La persona offesa si reca in una officina per effettuare la revisione di un ciclomotore di sua proprietà. Mentre attende che il personale dell’esercizio si dedicasse al suo ciclomotore si rende conto che un altro cliente, sopraggiunto dopo di lui per una identica esigenza, stava già ricevendo le prestazioni richieste. Dopo essersi lamentato con l’impiegata viene raggiunto da uno dei titolari che con violenza verbale lo invita ad andar via, spintonandolo in direzione dell’uscita; nel contesto il titolare sputa sul volto della persona offesa, colpendolo, con una testata al setto nasale nel momento in cui l’altro aveva manifestato l’intenzione di sollecitare l’intervento dei Carabinieri.

(Corte di Cassazione penale, sez. fer., sentenza 1 settembre 2016, n. 36273)

Sentenza

sul ricorso proposto da:

– N.M., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);

– NU.Ma., nato ad (OMISSIS) l'(OMISSIS);

avverso la sentenza emessa il 18/03/2016 dalla Corte di appello di Palermo;

visti gli atti, la sentenza impugnata ed i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MICHELI Paolo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

uditi altresì:

– per N.M., l’Avv. AMOROSO Massimo;
– per Nu.Ma., l’Avv. MICELI Silvio;

i quali hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei rispettivi ricorsi e l’annullamento della sentenza impugnata.

Ritenuto in fatto.

1. Il 18/03/2016, la Corte di appello di Palermo riformava parzialmente la sentenza emessa dal Tribunale di Agrigento, in data 24/05/2013, nei confronti di N.M. e Ma.; gli imputati venivano assolti dai giudici di secondo grado quanto ai reati di ingiuria a loro rispettivamente ascritti, per effetto della depenalizzazione intervenuta ai sensi del D.Lgs. n. 7 del 2016, con rideterminazione del trattamento sanzionatorio in mesi 2 di reclusione per N.M. (in ordine al delitto di violenza privata) ed in mesi 3 per Nu.Ma. (imputato anche di lesioni personali).

I fatti si assumevano realizzati in danno di M.E. presso l’officina gestita dagli imputati, dove la persona offesa si era recata – il (OMISSIS) – per effettuare la revisione di un ciclomotore di sua proprietà; secondo l’ipotesi accusatoria, il M. stava attendendo che il personale dell’esercizio si dedicasse al mezzo de quo, ivi intrattenendosi in compagnia della moglie Si.An. (in stato di gravidanza), quando si era reso conto che un altro cliente, sopraggiunto dopo di lui per una identica esigenza, stava già ricevendo le prestazioni richieste.

A quel punto, il M. aveva segnalato a un’impiegata il proprio disappunto, mostrando stupore sul fatto che i titolari della ditta consentissero simili disparità, e N.M. gli si era rivolto contro con notevole violenza verbale, invitandolo ad andar via, quindi spintonandolo in direzione dell’uscita; nel medesimo contesto, Nu.Ma. aveva sputato sul volto del M., dicendogli a sua volta di andar via, quindi lo aveva colpito con una testata al setto nasale nel momento in cui l’altro aveva manifestato l’intenzione di sollecitare l’intervento dei Carabinieri.

La persona offesa era stata così costretta ad uscire dall’officina, vedendosi impedita la possibilità di effettuare la revisione del ciclomotore; per effetto della violenza fisica posta in essere da Nu.Ma., aveva altresì riportato un trauma facciale, con epistassi e vertigini.

I giudici di merito riconoscevano piena attendibilità al narrato del querelante, dovendosi ritenere inverosimile che egli avesse inteso formulare false accuse in danno degli imputati; le dichiarazioni del M. avevano peraltro trovato riscontro in quelle della moglie, nella deposizione di due Carabinieri intervenuti sul posto, dietro sua richiesta, nonchè in un certificato medico rilasciatogli lo stesso giorno in cui si erano verificati gli episodi denunciati.

