La sentenza di fallimento non può essere sindacata davanti al giudice penale neppure per eventuali errori commessi nel procedimento che ha portato alla sua emanazione (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 1 marzo 2017, n. 10033).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente

Dott. SCARLINI Enrico V. – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – rel. Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 25/09/2015 della CORTE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/01/2017, la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANTONIO SETTEMBRE;

Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, Dr. Di Leo Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

Udito, par il ricorrente, l’avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Frosinone ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) per reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commessi in relazione al fallimento della (OMISSIS) srl, dichiarato il (OMISSIS).

La Corte d’appello di Roma, investita dell’impugnazione degli imputati, ha, con sentenza del 25/9/2015, confermato il giudizio di responsabilità formulato a carico di (OMISSIS) e, in parziale riforma della sentenza di prima cura, assolto (OMISSIS) dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e confermato la condanna per bancarotta fraudolenta documentale; di conseguenza, ha ridotto la pena a lui irrogata.

Secondo l’accusa, condivisa, nei limiti sopra specificati, dalla Corte di merito, (OMISSIS), amministratore unico della (OMISSIS) srl dal 15/6/92 al 25/9/2000 e successivamente amministratore di fatto, distrasse le attivita’ (“immobilizzazioni”) risultanti dall’ultimo bilancio depositato (quello del 2000) e tenne le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. (OMISSIS), amministratore formale dal 18/12/2000 al 29/4/2001, concorse nel reato di bancarotta fraudolenta documentale, facendo da copertura a (OMISSIS), rimasto reale dominus della societa’.

2. Contro la sentenza suddetta hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, entrambi gli imputati.

2.1. (OMISSIS) lamenta:

a) la violazione degli articoli 24 e 25 Cost., derivante dal fatto che la sentenza dichiarativa di fallimento e’ stata pronunciata da giudice incompetente (quello di (OMISSIS), laddove la societa’ si era trasferita, fin dal (OMISSIS), in provincia di Caserta e, quindi, sotto la giurisdizione dei Tribunale della citta’ suddetta), nonche’ dal fatto che l’istanza per la dichiarazione di fallimento non e’ mai stata notificata all’allora amministratore (OMISSIS). Deduce che tali circostanze, segnalate ai giudici di merito, hanno ricevuto risposta inappropriata da parte degli stessi;

b) la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullita’, derivante dal fatto che l’individuazione dei beni distratti e’ stata operata col richiamo ad un atto (l’ultimo bilancio depositato) facente parte del fascicolo del Pubblico Ministero.

2.2. (OMISSIS) lamenta, con unico motivo, una violazione di legge e un vizio di motivazione con riferimento alla sua ritenuta partecipazione al reato di bancarotta documentale. Deduce che – a quanto emerge dalla stessa sentenza impugnata – la tenuta della contabilita’ fu curata da (OMISSIS) almeno fino al 2/10/2001, data in cui quest’ultimo cesso’ di collaborare con lo studio (OMISSIS) – (OMISSIS); non ha senso, pertanto, parlare di una sua consapevolezza circa “l’omessa tenuta delle scritture contabili”, posto che aveva dismesso la carica di amministratore gia’ dal 29/4/2001. Meno che mai sarebbe stato possibile parlare di una “consapevolezza” circa il fatto che l’omessa tenuta della contabilita’ “avrebbe causato un danno ai creditori”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile per manifesta infondatezza.

1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, mai più messa in discussione dopo la sentenza delle Sezioni Unite del 28/2/2008, n. 19601, il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216 e segg. non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 1 dal Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 e dal Decreto Legislativo 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’articolo 2 c.p. sui procedimenti penali in corso (cosi’ anche sez. 5, n. 9279 del 8/1/2009; sez. 5, n. 40404 del 8/5/2009).

Effettivamente, come sottolineato dal ricorrente, il principio di diritto, affermato nella sentenza suddetta, e’ stato posto con specifico riferimento ai “presupposti oggettivi e soggettivi” per la dichiarazione di fallimento perche’, nel procedimento in cui e’ stato espresso, era stata posta in discussione la fallibilità dell’imprenditore, in considerazione della normativa successivamente intervenuta. In motivazione, le Sezioni Unite hanno pero’ precisato che la sentenza di fallimento costituisce il presupposto formale perché possano essere prese in considerazione le condotte dell’imprenditore ante procedura e che nella struttura dei reati di bancarotta la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale, sicché “in quanto atto della giurisdizione richiamato dalla fattispecie penale, la sentenza dichiarativa di fallimento e’ insindacabile in sede penale” e “vincola il giudice penale (purché esistente e non revocata) come elemento della fattispecie criminosa, e non quale decisione di una questione pregiudiziale implicata dalla fattispecie”.

Ancora più chiaramente, “quando un atto giuridico e’ assunto quale dato della fattispecie penale (non importa se come elemento costitutivo del reato o come condizione di punibilità), esso e’ sindacabile dal giudice penale nei soli limiti e con gli specifici mezzi previsti dalla legge”.

