La Cassazione delinea caratteristiche e fondamento sul “diritto all’oblio” (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 24 giugno 2016, n. 13161).

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso 7598-2013 proposto da:

B.A., (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di Direttore Responsabile del quotidiano on-line (OMISSIS) e nella qualità di legale rappresentante della X.
1. (editore del medesimo quotidiano), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SENECA 10, presso l’avvocato ROBERTO DANESE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO FRANCESCHELLI, giusta procura a margine del ricorso; – ricorrente –

contro

RISTORANTE K., (P.I. (OMISSIS)), in perso del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMACELLI 103, presso l’avvocato FRANCESCA MONTONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MIRCO D’ALICANTRO, PAOLO SARDINI, giusta procura a margine del controricorso;

P.V., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMACELLI 103, presso l’avvocato FRANCESCA MONTONE, rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLO SARDINI, MIRCO D’ALICANDRO, giusta procura a margine del controricorso; – controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3/2013 del tribunale DI CHIETI – SEDE DISTACCATA DI ORTONA, depositata il 16/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2015 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTI GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato FRANCESCHELLI MASSIMO che si riporta;

udito il P.M., in perso del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 16.01.2013 il tribunale di Chieti, sezione distaccata di Orto, pronunciando sulle domande proposte nel 2(110 da P. V. e dal Ristorante K. di C.A. nei confronti sia di B.A., quale direttore responsabile del giornale ondine (OMISSIS), e sia della X. Y.. Editore della testata a) dichiarava cessata la materia del contendere sulla domanda introduttiva di rimozione dei dati personali contenuti nell’articolo giornalistico ondine oggetto del ricorso; b) condannava il B., nelle predette qualità, al risarcimento del danno in favore dei ricorrenti P.) e Ristorante K., liquidandolo in Euro 5.000,00 per ciascuno di loro, oltre interessi legali dalle date di proposizione delle domande al saldo: c) condannava il B.. sempre nelle medesime qualità alla refusione delle spese processuali in livore dei convenuti.

Il tribunale osservava e riteneva che:

– con distinti ricorsi D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152 (iscritto al n. 810/10 R.G.A.C.) ed ex art. 702 bis c.p.c. (iscritto al n. 811/10 R.G.A.C) depositati in data 26.10,2010. P.V. gestore del Ristorante K. e il Ristorante K. in proprio avevano convenuto in giudizio (anche) la testata giornalistica on line “(OMISSIS)” chiedendo la rimozione delle pagine web contenenti un articolo su u vicenda giudiziaria di natura penale che li aveva coinvolti per un fatto avvenuto nel (OMISSIS) e che non si era ancora conclusa. lamentando il pregiudizio alla reputazione personale del P. e professionale del Ristorante K. con conseguente danno all’immagine del locale derivante dal permanere dell’articolo nelle pagine web.

I ricorrenti adducevano il cd. diritto all’oblio, consistente nell’interesse a non vedere esposta a tempo indeterminato la proprio reputazione anche quando per il trascorrere del tempo fosse venuto meno l’interesse pubblico alla notizia di cronaca: non contestate erano la permanenza e consultabilità nelle pagine web all’epoca della notifica del ricorso introduttivo, dell’articolo giornalistico, nonostante l’invito alla sua rimozione dalla rete inoltrato ad entrambi i convenuti con missiva del 6.09.2010, con dichiarazione resa al verbale (udienza del 23.05.2011.

Il difensore della convenuta (OMISSIS) di B.A. aveva reso nota l’avvenuta cancellazione dell’indicizzazione dell’articolo da parte della testata giornalistica, sia pure a mero scopo transattivo, la circostanza non era stata contestata dai ricorrenti nelle note conclusive depositate il 15.03.2012 con contestuale richiesta di cessazione della materia del contendere sulla relativa domanda.

L’avvenuta rimozione delle pagine web contenenti l’articolo giornalistico oggetto di causa comportava la declaratoria di cessazione della materia del contendere sulla domanda di cancellazione dell’articolo stesso, la cui fondatezza doveva tuttavia essere valutala ai fini della regolamentazione delle spese processuali, in applicazione del principio della cd. soccombenza virtuale, ed anche per le determinazioni sulla consequenziale domanda introduttiva di risarcimento danni.

La domanda proposta dal P. e dal Ristorante era fondata.

