In un ovile sardo i carabinieri, durante una perquisizione, rinvengono un fucile mitragliatore, 10 grammi di gelatina esplosiva, 64 centimetri di miccia a lenta combustione catramata munita di detonatore, una bascula in legno per fucile ,400 cartucce di vario calibro, 186 centimetri di miccia a lenta combustione con guaina in PVC.

(Corte di Cassazione penale, sez. fer., sentenza 26.08.2016, n. 35530)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPOZZI Angelo – Presidente –
Dott. ROSI Elisabet – rel. Consigliere –
Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere –
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) F.G., nato il (OMISSIS);

Avverso la sentenza emessa il 09/02/2016 dalla Corte di appello di Cagliari;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro;

Udito il Procuratore generale, in persona del Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

Udito per l’imputato l’avv. CORRIAS Alessandro.

Rilevato in fatto

1. Con sentenza emessa il 28/11/2014 il Tribunale di Oristano giudicava F.G. colpevole dei reati ascrittigli ai capi B), C), D) ed E) della rubrica unificati sotto il vincolo della continuazione e, considerato più grave il reato di cui al capo B) ed esclusa la recidiva, lo condannava alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione e 6.000,00 Euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia dei beni sottoposti a sequestro.

L’imputato veniva, invece, assolto dal reato a lui ascritto al capo A) per non aver commesso il fatto.

2. Con sentenza emessa il 09/02/2016, la Corte di appello di Cagliari, pronunciandosi sull’impugnazione proposta dall’imputato, confermava la decisione impugnata e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado di giudizio.

3. Secondo la ricostruzione posta a fondamento delle convergenti sentenze di merito, il presente procedimento penale traeva origine da una perquisizione effettuata il 17/06/2011, su iniziativa della Compagnia dei Carabinieri di Tonara, in contrada (OMISSIS), nel territorio di (OMISSIS), finalizzata al rinvenimento di armi, munizioni e materie esplodenti detenute illegalmente nei fabbricati dell’azienda agricola del F..

La perquisizione, inizialmente, aveva riguardato l’autovettura e i fabbricati dell’azienda agricola dell’imputato e aveva dato esito negativo; successivamente, le operazioni venivano estese anche all’area, priva di recinzione, circostante tali edifici, destinata in parte a pascolo e in parte a rimboschimento forestale, dando esito positivo.

All’esito della perquisizione, in sei diversi punti dell’appezzamento di terreno sottoposto a controllo dai carabinieri procedenti, venivano rinvenuti i beni descritti ai capi B), C), D) ed E), variamente occultati nell’area antistante l’azienda agricola del F.. Venivano conseguentemente sequestrati un fucile mitragliatore; 10 grammi di gelatina esplosiva; 64 centimetri di miccia a lenta combustione catramata munita di detonatore; una bascula in legno per fucile; 400 cartucce di vario calibro; 186 centimetri di miccia a lenta combustione con guaina in PVC.

Questi beni venivano ricondotti al F. in conseguenza del fatto che, secondo quanto riferito dai militari operanti nel dibattimento svoltosi davanti al Tribunale di Oristano, la porzione di terreno dove gli oggetti sequestrati erano stati rinvenuti, benché di proprietà comunale e priva di recinzione, risultava nell’esclusiva disponibilità del F..

L’imputato, infatti, era l’unico dei proprietari della contrada (OMISSIS) a essere visto recarsi quotidianamente, insieme con la moglie e la figlia, in tale terreno per accudire il proprio bestiame, recandovisi sia nelle ore mattutine che nelle ore pomeridiane.

Si accertava, inoltre, che dai fabbricati dell’azienda agricola del F. si dominava visivamente l’intera area agricola nella quale i beni sequestrati venivano rinvenuti, che era ubicata in una zona altimetrica sottostante, consentendone il controllo data la breve distanza.

L’istruttoria dibattimentale, ancora, consentiva di accertare che i reperti sequestrati erano ben occultati nel terreno, ma erano comunque sistemati in modo tale che potessero essere facilmente reperiti nell’eventualità di un loro utilizzo.

