La cliente non sollecita l’avvocato? Il peggio è suo: le attività del mandato si prescrivono e addio ad ogni risarcimento.

La prescrizione matura se la cliente non sollecita l’avvocato nel compimento delle attività per cui è attribuito il mandato.
Lo ha disposto la Corte di Cassazione, III sezione civile, nella sentenza n. 25613/2015 che ha rigettato il ricorso di una donna contro il proprio avvocato.
La donna assumeva di avere diritto al risarcimento dei danni a causa dell’assoluta inerzia del professionista, in ordine al mandato conferitogli, nel procedere ad azione esecutiva per il recupero di una somma che taluni erano stati condannati a pagare alla ricorrente a titolo di provvisionale in forza di statuizione del giudice penale.
I giudici di merito, nel rigettare l’istanza, avevano accolto l’eccezione di prescrizione, considerando che l’ultima prestazione professionale dell’avvocato era individuabile alla data del 29.10.1986 (di scadenza del precetto notificato in data 29.07.1980), mentre la prima richiesta risarcitoria risaliva al febbraio 1993, dunque a prescrizione decennale sicuramente decorsa.
Ciò valeva anche volendo considerare il valore interruttivo della lettera inviata all’avvocato il 07.04.1992 e spostando in avanti il dies a quo, aggiungendo al primo giorno utile per eseguire il pignoramento un ulteriore anno, durante il quale cliente avrebbe potuto ragionevolmente interessarsi della propria pratica e sollecitarla.
In disparte la Corte di appello ha precisato, che, in ogni caso, l’azione era anche infondata dal momento che l’omissione del pignoramento non aveva comportato alcun danno alla ricorrente per essere risultati i debitori insolventi e perché nessun compenso o fondo spese risultava essere stato versato per l’esecuzione del mandato.
Al riguardo parte ricorrente deduce che la “prescrizione comincia a decorrere non già dalla cessazione del rapporto professionale, ma dal momento in cui ilcliente è stato posto in grado di conoscere le lamentate inadempienze“, pertanto l’onere della prova di tale data sarebbe stato a carico della controparte che aveva eccepito la prescrizione.
Gli Ermellini, chiariscono che il danno si manifesta all’esterno quando diviene “oggettivamente percepibile e riconoscibile” anche in relazione alla sua rilevanza giuridica.
Tuttavia, “il suddetto principio in tema di exordium praescriptionis non apre la strada ad una rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del soggetto leso e che l’indagine, circa l’evolversi nel tempo delle conseguenze del fatto illecito o dell’inadempimento, deve essere ancorata a rigorosi dati obiettivi, valutando, alla luce della ordinaria diligenza esigibile, la condotta del danneggiato nell’acquisire informazioni per risalire alla causa del danno e nel manifestare istanze di reintegrazione della lesione subita“.
La decisione impugnata, in aderenza a tali principi, “non ha affatto assunto come dies a quo della prescrizione la data dell’inadempimento del mandato professionale, ma ha considerato un ulteriore lasso temporale, individuato nel decorso di un anno da quello in cui avrebbe potuto essere (e non venne) intrapresa l’azione esecutiva per cui era stato conferito il mandato“.
La donna lamenta anche che il giudice del gravame avrebbe sorvolato sulla domanda risarcitoria, riproposta con l’atto di appello, nei confronti dell’avvocato anche circa l’inerzia tenuta dal professionista nell’attivare l’azione di responsabilità extracontruattuale nei confronti della compagnia di assicurazione della vettura condotta dai responsabili ai sensi della L. n. 990/1969.
In realtà, tale motivo “si rivela privo di correlazione con le ragioni della decisione” poiché i giudici di appello hanno escluso anche la fondatezza del merito della pretesa risarcitoria, precisando che il mandato professionale era stato conferito solo per recuperare il credito dai due debitori, risultati insolventi.
Ciò dimostra che le deduzioni della ricorrente non erano rimaste ignorante, essendo stato “inequivocabilmente escluso che l’azione risarcitoria non attuata costituisse oggetto del mandato professionale, ritenendo che l’eventuale danno avrebbe potuto prefigurarsi solo rispetto al mancato esercizio dell’azione esecutiva nei confronti” dei due debitori, peraltro insolventi.
Rammentano, in conclusione, gli Ermellini che, “nel caso in cui la decisione impugnata sia fondata su una
pluralità di ragioni, tra di loro distinte e tutte autonomamente sufficienti a sorreggerla sul piano logico-giuridico, è necessario, affinché si giunga alla cassazione della pronuncia, che il ricorso si rivolga contro ciascuna di queste, in quanto, in caso contrario, le ragioni non censurate sortirebbero l’effetto di mantenere ferma la decisione basata su di esse“.