Richiamati i presupposti legittimanti l’esercizio del diritto di cronaca nell’ambito dell’attività giornalistica (verità storica della notizia, interesse pubblico alla divulgazione) in presenza dei quali il diritto di cronaca prevaleva sui diritti costituzionalmente garantiti alla riservatezza all’onore, alla reputazione ed all’immagine, nel caso di specie doveva esaminarsi la rilevanza delle norme contenute nel D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) la cui finalità era quella di garantire che il trattamento dei dati personali si svolgesse nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità dell’interessato, con particolare riferimento al diritto alla riservatezza.

Tali norme si applicavano, ai sensi dell’art. 136 cit. Decreto, anche al trattamento dei chili personali per scopi giornalistici. In particolare, in relazione al presente giudizio, doveva farsi riferimento: all’art. 11) per il quale il trattamento dei dati personali poteva avvenire per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali i dati erano stati raccolti e trattati; all’art. 25, che vietava la comunicazione e la diffusione dei dati quando fosse decorso il periodo di tempo indicato nell’art. 11, all’art. 7 che attribuiva all’interessato il diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non era necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati erano stati raccolti e successivamente trattati all’art. 15, per il quale chiunque cagionava danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali era tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 c.c. con previsione, al secondo minima di risarcimento del danno non patrimoniale anche in caso di violazione dell’art. 11.

Nella fattispecie, l’articolo era stato pubblicalo il (OMISSIS) ed era rimasto in rete fino all’instaurazione del presente giudizio (e successivamente almeno fino al (OMISSIS)), nonostante l’invito alla cancellazione da parte dei ricorrenti a mezzo missiva del 6.092010.

La facile accessibilità e consultabilità dell’articolo giornalistico, mollo più dei quotidiani cartacei tenuto conto dell’ampia diffusione locale del giornale on line, consentiva di ritenere che dalla data di pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale fosse trascorso sufficiente tempo perché le notizie divulgate con lo stesso potessero soddisfare gli interessi pubblici sintesi al diritto di cronaca giornalistica, e che quindi, almeno dalla data di ricezione della diffida.

Il trattamento di quei dati non potesse più avvenire ai sensi degli artt. 11 e 15 citati. Il persistere del trattamento dei dati personali aveva determinato una lesione del diritto dei ricorrenti alla riservatezza ed alla reputazione e ciò in relazione alla peculiarità dell’operazione di trattamento, caratterizzata da sistematicità e capillarità della divulgazione dei dati consultabili semplicemente digitando il nominativo del ricorrente e la denominazione del ristorante sul motore di ricerca Google) e alla natura degli stessi dati trattati, particolarmente sensibili attenendo a giudiziaria penale.

Ricorrevano pertanto i presupposti per l’applicazione del D.Lgs. n. 196 del 20033, art. 7 che attribuiva all’interessato il diritto di ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli in cui non era necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati erano stati raccolti o successivamente trattati, come nel caso di specie.

Meritava altresì accoglimento la domanda attorea di risarcimento danni fondata sull’art. 15 legge cit. in relazione all’art. 11, atteso che il trattamento dei dati personali si era protratto per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi – esercizio del diritto di cronaca giornalistica per i quali i dati erano stati raccolti e trattati.

Trattandosi di danno non patrimoniale ed inerente a valori della perso di rango costituzionale la liquidazione doveva avvenire necessariamente in via equitativa: a tal fine si riteneva di quantificare la somma dovuta a ciascun ricorrente dalla convenuta “(OMISSIS)” di B.A. in 5.000.00, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda al saldo.

Avverso questa sentenza il OMISSIS e la X. Y. hanno proposto ricorso per cessazione affidato a quattro motivi illustrati da memoria e notificato il 7-14.03.2013 al P. ed al Ristorante K. del C., che il 17-19.04.2013 hanno l’esistito con distinti controricorsi di analogo tenore.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti denunziano:

1. – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 152, comma 7 e art. 102 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 nullità della sentenza impugnata, in ragione dell’omessa notifica del ricorso al Garante per la protezione dei dati personali.

Il motivo non ha pregio. Le due riunite cause di cui si discute non involgevano pronunce del Garante che perciò non rivestiva in esse la qualità di parte e tanto meno quella di litisconsorte necessario in tesi pretermesso, però, data la tipologia delle esposte azioni, quell’Autorità avrebbe dovuto ricevere, in base al rubricato D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, comma 7 (nel testo origile applicabile ratione temporis, poi abrogato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34 la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione, prescritta in funzione di “denuntiatio litis” a tutela dell’interesse pubblico, non sanzionata da nullità della sentenza conclusiva per il caso di relativa carenza, evenienza questa nella specie peraltro non avveratasi, avendo il P. esaustivamente documentato la rituale esecuzione dell’incombente (in tema cfr. Cass. SU n. 8077 del 2012).