Cosi’, hanno precisato le SU, se l’atto giuridico assunto quale dato della fattispecie penale e’ costituito da un provvedimento legislativo, esso e’ impugnabile solo dinanzi alla Corte Costituzionale; se e’ costituito da un provvedimento amministrativo, esso può essere incidentalmente sindacato dal giudice penale in quanto illegittimo; se elemento della fattispecie e’ un atto negoziale privato, il giudice penale può escludere l’illiceità del fatto solo in presenza di un negozio nullo; nel caso che, come nella specie, si tratti di un provvedimento giudiziale, “il giudice penale non ha alcun potere di sindacato, dovendo limitarsi a verificare l’esistenza dell’atto e la sua validità formale”.

Quindi, diversamente dagli altri casi sopra indicati, in cui pure nel paradigma normativo entra a fare parte un atto giuridico, quando elemento della fattispecie e’ una sentenza “il giudice penale non e’ abilitato a compiere alcuna valutazione, neppure incidentale, sulla legittimità di essa, perché le sentenze, a prescindere dalla loro definitività, hanno un valore erga omnes che può essere messo in discussione solo in via principale, con i rimedi previsti dall’ordinamento per gli errori giudiziari (e cioè con i mezzi ordinari o straordinari di impugnazione previsti dalla disciplina processuale)”.

Appare evidente, quindi, che, anche per la giurisprudenza richiamata dal ricorrente, oltre che per i principi in tema di impugnazione, la sentenza di fallimento non puo’ essere sindacata dinanzi al giudice penale nemmeno per eventuali errori commessi nel procedimento che ha portato alla sua emanazione – come sarebbe avvenuto, secondo il ricorrente, per la mancata notifica dell’istanza di fallimento all’amministratore in carica, o per la pronuncia della sentenza da parte di giudice incompetente – in quanto quegli errori andavano fatti valere nella sede propria, costituita dal reclamo – da proporre dinanzi alla Corte d’appello – avverso la pronuncia del Tribunale fallimentare.

2. Il secondo motivo e’, parimenti, manifestamente infondato.

Al fine di ritenere completo nei suoi elementi essenziali il capo d’imputazione e’ sufficiente che il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa (Cass., sez. 4, n. 38991 del 10/6/2010; negli stessi termini, Sez. 1, n. 12474 del 22.11.1994; Sez. 4, n. 34289 del 25.2.2004). Tale “chiarezza” puo’ ben derivare dal rinvio, contenuto in imputazione, ad atti del fascicolo processuale, purche’ si tratti di atti intellegibili, non equivoci e conoscibili dall’imputato.

Nella specie, il riferimento alle “immobilizzazioni” risultanti al bilancio del 2001 era certamente idoneo a rendere edotto (OMISSIS) della contestazione elevata a suo carico e di consentirgli una adeguata difesa (come e’ in concreto avvenuto), trattandosi di atto formato dalla societa’ da lui amministrata e nella sua disponibilita’, che conteneva l’esatta indicazione delle immobilizzazioni esistenti alla data della sua presentazione.

3. Appare fondato, invece, il ricorso di (OMISSIS), ravvisandosi un vizio di motivazione nella sentenza impugnata. Qui e’ detto, infatti, che (OMISSIS) e’ stato amministratore formale della societa’ dal gennaio ad aprile del 2001 e che le scritture contabili erano tenute da (OMISSIS) presso lo studio commerciale ove prestava attivita’.

Fu sempre (OMISSIS) a portarle con se’ nel 2001, nel momento in cui cesso’ la sua collaborazione con lo studio suddetto (pag. 6).

Ebbene, il ricorrente aveva gia’ criticato – in appello – il ragionamento del Tribunale, rilevando che (OMISSIS) cesso’ la collaborazione con lo studio (OMISSIS)-(OMISSIS) il 2/10/2001, per cui e’ a tale data che deve farsi risalire la sottrazione delle scritture contabili: a data, cioè, in cui (OMISSIS) non era più amministratore della società.

Quindi, per ritenere la responsabilita’ di quest’ultimo per la bancarotta documentale occorreva la dimostrazione – non data in sentenza – che (OMISSIS) continuo’ a interessarsi della societa’ fallita e che concorse, in qualche maniera, alla sottrazione delle scritture (o alla sua irregolare tenuta) anche dopo l’uscita formale dalla (OMISSIS) srl.

Tanto premesso, deve rilevarsi, pero’, che il reato a lui ascritto – commesso il (OMISSIS) – e’ prescritto, dovendo farsi applicazione delle norme introdotte, in materia, dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, poiche’ la sentenza di primo grado e’ successiva all’entrata in vigore della legge suddetta.

4. Consegue a tanto che il ricorso di (OMISSIS) deve dichiarasi inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende, che, in ragione dei motivi addotti, si stima equo determinare in Euro 2000.

La sentenza va, invece, annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) per estinzione del reato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 a favore della Cassa delle ammende.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) perché il reato a lui ascritto e’ estinto per prescrizione.