Inumana detenzione. Convivere forzatamente con gli altri detenuti è circostanza sufficiente per chiedere il risarcimento?

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 11 ottobre 2017, n. 23779)

…, omissis …

Rilevato che:

il Ministero della Giustizia ricorre per cassazione, con due motivi, avverso il decreto col quale il tribunale di Napoli ha accolto la domanda di Sa. Ca. di risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell’art. 3 della Cedu nei confronti di soggetti detenuti o internati (c.d. “inumana detenzione”), relativamente al periodo di detenzione trascorso presso il carcere di Poggioreale;

che l’intimato non ha svolto difese.

Considerato che:

il primo motivo di ricorso è manifestamente fondato, in quanto si denunzia la nullità del provvedimento per motivazione apparente;

che l’art. 35-ter ord. pen., inserito dall’articolo 1, primo comma, del D.L. 26 giugno 2014, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 117, sotto la rubrica “Rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nei confronti di soggetti detenuti o internati”, dispone testualmente:

“1. Quando il pregiudizio di cui all’articolo 69, comma 6, lett. b), consiste, per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848 , come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, su istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio.

2. Quando il periodo di pena ancora da espiare è tale da non consentire la detrazione dell’intera misura percentuale di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza liquida altresì al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a Euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio.

Il magistrato di sorveglianza provvede allo stesso modo nel caso in cui il periodo di detenzione espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all’ articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sia stato inferiore ai quindici giorni.

3. Coloro che hanno subito il pregiudizio di cui al comma 1, in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere possono proporre azione, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, di fronte al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio hanno la residenza.

L’azione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere;

che il tribunale decide in composizione monocratica nelle forme di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile;

che il decreto che definisce il procedimento non soggetto a reclamo;

che il risarcimento del danno è liquidato nella misura prevista dal comma 2.”;

che in fattispecie implicante l’applicazione del terzo comma della previsione citata, il tribunale di Napoli ha motivato la decisione di accoglimento della domanda genericamente evocando l’ovvia (quanto irrilevante) “anormalità della convivenza forzata, peraltro con estranei”, siccome in sé generativa di sofferenza psichica;

che a ciò ha aggiunto una mera e apodittica considerazione circa l'”insopportabile contiguità con gli altri detenuti”;

che tali argomenti, finanche ove riferiti al numero di persone recluse nella medesima cella del ricorrente, come da lui ancora genericamente indicato, si palesano a tal punto generici da non assolvere affatto all’onere di motivazione in ordine allo specifico riscontro di condizioni di detenzione tali da violare l’art. 3 della Cedu;

che in particolare non risulta fornita spiegazione in ordine all’effettivo riscontro della condizione di presunto sovraffollamento allegata dall’istante, alle eventuali fonti di conoscenza, agli elementi di fatto cui associare, finanche nella dedotta promiscuità, l’esistenza di condizioni di detenzione tali da non poter esser considerate conformi a umanità, quanto allo spazio vitale minimo individuale e alle connesse possibilità di movimento e di socializzazione;

che il decreto del tribunale va quindi cassato perché affetto da motivazione solo apparente;

che resta assorbito il secondo motivo, anch’esso peraltro astrattamente fondato quanto alla denunzia di violazione dell’art. 35-ter;

che il computo del risarcimento per equivalente non può che avvenire secondo il criterio previsto per legge, criterio che il tribunale ha completamente eluso;

che tuttavia la cassazione del provvedimento nel capo afferente l’an debeatur assorbe, evidentemente, la questione in ordine al quantum.

Il giudice del rinvio, che si designa nel medesimo tribunale di Napoli in diversa composizione, riesaminerà pertanto la questione prospettata e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M. 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al tribunale di Napoli.