2. “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, artt. 136, 127 e 139 (codice in materia di protezione dei dati personali) in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

I ricorrenti si dolgono sia dell’addebito di violazione delle rubricate norme in tema di trattamento dei dati personali effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per esclusivo perseguimento delle relative finalità, in tesi non inclusive del limite temporale di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, sia del mancato apprezzamento delle regole poste dal Codice di deontologia professionale e sia dell’omissione di motivazione su un punto decisivo del giudizio.

3. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 99, commi 1 e 2 (Compatibilità tra scopi e durata del trattamento) e art. 139 (Codice di deontologia relativo ad attività giornalistiche) D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, nonchè degli artt. 1, 5, 6, 12 e 13 del codice di deontologia relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica del 29 luglio 1998 in Gazzetta Ufficiale 3 agosto 1998 n. 179, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn 3 e 5.

I ricorrenti censurano la pronuncia del Tribunale dolendosi essenzialmente che siano stati valorizzati del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 136 e gli artt. 7, 11, 15 e 25 e non invece gli artt. 99, 137 e 139 inerenti al trattamento dei dati personali per scopi storici e finalità giornalistiche, nonchè le regole introdotte dal menzionato codice deontologico, ivi inclusi gli artt. 1, 2, 5, 6 e 12.

Assumono di avere legittimamente esercitato il diritto-dovere di cronaca e d’informazione rispetto a un fatto di rilievo penale accaduto nel (OMISSIS) e non ancora definito in sede giudiziario (al riguardo sottolineano pure che l’udienza dibattimentale si sarebbe tenuta il 24.05.2013 o il 9.05.2016), nonchè di essersi limitati a conservare il contestato articolo all’interno dell’archivio informatizzato, sicchè illegittimamente ne sarebbe stata ritenuta tardiva la deindicizzazione dal motore di ricerca e conseguentemente lesi i loro diritti alla riservatezza ed alla reputazione, a fronte pure dell’attualità della notizia, della persistenza dell’interesse pubblico all’informazione, dell’applicabilità del D.Lgs del 2003, art. 7 e dell’erroneo richiamo al diritto all’oblio.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso, suscettibili di esame congiunto, non meritano favorevole apprezzamento.

Nella specie, per come già evidenziato, l’illecito trattamento di dati personali è stato dal Tribunale specificamente ravvisato non già nel contenuto e nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione un fine dell’articolo di cronaca sul fatto accaduto nel (OMISSIS) nè nella conservazione e archiviazione informatica di esso (di cui anche all’art. 2 Codice di deontologia), ma nel mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel risalente servizio giornalistico pubblicalo il (OMISSIS) e della sua diffusione sul Web, quanto meno a fare tempo dal ricevimento della diffida in data 6.09.2010 per la rimozione di questa pubblicazione dalla rete (spontaneamente attuata solo nel corso del giudizio, come da non contestata notizia fornita il 23.05.2011 dal B.). In particolare il Tribunale ha rilevato anche che:

a) era incontestato che digitando (tramite il motore esterno di ricerca Google) il nominativo del P. o del “Ristorante K.”, si accedeva alla prima pagi del sito web che includeva, affiancato e associato alla reclamizzata attività di ristorazione, anche il link sull’articolo di cronaca redatto nel (OMISSIS) sulla vicenda di rilevanza penale ed agevolmente visualizzabile;

b) la facile accessibilità e consultabilità dell’articolo giornalistico, superiore a quelle dei quotidiani cartacei, tenuto conto dell’ampia diffusione locale del giornale on line, consentiva di ritenere che dalla data di pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale fosse trascorso sufficiente tempo perchè le notizie divulgate potessero avere soddisfatto gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica;

c) il persistere del trattamento dei dati personali aveva determinato una lesione del diritto dei ricorrenti alla riservatezza ed alla reputazione, e ciò in relazione alla peculiarità dell’operazione di trattamento, caratterizzata da sistematici e capillarità della divulgazione dei dati trattati ed alla natura degli stessi, particolarmente sensibili attenendo a vicenda giudiziaria penale.

