Immobile destinato ad un nucleo familiare: il recesso dal contratto è consentito solo in presenza di un bisogno urgente del comodante.

(Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 3 dicembre 2015, n. 24618)

Svolgimento del processo

1. Nel 2005, le sorelle Da.Ca.Ne., N. e L. convennero in giudizio la cognata R.R.T. e i figli D.C.S. e V. , per ottenere, previo accertamento dell’estinzione del contratto di comodato stipulato in data 2 ottobre 2000, il rilascio dell’immobile oggetto del contratto e il risarcimento danno per occupazione sine titolo.

Esposero le attrici che avevano concesso in comodato al fratello U. , l’immobile di loro proprietà senza determinazione di durata.

Con successivo atto di transazione sottoscritto in data 6 luglio 2001, i fratelli tutti i fissavano una data di scadenza del contratto di comodato indicata in 15 anni. Invece in data 24 agosto 2005, le sorelle D.C. comunicavano al fratello U. la necessità di riavere la casa, libera da persone cose, entro il 15 settembre 2005.

A tale richiesta aderì il fratello, con lettera del 30 agosto 2005.

Si difese la signora R.R.T. , con i figli S. e V. , sostenendo che il contratto di comodato risaliva agli anni 70 ed era stato concesso verbalmente dai genitori del marito e trovava ragione nelle esigenze della famiglia.

Sostennero anche che la volontà di rilasciare l’immobile espressa dal marito non li rappresentava, ed anzi ritenuta dolosa e simulata, perché traeva origine dalla loro separazione giudiziale.

Contestarono anche il bisogno urgente imprevisto delle attrici e proposero domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni derivanti dalla dolosa, simulata, risoluzione del contratto.

Il Tribunale di Soave, Sez. distaccata di Verona, con la sentenza n. 183/2008, rigettò la domanda di accertamento dell’estinzione del contratto di comodato proposta dalle sorelle D.C. dichiarando la nullità della domanda di risoluzione per inadempimento proposta in via subordinata.

Il giudice ritenne che il contratto fosse stato funzionalmente destinato alle esigenze abitative della famiglia e le attrici non avevano dimostrato l’esistenza di un bisogno imprevisto che giustificasse la cessazione di efficacia del contratto.

2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 2420 del 5 dicembre 2011.

La Corte ha ritenuto il contratto di comodato risolto per mutuo consenso attribuendo valore alla lettera di risposta del fratello U. con cui manifestava la volontà, alle sorelle, di lasciare l’immobile.

La circostanza che si trattasse di un comodato d’immobile costituito per i bisogni della famiglia, ha determinato sull’immobile solo un vincolo di destinazione dello stesso per le esigenze familiari.

Tuttavia tale vincolo, ha ritenuto la Corte territoriale, non comporta alcuna titolarità di diritti e doveri nascenti dal contratto di comodato in capo gli altri membri della famiglia con la conseguenza che, in caso di risoluzione per mutuo consenso, non vi è la necessità che tale volontà sia espressa anche dagli altri membri della famiglia.

Ha condannato quindi al rilascio immediato dell’immobile occupato e al risarcimento del danno per la mancata disponibilità dell’immobile pari a un’indennità di occupazione di Euro 150 mensili.

3. Avverso tale decisione, R.R.T. propone ricorso in Cassazione sulla base di 5 motivi.

3.1 Resistono con controricorso e ricorso incidentale condizionato le sorelle D.C. .

Motivi della decisione

4.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 comma primo n. 3, c.p.c. per violazione degli artt. 1326 e ss., 1803 e 1809, nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c. in merito alla validità ed efficacia del contratto di comodato nei confronti dei signori R.R.T. e dei figli S. e V. “.

Lamenta che la sentenza della Corte d’Appello nell’accogliere il ricorso sottolinea l’esistenza di una manifestazione di mutuo consenso alla restituzione dell’immobile da parte dell’ex marito D.C.U. .

Ma tale manifestazione non può ritenersi valida perché resa in fase di separazione tra i coniugi. Pertanto la sentenza è errata laddove non ritiene valido il contratto di comodato stipulato per le esigenze familiari.

Il motivo è fondato.

È principio di questa Corte, e da cui questo collegio non intende discostarsi, che ove il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare (nella specie: dal genitore di uno dei coniugi) già formato o in via di formazione, si versa nell’ipotesi del comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare.

