure inibitorie che l’Amministrazione potrà adottare in quanto l’esercente risulta sprovvisto sia di canna fumaria che di via di fumo alternativa debitamente e previamente autorizzata.

A ciò va aggiunto con riferimento alla memoria da ultimo depositata dalla ricorrente e alla allegata nota del Dipartimento di Prevenzione della ASL Roma 1 del 21.12.2017, che non mutano le conclusioni dell’orientamento della Sezione come sopra riportate, non potendosi non riscontrare la possibilità per la ricorrente di attivare gli strumenti di azione opportuni in opposizione a tale nota della ASL Roma 1, se ritenuta illegittima.

5. In conclusione, il ricorso va accolto nei termini e limiti sopra indicati, con salvezza di nuovi e motivati provvedimenti dell’Autorità.

Le spese di lite, attesa la significativa peculiarità della questione trattata, possono essere compensate tra le parti in lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando ai sensi dell’art. 60 cpa sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento di cessazione dell’attività di cottura impugnato, con salvezza di nuovi e motivati provvedimenti dell’Autorità.

Spese di giudizio compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Mariangela Caminiti, Consigliere, Estensore

Salvatore Gatto Costantino, Consigliere