2. Propongono ricorso, nell’interesse di N.M., gli Avv.ti Luparia Luca e Padovani Chiara.

2.1 Con il primo motivo, i difensori dell’imputato lamentano violazione di legge processuale ed omessa assunzione di una prova decisiva, con riferimento alla escussione del Dott. Se.Gi., sollecitata a prova contraria all’esito dell’esame del Dott. P.G., indotto invece dalla parte civile.

Si legge nel ricorso che “durante la deposizione del Dott. P. emergevano delle specifiche, rilevanti circostanze dotate… di indubbia decisività, sulle quali la difesa dell’odierno ricorrente avrebbe dovuto a pieno titolo interloquire, nel rispetto del principio del contraddittorio e del fondamentale diritto alla controprova”: l’istanza rimase però del tutto disattesa, con una declaratoria di penale responsabilità cui il Tribunale giunse senza considerare affatto quella sollecitazione.

Altrettanto apodittico appare il rigetto della stessa istanza, ribadita ai fini della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ad opera della Corte territoriale.

2.2 Il secondo motivo di doglianza costituisce uno sviluppo di quello precedente, deducendo i difensori del N. vizi della motivazione della sentenza impugnata quanto alle richieste formulate ex art. 603 c.p.p.: la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale era stata indicata come doverosa non solo in vista dell’esame del Dott. Se., ma anche per acquisire copia di un avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso medio tempore nei confronti di due sanitari (il Dott. C. ed il già ricordato Dott. P.) per falso ideologico nelle certificazioni rilasciate al M..

La Corte di appello, a riguardo, sostiene che le prove articolate sarebbero irrilevanti ai fini del decidere, dimostrando però di non aver neppure inteso a dovere i limiti della questione prospettata: nella motivazione della pronuncia si segnala infatti che nel carteggio processuale vi sarebbero già dichiarazioni del Se., del P. e del C., ma da un lato la difesa non aveva chiesto che deponessero tutti e tre (soltanto il primo), e dall’altro il Se. ed il C. non erano mai stati assunti a verbale, nè depositato relazioni a loro firma.

2.3 Con il terzo motivo di ricorso, la difesa di N.M. lamenta carenze motivazionali e travisamento della prova quanto al contenuto delle dichiarazioni dei testimoni Ma. e S. (i militari dell’Arma dei Carabinieri, intervenuti presso l’officina): i due pubblici ufficiali non riscontrarono affatto la versione del querelante, perchè esclusero di aver notato sul suo volto segni di sanguinamento o comunque riconducibili a percosse, a dispetto delle condizioni in cui il M. sostenne di essersi trovato e della circostanza che una testata tale da comportare – come riferito dal Dott. P. – la deviazione del setto nasale avrebbe certamente provocato tracce visibili ictu oculi.

2.4 Con il quarto, si deducono ancora vizi della motivazione della sentenza impugnata quanto alla valutazione del contributo offerto dai testimoni indotti dalla difesa. La Corte territoriale si limita a segnalare che si trattava di dipendenti degli imputati, i quali avevano “riferito la vicenda in modo nettamente differente rispetto alla persona offesa, sostenendo che nessuna aggressione venne mai posta in essere e che, di contro, il M. aveva provocato la discussione con i due odierni imputati”; ma nulla evidenzia circa le ragioni della ritenuta inattendibilità di quei soggetti.

Al contrario, le dichiarazioni della moglie del M. vengono ritenute acriticamente meritevoli di fede, quando invece tutti i dipendenti dei N. avevano concordemente rappresentato che la donna era rimasta fuori dall’officina, senza potersi perciò intendere un testimone oculare delle condotte contestate agli imputati.

2.5 I difensori di N.M. articolano infine censure ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), atteso che il giudizio di colpevolezza risulta formulato solo sulla base delle dichiarazioni dei due coniugi, senza alcun vaglio dell’attendibilità della persona offesa e di un prossimo congiunto della stessa, portatori di interessi comuni e contrapposti a quelli degli imputati: detto vaglio, prescritto dalla giurisprudenza di legittimità, si imponeva soprattutto in ragione dell’obiettivo contrasto fra il narrato dei due testimoni e quello dei Carabinieri sopra ricordati.

3. Anche il difensore di Nu.Ma., Avv. Miceli Silvio, propone ricorso avverso la sentenza in epigrafe.

3.1 Il primo motivo riguarda Io stesso profilo di omessa assunzione di prova decisiva già lamentato dalla difesa del coimputato. Nell’interesse di Nu.Ma. si aggiunge che la richiesta di prova contraria per dare corso all’esame del Dott. Se. era stata avanzata sulla base della possibilità, prevista dall’ordinamento, di presentare direttamente in udienza il teste da escutere; i giudici di merito, del resto, non risultano avere adombrato la tardività della richiesta, “risultando pacificamente ammissibile la richiesta di prova contraria sino all’ordinanza ammissiva delle prove ed anche nel corso dell’istruzione dibattimentale, in relazione alla coeva emersione dei relativi presupposti” (sul punto, l’Avv. Miceli richiama un precedente di questa Corte).

Il ricorrente precisa che l’istanza era stata ribadita anche ex art. 507 c.p.p. e che non era stata oggetto di rinunce di sorta: insiste quindi sulla decisività del contributo del Dott. Se., visti i limiti delle verifiche compiute dal Dott. P.. Quest’ultimo aveva attestato una deviazione del setto nasale conseguente alla condotta di Nu.Ma. esaminando il M. a due anni dai fatti ed ammettendo di non avere visionato le radiografie del Pronto Soccorso; inoltre, un colpo così violento da comportare la deviazione del setto avrebbe necessariamente provocato un sanguinamento copioso ed effettivo (mentre i sanitari del nosocomio avevano certificato una epistassi “riferita”).

3.2 Con il secondo motivo, il difensore del N. deduce inosservanza della legge processuale, per avere la Corte territoriale aprioristicamente valorizzato la versione dei fatti proveniente dalla persona offesa, caratterizzata invece da vistose incongruenze.

Il ricorso riproduce le dichiarazioni del M. per ampi stralci, ed evidenzia che i due Carabinieri intervenuti non ne videro il volto ferito o sanguinante, accertando poi che la revisione del ciclomotore della persona offesa era stata programmata per le 12:30, come sostanzialmente riferito dai testimoni della difesa secondo cui il querelante si era recato presso l’officina, in primis, per la sostituzione delle gomme.

3.3 Con il terzo motivo, nell’interesse di Nu.Ma. si deducono vizi della motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alle dichiarazioni rese dai testimoni indotti dalla difesa; si legge nel ricorso che “l’asserita inattendibilità dei testi Ne., Sa. e T. risulta affidata ad argomentazione meramente assertiva”, tanto più che le loro dichiarazioni, per quanto evidenziato al punto precedente, furono sotto alcuni profili riscontrate da quelle dei Carabinieri intervenuti.

3.4 Infine, lamentando violazione degli artt. 110 e 610 c.p., i difensori di Nu.Ma. segnalano che non si comprenderebbe il ruolo dell’imputato (che, a tutto voler concedere, usò una violenza fisica fine a se stessa, e quando il M. stava comunque uscendo dall’officina) nella contestata violenza privata: nel ricorso si rappresenta che il soggetto passivo dichiarò addirittura che la testata infertagli ebbe l’effetto – contrario all’assunto accusatorio – di impedirgli di allontanarsi dall’esercizio.

Considerato in diritto.

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.

1.1 Quanto alla mancata escussione del Dott. Se., è pacifico che questi fosse stato indicato a prova contraria sulle circostanze di cui alla deposizione del Dott. P.; altrettanto innegabile è che la richiesta de qua intervenne non già in via preliminare, all’atto della formalizzazione delle istanze istruttorie, bensì una volta che all’esame del Dott. P. (indotto dalla parte civile, e ritualmente ricompreso nella lista testimoniale presentata dalla difesa del M.) si era concretamente dato corso.

Tanto precisato, deve rilevarsi che i difensori degli imputati non avevano certamente l’onere di articolare la richiesta in argomento nel corpo delle relative liste ex art. 468 c.p.p.: infatti, anche “la parte che abbia omesso di depositare la lista dei testimoni nel termine di legge ha la facoltà di chiedere la citazione a prova contraria dei testimoni, periti e consulenti tecnici, considerato che il termine perentorio per il deposito della lista dei testimoni è stabilito, a pena di inammissibilità, dall’art. 468 c.p.p., comma 1, soltanto per la prova diretta e non anche per quella contraria, e che l’opposta soluzione vanificherebbe il diritto alla controprova, il quale costituisce espressione fondamentale del diritto di difesa” (Cass., Sez. 5^, n. 2815/2014 del 12/11/2013, Cambi, Rv 258878).

Non di meno, tuttavia, sarebbe stato necessario articolare l’istanza nel momento della presentazione delle richieste istruttorie iniziali, mediante una “specifica richiesta di prova contraria sui fatti oggetto delle prove a carico” (v. Cass., Sez. 6^, n. 26048 del 17/05/2016, Gandini), visto che l’esame del Dott. P. – su cui doveva vertere, a prova contraria, l’escussione del Dott. Se. – era stato sollecitato in quella sede dalla parte civile, previa rituale lista testimoniale e con indicazione delle relative circostanze.

La giurisprudenza di questa Corte, nell’affermare il già ricordato principio secondo cui “il termine perentorio per il deposito della lista dei testi da sentire, stabilito a pena d’inammissibilità dell’art. 468 c.p.p., comma 1 (….), vale soltanto per la prova diretta, e non anche per quella contraria prevista dal citato art. 468 c.p.p., comma 4”, precisa infatti da anni che l’esercizio del diritto alla controprova, assicurato in via generale dall’art. 495 c.p.p., comma 2, può avere luogo anche dopo la scadenza del termine anzidetto ma “fino alla fase degli atti introduttivi del dibattimento” (Cass., Sez. 6^, n. 9500 del 04/07/1995, Zadnich, Rv 202275).

Del tutto residuale, in vero, deve intendersi la possibilità per la parte di presentare un teste a prova contraria direttamente in dibattimento: e non può essere il contenuto della testimonianza di un soggetto indicato in lista a rendere rituale una richiesta di controprova che intervenga solo all’esito di quella deposizione, visto che la parte interessata alla controprova de qua era già pienamente a conoscenza delle circostanze su cui il teste avrebbe dovuto essere sentito (semmai, in tal caso, potrebbe sollecitarsi il giudice ad integrazioni dell’istruttoria dibattimentale ex art. 507 c.p.p.).

La difesa di Nu.Ma., sul punto, richiama un precedente di questa Corte secondo cui la richiesta di prova contraria può intervenire anche a dibattimento già in corso, ma nel corpo della motivazione della pronuncia evocata (Cass., Sez. 3^, n. 15368 del 03/03/2010, Arseni) si ribadisce il principio generale circa la necessità di formalizzare l’istanza “sino all’ordinanza ammansiva delle prove”, confinandosi l’eccezione a detta regola e, dunque, anche la presentabilità diretta di un teste in dibattimento, ad ipotesi affatto peculiari, “in cui il presupposto per l’articolazione della prova contraria si verifichi nel corso della stessa istruzione dibattimentale, ad esempio a seguito dell’indicazione di nuovi temi o all’ammissione di nuove prove d’ufficio ex art. 506 c.p.p., comma 2, ed art. 507 c.p.p.”.

La richiesta, in definitiva, non poteva intendersi rituale. Nè, in vista della possibile applicazione del più volte ricordato art. 507 c.p.p., l’esame del Dott. Se. risultava assolutamente necessario ai fini del decidere, pur essendo stata sollecitata l’escussione del teste anche in tale prospettiva (analogamente è a dirsi, per converso, quanto alla formulazione della medesima istanza ai sensi dell’art. 603 c.p.p., come pure in ordine a profili di non meglio chiarita falsità ideologica nelle certificazioni del P. o di altri sanitari).