Si ritenevano, per converso, inattendibili le dichiarazioni rese dall’imputato, dalla figlia F.S. e dalla moglie A.M. – secondo cui il F. non si occupava con costanza della sua azienda agricola in conseguenza dei gravi problemi di salute che lo affliggevano – atteso che tali dichiarazioni risultavano contrastanti con i servizi di osservazione svolti dai carabinieri procedimenti, sopra richiamati.

Si attribuiva, infine, rilievo neutro agli accertamenti eseguiti dal consulente tecnico della difesa, ingegner C.G., finalizzati a escludere l’esclusiva disponibilità del terreno da parte del F., per le medesime ragioni esplicitate a proposito delle dichiarazioni rese dall’imputato e dai suoi congiunti, risultando palesemente contrastanti con le emergenze probatorie.

Sulla scorta di questo compendio probatorio l’imputato veniva condannato alla pena di cui in premessa.

4. Avverso la sentenza di appello l’imputato, a mezzo del suo difensore, ricorreva per cassazione, deducendo quattro motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso si deduceva violazione di legge, in riferimento all’art. 192 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., conseguente al fatto che la Corte di appello di Cagliari era pervenuta alla formulazione di un giudizio di colpevolezza del F. sulla base di una ricostruzione logico-processuale incongrua, esclusivamente fondata sull’indimostrata disponibilità dell’imputato dell’appezzamento di terreno dove i reperti di cui ai capi B), C), D) ed E) della rubrica venivano rinvenuti.

Strettamente collegato con il primo motivo è il secondo motivo di ricorso, con cui si censurava, sotto il profilo motivazionale, la ricostruzione logico-processuale effettuata dalla Corte territoriale in riferimento alla valenza probatoria attribuita al dato processuale, che si riteneva indimostrato, dell’esclusiva disponibilità dell’appezzamento di terreno in questione da parte del F..

Secondo la difesa del ricorrente, tale elemento indiziario doveva ritenersi sprovvisto di univocità probatoria, atteso che la porzione di terreno in questione risultava adiacente a una strada pubblica – che la perimetrava unitamente all’unità immobiliare del ricorrente – come era chiaramente emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale, con la conseguenza che l’affermazione secondo cui tale area era nell’esclusiva disponibilità del F. risultava contraddetta dalle emergenze processuali.

Con il terzo motivo di ricorso si deduceva violazione di legge, in relazione all’art. 62-bis c.p., conseguente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore del F., la cui concessione si imponeva tenuto conto del disvalore della condotta in contestazione e delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si era concretizzato il comportamento illecito dell’imputato.

Strettamente collegato con il terzo motivo è il quarto motivo di ricorso, con cui si censurava, sotto il profilo motivazionale, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore del F., nell’escludere le quali la Corte di appello di Cagliari non aveva tenuto conto dell’età avanzata e delle precarie condizioni di salute del ricorrente, pur incontroverse alla stregua delle emergenze processuali.

Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile, risultando basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre, innanzitutto, esaminare i primi due motivi di ricorso, che devono essere esaminati congiuntamente, afferendo a profili censori tra loro speculari, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’incongruità della ricostruzione logico-processuale eseguita dalla Corte di appello di Cagliari, esclusivamente fondata sull’indimostrata disponibilità da parte del F. dell’appezzamento di terreno dove i reperti di cui ai capi B), C), D) ed E) della rubrica venivano rinvenuti dai militari della Compagnia dei Carabinieri di Tonara.

Deve, in proposito, rilevarsi che l’impugnazione del F., pur denunziando violazione di legge e vizio di motivazione, nell’ambito dei primi due motivi di ricorso, non critica la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, ma, postulando indimostrate carenze motivazionali della sentenza impugnata, chiede la rilettura del quadro probatorio e il riesame nel merito della vicenda processuale.

Tuttavia, tale riesame è inammissibile in sede di legittimità, quando la struttura razionale della sentenza impugnata possieda, come nel caso in esame, una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, al compendio probatorio (cfr. Sez. 2, n. 9242 dell’08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789).

