La Cassazione da ragione ad un commercialista. L’auto-organizzazione del professionista non è presupposto dell’IRAP, se non vengono vagliate l’esistenza e la consistenza dei beni strumentali, il ricorso al lavoro altrui e/o l’apporto di capitale.

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 26 agosto 2016, n. 17392)

In fatto

R.A. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 57/13/2012, depositata in data 6/06/2012, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione de silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria ad un’istanza della contribuente (commercialista) di rimborso dell’IRAP versata negli anni dal 2003 al 2005 – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che la contribuente, titolare di un proprio studio attrezzato (“sia pure … di minima consistenza”) per il solo fatto di svolgere l’attività professionale con continuità e mediante una propria organizzazione, aveva realizzato il presupposto di legge per l’applicabilità dell’IRAP.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

In diritto

1. La ricorrente lamenta, con l’unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art. 2 dlgs. 446/1997, avendo la C.T.R. ritenuto sufficiente ad integrare il presupposto dell’IRAP “l’auto-organizzazione” del professionista, senza vagliare l’esistenza e consistenza dei beni strumentali, il ricorso al lavoro altrui e/o all’apporto di capitale (nella specie, la contribuente svolge l’attività senza l’apporto di capitale e di lavoro altrui).

2. La censura è fondata.

Questa Corte ha affermato che l’IRAP coinvolge una capacità produttiva “impersonale ed aggiuntiva” rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa “esterna”, cioè da “un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale sopportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e (grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto ed indiretto etc..)”, cosicché è “il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista … ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale” (Cass. 15754/2008).

In sostanza, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, cumula 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 49, comma 1, è escluso dall’applicazione dell’IRAP solo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata cd il requisito della autonoma organizzazione – il cui accertamento spetta al giudice di merito cd è insindacabile in sede di legittimità solo se congruamente motivato – ricorre quando il contribuente, per quanto qui interessa, impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. S.U. n. 12109 del 2009; cfr., da Cass. un. 23370 del 2010 e 16628 del 2011).

Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. n. 9451/2016) ha poi, di recente, affermato il seguente principio di diritto: “Con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 chi d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente;

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

Secondo la Corte “lo stesso limite segnalo in relazione ai beni strumentali – eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione non può che valere, armonicamente, per il fattore lavoro la cui soglia minimale si arresta all’impiego di un collaboratore”, il cui apporto, “mediato o generico”, all’attività svolta dal contribuente si concreti nell’espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive.

In ordine poi all’incidenza delle spese per beni strumentali, occorre verificare se si tratti o meno di beni eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale in assenza di organizzazione.

Come affermato di recente da questa Corte (Cass. 547/2016), “anche una spesa consistente riferita all’acquisto di un macchinario indispensabile per l’esercizio della professione può rilevarsi inidonea a significare l’esistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, tutte le volte in cui il capitale a tal fine investito non valga a rappresentare fattore aggiuntivo o moltiplicativo del valore rappresentato dalla mera attività intellettuale del professionista ma risulti ad essa asservito ai fini dell’acquisto di attrezzatura connaturata e indispensabile all’esercizio dell’attività medesima e come tale inidoneo ad assumere rilievo, quale fattore produttivo di reddito, distinguibile da quello rappresentalo dalla stessa attività intellettuale c/o dalla professionalità del lavoratore autonomo”.

La decisione della C.T.R. non è conforme a detti principi di diritto, essendosi i giudici limitati ad affermare genericamente che le attività di lavoro autonomo, quale quella del commercialista, sono assoggettabili ad IRAP, in presenza di una “auto-organizzazione” dell’attività professionale (con uno “studio attrezzato”) a prescindere dalle caratteristiche dell’organizzazione dell’attività stessa e dalla verifica della sussistenza di quel “quid pluris rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale”.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Liguria, in diversa composizione, per nuovo esame.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Liguria in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.