In udienza l’imputato dà del bugiardo al maresciallo dei carabinieri: è oltraggio?

(Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 aprile 2016, n. 13414)

Ritenuto in fatto

1. Si procede a carico di T.A., per il reato di cui all’art. 341 bis primo comma cod. pen. perché offendeva l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale proferendo nei confronti del luogotenente Di M.D.S., mentre questi deponeva come teste nell’udienza tenutasi il 15 febbraio 2010 nel procedimento penale a carico dei T. per il reato di resistenza, le frasi “è un bugiardo, è un falso”.

Nella sentenza di primo grado, si dava atto che, pur essendo provata la materialità del fatto, la condotta non poteva ritenersi sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 341 bis, comma 1 cod. pen. poiché il Di M., nel momento in cui deponeva come teste dinanzi all’autorità giudiziaria, non poteva ritenersi pubblico ufficiale ma semplicemente teste che deponeva su fatti occasionalmente appresi.

II Tribunale perveniva, così, al proscioglimento del T. dal reato ascrittogli perché l’azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di querela, dovendo il fatto qualificarsi come reato di cui all’art. 594 cod. pen..

2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Caltanissetta, su appello proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Caltanissetta, ha confermato quella di primo grado dando atto, in motivazione, della qualità di pubblico ufficiale rivestita dal dichiarante nel corso del dibattimento e che le frasi proferite erano di contenuto obiettivamente offensivo.

La Corte, cionondimeno, ha ritenuto non provato che le espressioni proferite dal T. potessero considerarsi indirizzate esclusivamente a ledere l’onore e il prestigio dei teste, non essendo ravvisabili gli estremi di un atteggiamento espressivo di volontà ingiuriosa e minacciosa, poiché era ragionevole pensare che il T. avesse agito con atteggiamento meramente difensivo in un luogo in cui, data l’attività di avvocato svolta, era abituato quotidianamente ad operare e che l’espressione era destinata, più che alla persona fisica, all’organo giudicante, nel tentativo di influenzarne il giudizio in proprio favore.

Doveva, pertanto ritenersi che l’imputato avesse agito esercitando il proprio diritto di difesa che, in ogni caso, varrebbe, ai sensi dell’art. 51 cod. pen. come scriminante, anche solo putativa, della condotta tenuta.

3. Propone ricorso per cassazione avverso tale decisione il Procuratore generale competente, denunciando vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 51 cod. pen. e vizio di motivazione.

Il ricorrente deduce che le conclusioni della Corte di merito non si fondano su alcun elemento probatorio circa la convinzione dell’imputato di esercitare un preteso diritto di difesa ché, anzi, numerosi indizi inducono a conclusioni diverse posto che il T., ben avrebbe potuto fa valere le proprie rimostranze attraverso il difensore e senza travalicare in espressioni ingiuriose nei confronti del teste.

Rileva che la ritenuta esimente putativa si fonda su un mero stato d’animo soggettivo dell’imputato, laddove, invece, ai fini della sua ricorrenza, questa deve avere il supporto di dati di fatto concreti, tali da giustificare il formarsi dei convincimento della esistenza di una situazione non avente rispondenza nella realtà.

Considerato in diritto

1. II ricorso è fondato per la manifesta illogicità delle conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di merito.

2. La sentenza impugnata ha valorizzato un dato, cioè il presunto stato d’animo dei T., irrilevante rispetto al dolo connesso alla consapevolezza del contenuto offensivo delle rimostranze rivolte al teste durante la deposizione, conclusione vieppiù illogica perché inverte la valenza della professione di avvocato esercitata dal T. che, in ragione di tale qualità, era certamente a conoscenza del divieto di esprimere qualsiasi apprezzamento o commento nel corso della deposizione testimoniale per tutti coloro che assistono al dibattimento.

3. Deve, altresì, rilevarsi che ai fini del dedotto esercizio del diritto di difesa, il parametro di valutazione dei legittimo esercizio del diritto è costituito dalla inerenza delle espressioni utilizzate al contenuto della dichiarazione, sì che esse possano essere percepite come un giudizio che investe il contenuto della testimonianza, e non già come un giudizio sulla persona del dichiarante laddove, nel caso in esame, la frase pronunciata dall’imputato si è risolta proprio in un apprezzamento sulla qualità personale del teste, apprezzamento di cui la Corte territoriale ha sottolineato la natura obiettivamente ingiuriosa ed idonea a sminuirne la dignità personale.

Univoco è l’indirizzo della Corte di legittimità che esclude la ravvisabilità della scriminante dell’esercizio del diritto di critica in presenza di apprezzamenti diretti non all’atto del pubblico ufficiale sebbene alla sua persona.

Si è, infatti, affermato che ai fini della esclusione del reato di oltraggio, di cui all’art. 341 cod. pen., le espressioni con le quali può essere sindacata l’attività del pubblico ufficiale debbono essere immediatamente percepite come un giudizio che investe il provvedimento posto in essere da colui che esercita una pubblica funzione.

Allorché, invece, la critica non si ponga in un rapporto di immediatezza con l’operato del pubblico ufficiale ma sia indirizzata alla sua persona, non si verte più nei limiti di un dissenso, con la conseguenza che, se le espressioni usate sono munite di un vigore offensivo e idonee a sminuire la dignità del pubblico ufficiale, deve escludersi la liceità del dissenso stesso (Sez. 6, n. 12992 del 23/10/1998, Roccatello, Rv. 213036).

Conclusioni sovrapponibili anche all’esercizio dei diritto di difesa ove le espressioni utilizzate non concernano in modo diretto e immediato, l’oggetto della controversia e non abbiano rilevanza funzionale rispetto alle argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata, risolvendosi in un apprezzamento sulla persona del dichiarante.

4. Consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Caltanissetta.