Le dedotte censure, da esaminare tenendo anche presenti questo quadro di riferimento e le limitate finalità attribuite alla decisione u volta spontaneamente espunta la pubblicazione dalla rete, si sostanziano in parte in inammissibili rilievi critici generici o eccedenti il decisum, quanto anche a richiami di noti precedenti giurisprudenziali sul tema generale dei connotati della cronaca giornalistica, in altra parte, invece, si appuntano del pari irritualmente sulla motivazione della sentenza del 10.01.2013, la quale, concretandosi in puntuali e comprensibili dunque non apparenti argomentazioni, al sindacato di legittimità ai sensi della nuova Formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione introdotta del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis.

Come ormai noto, tale normativa, circoscrivendo il vizio di motivazione deducibile mediante il ricorso per cassazione all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituisce espressione della volontà del legislatore di ridurre al minimo costituzionale l’ambito del sindacato spettante al Giudice di legittimità in ordine alla motivazione della sentenza, restringendo l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4 ossia ai casi in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico.

Oppure formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere d’individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. anche Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 nn. 8053 e 8054, Cass. Sez. 6, 8 ottobre 2014, n. 21257), ipotesi nella specie non ravvisabili.

Per il resto le doglianze in esame appaiono infondate rivelandosi la pronuncia di merito aderente alla normativa sul trattamento dei dati in ambito giornalistico integrata e modificata (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 6, art. 12, commi 1, 3 e 4, art. 130 e 139 e provvedimento del garante del 29 luglio 1998) dalle disposizioni del codice di deontologia professionale, per la quale anche in questo specifico settore trovano applicazione le regole generali (D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 6 e 137) di cui pure all’art. 7, comma 1, lett. e (in correlazione con l’art. 2 dal codice deontologico), D.Lgs. n 196 del 2003, art. 15 e art. 25, comma 1, lett. a.

D’altra parte, se da un canto la persistente pubblicazione e diffusione sul sito web della notizia di cronaca in questione risalente al (OMISSIS), appare per l’oggettiva e prevalente componente divulgativa, esorbitare dal mero ambito del lecito trattamento d’archiviazione on line di dati giornalistici per scopi storici o redazionali (in tema cfr. anche cass. n. 8889 del 2001), dall’altro ai valorizzati fini risarcitori e di regolamentazione delle spese processuali, si rivela plausibile, in assenza di richiamati sopravvenuti aggiornamenti della pubblicata vicenda, apparentemente priva di peculiari profili altrimenti atti a denotarne il permanente interesse anche sociale per la collettività sia pure locale (cfr. cass. n. 3679 del 1998).

La valutazione bilanciata del diritto all’informazione ed alla cronaca giornalistica con i diritti fondamentali della perso, quale quello alla riservatezza, espressa dal Tribunale, per la quale nel contesto, dopo la diffida del 2010 alla deindicizzazione, e dato il tempo trascorso dall’evento, doveva reputarsi recessiva l’esigenza informativa e conoscitiva dei lettori cui la divulgazione presiedeva (cfr. Cass. n. 5525 del 2012; n. 1611 del 2013. In tema cfr anche la pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014 in causa C -131112 e le linee guida sia dell’article 29 Data Prowedon Working Party sul diritto all’oblio, pubblicate il 26 novembre 2014, e sia in materia di trattamento di dati personali per profilazione on line fornite il 19 marzo 2015 dal Garante per la protezione di dati personali).

4 – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2001, artt. 15, 36, 117 e art. 139 del codice di deontologia, nonchè dell’art. 2050 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Ribadita la liceità del trattamento dei dati personali attuato per finalità giornalistiche e conservative in archivi informatizzati, si assume in ogni caso l’insussistenza del danno non ravvisabile in re ipsa il difetto della relativa prova, ostativo alla relativa valutazione equitativa, e l’applicabilità dell’art. 2050 c.c..

Il motivo non ha pregio.

L’illecito protrarsi del trattamento di dati personali giustificava l’accoglimento della pretesa risarcitoria espressamente assoggettata dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 alla disciplina di cui all’art. 2050 c.c., peraltro alla condizione che dagli interessati fosse stata allegata e dimostrata sia pure in via presuntiva, come nel Caso e avvenuto, l’esistenza di pregiudizi di natura non patrimoniale sofferti in sua conseguenza (Cass. nn. 15240 e 18812 del 2014) la cui liquidazione andava necessariamente operata con criteri equitativi, il ricorso ai quali e insito nella natura non economica del sofferto danno e nella funzione compensativa dell’attribuito risarcimento pecuniario (cfr. cass. n. 25739 del 20141 n. 25739 del 2007).

5 – Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

I profili di rilevante novità presenti nelle controverse questioni giustificano la compensazione per intero delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5 in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle pani. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016.