La lacunosa legge sulle misure di sorveglianza speciale e sull’obbligo di dimora lede la libertà di circolazione.

La questione è stata rimessa, nel 2014, direttamente alla GC. Condannato per traffico di droga, spaccio, detenzione abusiva di armi, evasione fu ripetutamente visto assieme a criminali.

Per questa frequentazione gli fu comminata una misura di sorveglianza speciale (obblighi di firma, di dimora, divieti di usare o detenere pc, cellulari etc., frequentare locali pubblici, criminali o persone già condannate per altri reati, coprifuoco dalle 22 alle 7, ritirato il porto d’armi, obbligo di trovare un lavoro entro un mese etc.) per la durata di due anni.

In seguito gli fu revocata anche la patente. Questa misura fu annullata dalla CDA di Bari nel 2009, perché i crimini commessi non erano di gravità tale da considerarlo pericoloso e ciò non poteva essere desunto dalla sola frequentazione di criminali, la violazione di obblighi su cui si basava tale misura non gli era ascrivibile, ma ad un omonimo più giovane (il ricorrente è del 1963, l’altro del 1973). Infine non era stato preso in considerazione il fine rieducativo della pena.

La CEDU ha ravvisato una pluralità di deroghe alla Cedu, ma non quella all’equo processo.

Si rinvia alla ricca sezione di diritto interno, comparato ed internazionale in cui si evidenzia anche la prassi della Consulta e della Cassazione relativa all’applicazione di misure preventive di sorveglianza ed ai criteri che le giustificano (pericolo attuale, onere di condurre una vita onesta etc.) ex l. n. 1423/56 e d.lgs. n. 159/11.

La Direttiva 2004/38/CE ed il protocollo addizionale per la Convenzione del COE sulla prevenzione e sulla lotta al terrorismo del 2015 impongono limitazioni alla libertà di circolazione dettate da rari e tassativi motivi riconducibili alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, opponibili, in alcuni casi, anche a chi ha subito condanne penali (EU:C:2016:675 e 674 nella rassegna del 3/2/17).

A livello di diritto comparato sono rari gli Stati che prevedono misure analoghe alla nostra fattispecie. La CEDU ha ravvisato una deroga all’art. 2 protocollo 4 (libertà di circolazione) Cedu: la contestata misura non costituisce una privazione della libertà ex art. 5 Cedu, bensì impone serie restrizioni alla libertà di circolazione del ricorrente.

Più precisamente la legge è troppo vaga e generica, riconosce un eccessivo margine di discrezionalità ai giudici, sì che non rispetta il principio di certezza del diritto e di conseguenza il ricorrente è stato privato delle sue relative garanzie processuali e della libertà di movimento.

In ogni caso sono stati rispettati i principi dell’equo processo, dato che ha avuto tutte le possibilità di difendersi e di esercitare i rimedi interni per impugnare questa misura (Guzzardi c. Italia del 1980, Labita c. Italia[GC] del 2000, Monno c. Italia dell’8/10/13 e Buzadji c. Repubblica di Moldova [GC] del 2016).

È però ravvisata una deroga all’art. 6 §.1 poiché l’udienza presso il Tribunale e la CDA di Bari non è stata pubblica: la stessa Corte Costituzionale aveva dichiarato l’incostituzionalità di quelle norme che escludevano la pubblica udienza in questi casi.

Riconosciuto un risarcimento complessivo (danno morale e spese di lite) pari a circa €.16.525.