Infatti, l’accusa mossa a Nu.Ma. riguardava una ipotesi di lesioni personali lievi (nel contesto di una condotta violenta posta in essere da entrambi gli imputati, per indurre il M. ad allontanarsi dall’officina): ipotesi che i giudici di merito evidentemente considerano dimostrata sulla base delle acquisizioni istruttorie disponibili, in particolare della deposizione della persona offesa e del riscontro derivante da un referto risalente a poche ore dopo gli episodi lamentati.

L’approfondimento dei temi introdotti dal Dott. P., con la possibile confutazione degli stessi ad opera del consulente della difesa, avrebbe infatti riguardato la più grave entità di quelle lesioni, la riferibilità alla condotta del N. della presunta deviazione del setto nasale rilevata dal teste indotto dalla parte civile o l’affidabilità in genere delle conclusioni raggiunte dal teste medesimo, a notevole distanza di tempo dai fatti; ma, non dovendosi discutere di fratture, postumi significativi o quant’altro, a fronte della necessità di provare “un trauma facciale con riferita epistassi e vertigini, con una prognosi di gg. 3” (così il capo d’imputazione), non si vede come l’esame del Dott. Se. potesse – o possa tutt’ora – assurgere a prova decisiva.

Ne deriva l’incensurabilità della decisione dei giudici di merito di rigettare la richiesta di escutere il teste anzidetto, sia pure assunta – quanto al Tribunale con determinazione implicita.

1.2 Per le medesime ragioni appena illustrate, la sentenza impugnata si sottrae alle censure mosse dai ricorrenti relativamente al contrasto fra le deposizioni del M. e della moglie di costui, da un lato, e quelle degli ulteriori testimoni, dall’altro. I limiti della rubrica, si ribadisce, imponevano di raggiungere la prova di una condotta degli imputati strumentale a costringere il M. ad uscire dall’esercizio, nonchè dell’effettività della testata che Nu.Ma. si assumeva gli avesse inferto: ergo, è innegabile il riscontro che la persona offesa ebbe dalla testimonianza dei due Carabinieri, intervenuti in loco su sua richiesta ed ai quali egli lamentò nell’immediatezza o quasi quel che era appena accaduto. Vero è che i militari non videro sanguinamenti in atto, ma la lesione di cui è necessario discutere era e rimane il modesto trauma facciale indicato in rubrica: e non vi è nulla di irragionevole nel prendere atto che il M., dopo essere andato e venuto dall’ospedale ed avere opportunamente deciso di riportare a casa nel frattempo la moglie incinta, riferì ai sanitari di una epistassi solo pregressa.

I fatti, pertanto, risultano provati indipendentemente dalle puntualizzazioni dei dipendenti dei due imputati, certamente non idonee a superare il contenuto di una certificazione coerente al narrato della persona offesa; nè la prova è intaccata dal rilievo che il M. aveva forse ragione, nel pretendere fin da subito la revisione del ciclomotore, o forse no, essendo plausibile che si verificò un equivoco circa la tipologia dell’intervento e la tempistica delle prestazioni che gli erano state garantite nel momento in cui lo stesso si era rivolto al personale dell’officina.

1.3 Quanto infine al contestato concorso di Nu.Ma. nella violenza privata, la doglianza difensiva appare manifestamente infondata, atteso che dalla ricostruzione fatta propria dai giudici di merito emerge come egli non si limitò al gesto violento sopra sottolineato, pronunciando invece all’indirizzo del M. sia prima che contestualmente alla condotta in questione – frasi chiaramente finalizzate a costringerlo ad uscire fuori dai locali della ditta, ed a rinunciare ad ottenere quella revisione che, in ogni caso, risultava documentalmente prenotata.

2. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna di ciascun imputato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi, e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 agosto 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2016.