Il compendio probatorio, invero, veniva correttamente vagliato nel provvedimento decisorio in esame – mediante puntuale richiamo delle deposizioni rese dai testi S. e St. nel dibattimento di primo grado – nella cui pagine 11 e 12 si evidenziava come costituiva un dato processuale incontroverso quello secondo cui il quale i luoghi nei quali i reperti sequestrati erano stati ritrovati risultavano nella disponibilità esclusiva del F., come dimostrato dai servizi di osservazione svolti dai militari della Compagnia dei Carabinieri di Tonara nelle fasi che precedevano l’arresto in flagranza di reato dell’odierno ricorrente.

Per converso, nessuno dei proprietari dei fondi confinanti con la strada pubblica che delimitava il fondo nel quale i beni sequestrati venivano rinvenuti unitamente alla proprietà agricola del F. – durante i servizi di osservazione che erano stati attivati nel corso delle indagini preliminari dai militari della Compagnia dei Carabinieri di Tonara veniva visto accedere all’area interessata dall’occultamento di tali reperti, confermando ulteriormente l’assunto processuale secondo cui solo il F. disponeva di questo appezzamento di terreno.

In questa cornice, deve dunque ribadirsi che la prova dell’esclusiva disponibilità da parte del F. dell’appezzamento di terreno dove i reperti occultati venivano rinvenuti derivava da un servizio di osservazione predisposto dai militari procedenti, che consentiva di ritenere il fondo agricolo, a prescindere dalla sua ubicazione topografica, nell’esclusiva disponibilità dell’imputato.

Si ritiene, in proposito, necessario richiamare il passaggio motivazionale esplicitato a pagina 12 della sentenza impugnata, nella quale la Corte territoriale evidenziava in termini ineccepibili: “è infatti emerso nel processo che il terreno, pur essendo comunale, era nella disponibilità esclusiva dell’imputato; sul punto hanno deposto in maniera univoca i testi del P.M. e in particolare il teste St. che aveva eseguito un servizio di osservazione dal quale era risultato che il solo F., e la moglie che lo accompagnava, si recavano nell’azienda tutti i giorni, la mattina e il pomeriggio…”.

Nello stesso contesto processuale, la Corte territoriale evidenziava, nei termini correttamente esplicitati a pagina 12 del provvedimento impugnato, che dai fabbricati dell’azienda agricola del F. l’area nella quale i reperti sequestrati venivano rinvenuti, oltre che immediatamente prospiciente alle stesse unità immobiliari, era controllabile visivamente dalla sola azienda agricola dell’imputato e che il terreno in questione non era frequentato da altri soggetti, in ragione del fatto che le poche aziende agricole presenti in quella contrada erano ubicate in zone lontane dal luogo del ritrovamento.

Sul punto, non si può che richiamare il passaggio motivazionale della sentenza impugnata, nel quale, nel riferirsi ai servizi di osservazione svolti dal teste St. nel corso delle indagini preliminari, si osservava: “Lo stesso teste ha spiegato che dal loro punto di osservazione potevano vedere tutta l’azienda del F. e che la zona non era frequentata in quanto veniva percorsa “da qualche operaio della forestale e dalle poche persone che hanno le aziende” che tuttavia, come ha spiegato il teste erano lontane”.

Quanto, infine, al possibile accesso all’appezzamento di terreno in questione da parte dei fratelli M.G.G. e G.S.F. che erano i proprietari dell’azienda agricola più vicina all’area del ritrovamento – ai quali la difesa del F. faceva espressamente riferimento nel suo atto di impugnazione – l’istruttoria dibattimentale aveva evidenziato la scarsa plausibilità di una tale ipotesi processuale, atteso che il loro fondo agricolo, rispetto all’ovile del F., risultava notevolmente più distanziato dai siti del rinvenimento delle armi e che comunque tali proprietari terrieri non erano mai stati visti accedere all’appezzamento di terreno in questione.

Si trattava, quindi, di prendere in considerazione una tra le ipotesi alternative prospettate in termini ipotetici dalla difesa del F. e contrapporla a quella correttamente vagliata dai giudici di merito, in presenza di elementi probatori che non consentivano di attribuire alcun valore processuale alla ricostruzione prospettata dalla difesa del ricorrente, in presenza di fonti di prova, univocamente orientate, che imponevano di escludere non solo la verosimiglianza, ma addirittura la plausibilità di tale ricostruzione.