Infatti, in tal caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso allo stesso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario) idoneo a conferire all’uso – cui la cosa deve essere destinata – il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante.

Del resto, come più volte ribadito, la specificità della destinazione, impressa per effetto della concorde volontà delle parti, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall’incertezza, che caratterizzano il comodato cosiddetto precario, e che legittimano la cessazione “ad nutum” del rapporto su iniziativa del comodante, con la conseguenza che questi, in caso di godimento concesso a tempo indeterminato, è tenuto a consentirne la continuazione anche oltre l’eventuale crisi coniugale (Cass. n. 16769/2012; Cass. n. 4917/2011; Cass. n. 13592/2011; Cass. n. 16559/2008; Cass. n. 19939/2008; Cass. n. 3072/2006; Cass. n. 13260/2006).

Ma tale principio è contemperato dalla facoltà del comodante di chiedere la restituzione nell’ipotesi di sopravvenienza di un bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, cod. civ., segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione.

Ed infatti ai sensi dell’art. 1809, secondo comma, cod. civ., consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d’un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante – che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione – consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante (Cass. S.U. n. 20448/2014).

Pertanto la Corte d’Appello ha errato in quanto si è discostata dai principi sopra enunciati ed ha ritenuto risolto il contratto per mutuo consenso ritenendo sufficiente la volontà espressa dal fratello delle proprietarie senza considerare la situazione di separazione e il vincolo di destinazione dell’immobile. Ed inoltre non ha neanche effettuato quelle valutazioni necessarie per verificare la sussistenza dell’urgente ed imprevisto bisogno delle comodanti che possano giustificare la restituzione dell’immobile.

4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “violazione dell’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., per violazione dell’art. 1372 c.c. in materia di risoluzione contrattuale e di manifestazione di mutuo consenso alla risoluzione del contratto di comodato – contratto a parte complessa”.

La ricorrente sostiene che la Corte d’Appello non ha valutato che il contratto di comodato stipulato per esigenze familiari sia un contratto parti soggettivamente complesse e che le obbligazioni che sorgono con il contratto sono tante quanti sono i titolari/destinatari degli effetti del contratto. Pertanto la risoluzione di uno solo dei componenti della parte complessa non può realizzare effetti nei confronti di tutti gli altri.

4.3. Con il terzo motivo, la R. lamenta la “violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 comma primo, n. 3 c.p.c. per erronea e/o falsa applicazione degli artt. 155 quater in rapporto all’art. 1803 e 1809 c.c. – omessa o contraddittoria motivazione in rapporto al provvedimento di assegnazione della casa familiare alla signora R.R.T. “.

La sentenza è errata laddove non ha considerato l’assegnazione dell’immobile con i provvedimenti provvisori emessi nel procedimento di separazione personale dei coniugi.

4.4. Con il quarto motivo, la R. lamenta la “violazione dell’art. 360 comma primo, n. 3-4 c.p.c. in relazione all’art. 356 c.p.c.”.

Lamenta la mancata ammissione di istanze istruttorie formulate in sede di appello.

4.5. Con il quinto motivo, la R. lamenta la “violazione art. 360 comma primo, n. 5 c.p.c. contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione nella parte in cui prevede l’obbligo della signora R. e dei figli di corrispondere una indennità di occupazione per il mancato rilascio omettendo qualsiasi valutazione del provvedimento di assegnazione della casa familiare nei provvedimenti urgenti di separazione sulla liquidazione delle spese di procedura”.

Denuncia la valutazione equitativa effettuata dal giudice del merito per la determinazione della somma dovuta a titolo di indennità per la mancata restituzione dell’immobile.

I motivi due, tre, quattro e cinque sono assorbiti.

5. Per quanto riguarda il ricorso incidentale condizionato con il quale si denuncia il fatto che la Corte d’Appello non ha valutato, ritenendolo assorbito, l’urgente ed imprevisto bisogno ex art. 1809 c.c., esso rimane assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, perché rientra tra le valutazioni che dovrà fare il giudice del merito, secondo i principi sopra enunciati.

6. Va dunque pronunciato l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri motivi ed il ricorso incidentale condizionato, con invio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri motivi ed il ricorso incidentale condizionato.

Rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese.