Inneggia allo Stato Islamico sui social? Permesso di soggiorno va revocato.

(TAR, Lazio-Roma, sez. I ter, sentenza 01 febbraio 2016, n. 1356)

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 15116 del 2015, proposto da:

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv. Cristina Morrone e Francesco Moramarco, con domicilio eletto presso Tar Lazio Segreteria Tar Lazio in Roma, Via Flaminia, 189;

contro

il Ministero dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed Ministero degli Affari Esteri, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento del provvedimento di espulsione del ricorrente dal territorio dello Stato con accompagnamento alla frontiera;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2016 il dott. Antonino Savo Amodio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Con il ricorso in esame il sig. -OMISSIS- impugna la revoca del permesso di soggiorno e la conseguente espulsione dal territorio italiano.

Deduce:

1) il difetto, nella specie, della motivazione per relationem, atteso che essa richiama non meglio precisati atti d’ufficio, con riguardo alla prima delle contestazioni mosse, senza, per il resto, indicare le fonti delle informazioni acquisite, impedendo così all’interessato di conoscere le ragioni poste a base delle determinazioni assunte.

2) l’infondatezza delle singole contestazioni mosse; in particolare:

– con riguardo alla prima, non si preciserebbe su quali siti e con che frequenza sarebbe avvenuta la partecipazione del ricorrente a forum on line utilizzati da estremisti islamici, nonché in cosa consisterebbe il pericolo per la sicurezza dello Stato;

– circa la propaganda su Facebook a favore dello Stato islamico, con pubblicazione della foto di Bin Laden, l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto delle differenze fra Al Quaeda ed Isis;

– in relazione ai viaggi in Kosovo e alla partecipazione agli incontri di preghiera, in cui avrebbe manifestato l’intenzione di recarsi in Siria per intraprendere la jihad, si contesta l’uso del verbo al condizionale, sintomo di un’istruttoria quantomeno perplessa;

– quanto alla condotta schiva da lui mantenuta, al mancato inserimento nel tessuto sociale italiano e alla visione di filmati bellici, si tratterebbe di elementi assolutamente indimostrati e, comunque, irrilevanti.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno.

All’odierna camera di consiglio, sussistendone le condizioni di legge, il Collegio ha dato avviso alle parti della possibile definizione della controversia con sentenza in forma semplificata.

Il ricorso è infondato.

1) In ordine al primo motivo, pienamente legittima è da considerarsi la motivazione per relationem, quando, come nella specie, l’autorità emanante abbia fatto riferimento agli atti in suo possesso e concernenti indagini effettuate sul ricorrente ed, in particolare, sulla vita e l’attività dal medesimo svolte nel nostro Paese.

2) Quanto alle singole contestazioni, riassunte in precedenza, deve osservarsi come:

– con riguardo alla prima, non vi era alcuna necessità che l’Amministrazione desse contezza della frequenza dei messaggi, né, tantomeno, della ricaduta degli stessi sulla sicurezza nazionale, in quanto, soprattutto con riferimento a quest’ultima rilevazione, il pericolo deve considerarsi in re ipsa;

– in merito alla seconda, il ricorrente, senza negare la fondatezza della contestazione, si spinge ad argomentare una (irrilevante, ai fini di cui ci si occupa) distinzione fra jiiad e Al Quaeda, ammettendo comunque esplicitamente di avere inneggiato al Movimento, sia pur attribuendo tale condotta all’“emotività ed ai sentimenti del momento”, instillati dall’uso di Facebook;

– in ordine ai viaggi in Kosovo e alla partecipazione agli incontri di preghiera, a parte l’irrilevanza dell’uso del verbo al condizionale, trattasi, evidentemente, di argomentazioni che costituiscono un completamento del quadro complessivo che ha portato l’Amministrazione a giudicare pericolosa la presenza del sunnominato in Italia: di qui l’irrilevanza del numero di viaggi o la specificazione delle persone cui era stata manifestata la volontà di recarsi in Siria, atteso, altresì, che un’eventuale indicazione nominativa delle fonti, oltre a rivelare informazioni che sono e devono restare riservate, esporrebbe le stesse ad evidenti pericoli per la loro incolumità;

– da ultimo, quanto alla contestazione riguardante l’inserimento del ricorrente nel tessuto sociale italiano e gli aspetti del proprio carattere, appare evidente che il medesimo, nelle proprie difese, non va al di là di mere affermazioni non supportate da alcun principio di prova, anche solo logica.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) rigetta il ricorso in epigrafe indicato.

Compensa integralmente fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare ………….

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente, Estensore