La Corte Costituzionale conferma: MONTI è un bandito fuorilegge!

È illegittima la norma che ha anticipato lo stop della conversione lira-euro, contenuta nel decreto Salva Italia varato nel dicembre 2011 dal Governo di Mario Monti.

Lo ha deciso la Corte Costituzionale dichiarando fondata un’eccezione di legittimità sollevata dalla sezione specializzata in materia di impresa del tribunale di Milano.

La Consulta ha rilevato che sussiste la violazione dell’articolo 3 della Costituzione, inerente i principi di “tutela dell’affidamento e di ragionevolezza”.

La sentenza potrebbe costare allo Stato 1,3 miliardi di euro, l’equivalente delle lire non convertite incassate in anticipo.

Tre mesi prima – Secondo i giudici delle leggi, “non è dubitabile che il quadro normativo preesistente alla disposizione denunciata di incostituzionalità fosse tale da far sorgere nei possessori di banconote in lire la ragionevole fiducia nel mantenimento del termine fino alla sua prevista scadenza decennale, come disposto, sia dalla norma sulla prescrizione delle banconote cessate dal corso legale, sia dalla norma che prevede il diritto di convertire le banconote in euro presso le filiali della Banca d’Italia.

Il fatto che, al momento dell’entrata in vigore della disposizione censurata, fossero già trascorsi nove anni e nove mesi circa dalla cessazione del corso legale della lira – si legge nella sentenza n. 216 del 2015 – non è idoneo a giustificare il sacrificio della posizione di coloro che, confidando nella perdurante pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non avevano ancora esercitato il diritto di conversione in euro delle banconote in lire possedute”.

Colpa del debito pubblico –  Nemmeno la “sopravvenienza dell’interesse dello Stato alla riduzione del debito pubblico, alla cui tutela è diretto quell’intervento legislativo – rilevano i giudici costituzionali – può costituire adeguata giustificazione di un intervento così radicale in danno ai possessori della vecchia valuta, ai quali era stato concesso un termine di ragionevole durata per convertirla nella nuova: se l’obiettivo di ridurre il debito può giustificare scelte anche assai onerose, esso non può essere perseguito trascurando completamente gli interessi dei privati, con i quali va invece ragionevolmente contemperato”.

Nel caso in esame, si legge ancora nella sentenza, non ci sarebbe “alcun bilanciamento fra l’interesse pubblico perseguito dal legislatore e il grave sacrificio imposto ai possessori di banconote in lire”, perché “non lascia alcun termine residuo, fosse anche minimo, per la conversione”, né lo scopo perseguito “imponeva un tale integrale sacrificio”.

E adesso lo mandiamo ai lavori forzati? O è troppo poco?