Indennità di accompagnamento va riconosciuta anche per patologie neurologiche.

(Corte di Cassazione Civile, sez. lavoro, ordinanza 15 marzo 2016, n. 5032)
ordinanza

sul ricorso 29067-2013 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIANO NICODEMO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCI MAURO, CAPANNOLO EMANUELA, CLEMENTINA PULLI giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 566/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del 7/05/2013, depositata il 20/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/01/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato Emanuela Capannolo difensore del controricorrente che si riporta agli scritti.

 
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a nonna dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio e non infirmata dalla memoria del ricorrente.

2. La Corte d’Appello di Catania, in accoglimento del gravame svolto dall’INPS, ha accolto la domanda proposta da M.A., per il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento, con decorrenza dal i giugno 2012 (in tal senso modificando la decisione di primo grado che aveva accolto il beneficio dal 1 ottobre 2007) e, prestando adesione ai chiarimenti resi dall’ausiliare officiato nel giudizio di gravame, ha formulato il dictum nei seguenti termini “modifica nel 1 giugno 2012 la decorrenza della prestazione, con revisione biennale…”.

3. M.A. ricorre avverso tale sentenza, con plurimi motivi con i quali deduce l’inammissibilità del gravame; violazione di legge (L.18/80 e success. modifiche), per avere la Corte territoriale ancorato la decorrenza del beneficio alla situazione di gravità o di media gravità della patologia (oligofrenia medio-grave con innesto psicotico) e non già alla conseguente autonomia da essa derivata, ed avere ritenuto, in sentenza, la necessità di revisione delle condizioni entro un biennio; vizio di motivazione per l’omessa valutazione della sussistenza, già all’epoca della domanda, delle condizioni per fruire del beneficio.

4. L’INPS ha resistito con controricorso.

5. Il primo motivo di ricorso è qualificabile come inammissibile per inadeguatezza della deduzione della censura avverso la sentenza del Giudice del gravame.

6. Invero il ricorrente, denunciando vizi di ammissibilità del gravame, avrebbe dovuto dimostrare di avere puntualmente dedotto, con la memoria di costituzione in appello, i predetti vizi ma tale onere non è stato, nella specie, ottemperato, conseguendone l’inammissibilità del motivo.

7. Quanto alla proposizione del mezzo d’impugnazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, al ricorso in esame è applicabile la riforma operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. “decreto crescita”) convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (riforma applicabile ai ricorsi contro le sentenze depositate, come nella specie, dopo il giorno 11 settembre 2012), e dunque il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

8. L’intervento di modifica dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto.

9. Con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal già citato articolo 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

10. Pertanto, per le sentenze pubblicate dopo l’11 settembre 2012 è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

11. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” c nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

12. Dunque, per le fattispecie ricadenti, ratione temporis, nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge.

13. La legge, in questo caso, è l’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.

14. Perchè la violazione sussista, secondo le Sezioni Unite, si deve essere in presenza di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”.

15. Mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum”.

16. Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta)”.

17. Nel caso che ci occupa l’anomalia motivazionale risulta, all’evidenza, dal testo della sentenza impugnata che, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, ha espresso un comando giudiziale incerto, riconoscendo la prestazione, con decorrenza dal giugno 2012, condizionandola ad una ipotetica revisione biennale (in tal senso recependo le conclusioni dell’ausiliare officiato in giudizio).