In ogni caso, un tale percorso valutativo, oltre che illogico e processualmente incongruo, si sarebbe posto in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: “In tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti” (cfr. Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, Brancucci, Rv. 252066).

Queste ragioni processuali impongono di ritenere inammissibili i primi due motivi di ricorso.

2. Analogo giudizio di inammissibilità deve essere espresso in relazione al terzo e al quarto motivo di ricorso, che devono essere esaminati congiuntamente, riguardando entrambi tali doglianze il trattamento sanzionatorio irrogato al F., di cui si censurava l’eccessività, in riferimento ai parametri prefigurati dall’art. 62-bis c.p., sotto il profilo della mancata concessione delle attenuanti generiche.

Secondo la difesa del F., nel quantificare la pena irrogata all’imputato, si doveva tenere conto delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali era maturata la condotta illecita dell’imputato, nel valutare la quale occorreva ulteriormente considerare l’età avanzata e le precarie condizioni di salute del ricorrente.

Deve, in proposito, rilevarsi che la quantificazione della pena irrogata al F., conforme nei sottostanti giudizi di merito, veniva eseguita correttamente, tenendo conto delle univoche emergenze probatorie, del comportamento processuale dell’imputato e della gravità dell’azione delittuosa oggetto di contestazione, nei termini esplicitati a pagina 13 della sentenza impugnata, in cui si evidenziava come il giudizio dosimetrico compiuto dal Tribunale di Oristano risultava congruo rispetto agli indicatori enucleati dall’art. 133 c.p., non consentendo la concessione delle attenuanti generiche invocate dalla difesa dell’appellante.

Secondo la Corte territoriale, in particolare, nessun elemento processuale consentiva di attribuire rilievo positivo alla condotta del F., anche in considerazione del fatto che non era “emersa alcuna consapevolezza da parte dell’imputato del disvalore del fatto”.

In presenza di univoci tali indicatori dosimetrici, la Corte di appello di Cagliari riteneva correttamente di non concedere le attenuanti generiche invocate dalla difesa del ricorrente, evidenziando che l’azione di occultamento dei reperti di cui ai capi ai capi B), C), D) ed E) non poteva trovare alcuna giustificazione, anche tenuto conto dell’elevato numero di armi, munizioni ed esplosivi sequestrati.

Sul punto, non si può non ribadire che il F. veniva ritenuto il responsabile dell’occultamento di un vero e proprio arsenale, costituito un fucile mitragliatore, da gelatina esplosiva, da una miccia a lenta combustione catramata con detonatore, da una bascula in legno per fucile, da centinaia cartucce di vario calibro e da una miccia a lenta combustione con guaina.

La Corte di appello di Cagliari, in tal modo, eseguiva una valutazione della condotta illecita del F. pienamente rispettosa dei parametri indicati dall’art. 133 c.p., fondando il giudizio sulla mancata concessione delle attenuanti generiche invocate su una verifica congrua del disvalore dell’azione criminosa del ricorrente e del suo comportamento processuale.

Si consideri, in ogni caso, che le circostanze attenuanti generiche rispondono alla funzione di adeguare la sanzione penale irrogata al caso concreto nella globalità degli elementi oggettivi e soggettivi che la connotano, sul presupposto del riconoscimento di situazioni fattuali concretamente riscontrate con riferimento alla posizione processuale dell’imputato.

La necessità di un giudizio che coinvolga tale posizione nel suo complesso – e che secondo la Corte territoriale impediva la concessione al F. delle attenuanti generiche sulla base di un giudizio sul disvalore della sua condotta ineccepibile – è sintetizzata dal principio di diritto affermato da questa Corte, secondo cui: “le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 c.p., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr. Sez. 6, n. 2642 del 14/01/1999, Catone, Rv. 12804).

Queste ragioni impongono di ritenere inammissibili anche il terzo e il quarto motivo di ricorso.

3. Per queste ragioni, il ricorso proposto nell’interesse di F.G. deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende, determinabile in 1.500,00 Euro, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 1.500,00 Euro in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 23 agosto 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2016.