18. Vale la pena aggiungere che, quanto alle malattie psichiche, questa Corte (v., fra le più recenti, Cass. sez. sesta – L 25255/2014) ha precisato che l’indennità di accompagnamento va riconosciuta, alla stregua di quanto previsto dalla L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1, anche in favore di coloro i quali, pur essendo materialmente capaci di compiere gli atti elementari della vita quotidiana (quali nutrirsi, vestirsi, provvedere alla pulizia personale, assumere con corretta posologia le medicine prescritte) necessitano della presenza costante di un accompagnatore in quanto, in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva dovuti a forme avanzate di gravi stati patologici o a gravi carenze intellettive, non sono in grado di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la propria salute e la propria dignità personale senza porre in pericolo sè o gli altri (si veda la giurisprudenza di questa Corte in materia di psicopatie con incapacità di integrarsi nel proprio contesto sociale ed il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento a persona che: per deficit organici e cerebrali fin dalla nascita si presentava incapace di “stabilire autonomamente se, quando e come” svolgere gli atri elementari della vita quotidiana, riferendosi l’incapacità non solo agli atti fisiologici giornalieri “ma anche a quelli direttamente strumentali, che l’uomo deve compiere normalmente nell’ambito della società” (Cass. 3299/2001); per infermità mentali, difettava anche episodicamente di autocontrollo sì da rendersi pericoloso per sè e per altri (Cass. 4664/1993); per un deficit mentale da sindrome psico- organica derivante da microlesioni vascolari localizzate nella struttura cerebrale e destinate a provocare, nel tempo, una vera e propria demenza, non poteva sopravvivere senza l’aiuto costante del prossimo (Cass. 667/2002); per un deterioramento delle facoltà psichiche (in un quadro clinico presentante tra l’altro ictus ischemico e diabete mellito), mostrava una “incapacità di tipo funzionale”, di compiere cioè “l’atto senza l’incombente pericolo di danno (per l’agente o per altri)” (Cass. 4389/2001); per oligofrenia di grado elevato, con turbe caratteriali e comportamentali, era incapace di parlare se non con monosillabi e di non riconoscere gli oggetti, versando così in una situazione di bisogno di una continua assistenza non solo per l’incapacità materiale di compiere l’atto, ma anche “per la necessità di evitare danni a sè e ad altri” (Cass. 5017/2002); si veda anche Cass. 28705/2011, con riguardo ad una diagnosi di “psicosi schizofrenica paranoidea (demenza precoce)”.

19. Va, dunque, ritenuto che la capacità dell’assistito di compiere gli elementari atti giornalieri debba intendersi non solo in senso fisico, cioè come mera idoneità ad eseguire in senso materiale detti atti, ma anche come capacità di intenderne significato, portata ed importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psico-fisica; e come ancora la capacità richiesta per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento non debba parametrarsi sul numero degli elementari atti, giornalieri, ma soprattutto sulle loro ricadute, nell’ambito delle quali assume rilievo non certo trascurabile l’incidenza sulla salute del malato nonchè la salvaguardia della sua “dignità” come persona (anche l’incapacità ad un solo genere di atti può, per la rilevanza di questi ultimi e per l’imprevedibilità del loro accadimento, attestare di per sè la necessità di una effettiva assistenza giornaliera: cfr. per riferimenti sul punto: Cass. 13362/2003).

20. La Corte di appello, affermando che l’assistito aveva diritto all’indennità di accompagnamento solo dal 2012 (e nei termini non immuni da censure come già sopra evidenziati), pur nella chiara consapevolezza della sussistenza di “gravi patologie neurologiche”, ha altresì trascurato del tutto di considerare le peculiarità comportamentali dell’assistito ridondanti nella autonomia del soggetto, condividendo il giudizio finale espresso dal consulente non del rutto in linea con i principi affermati da questa Corte e sopra riportati.

21. in altre parole, gli elementi sopra evidenziati imponevano al giudice innanzitutto di attenersi alla giurisprudenza sopra citata, specificamente dedicata agli effetti delle malattie psichiche sulla capacità di attendere agli atti del vivere quotidiano e di raccordare la sua statuizione ad un motivato esame delle condizioni reali dell’assistito.

22. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata e, per essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va rinviata alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della controversia alla stregua di quanto sinora detto.

P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla medesima Corte di appello, in diversa composizione.

In caso di diffusione del provvedimento omettere generalità ed atti identificativi, a norma del D.Lgs. n. 156 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2016

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2016