La separazione dei beni.

Bisogna sfatare un antico tabù: parlare di separazione dei beni tra coniugi non significa in nessun modo porre dei limiti al matrimonio e neppure anteporre degli interessi economici al sentimento che lega la coppia, ma semplicemente chiarire quali potrebbero essere le conseguenze legali e economiche di una scelta così importante.

Se lo sposalizio nel passato è nato proprio come vincolo economico, il tempo ha fatto sì che esso si trasformasse, giustamente, in un sodalizio d’amore: ciò non significa che il patto che i due coniugi sottoscrivono non abbia anche tutt’ora una importantissima valenza economica e legale, dalla quale dipende il loro stesso futuro.

Al termine della cerimonia matrimoniale, sia essa civile o secondo il rito cattolico, i novelli sposi sono tenuti per legge a esprimere una scelta tra separazione dei beni o comunione dei beni, scelta non irrevocabile poiché è possibile nel tempo cambiare il regime patrimoniale prescelto.

Anche dopo la celebrazione del matrimonio i coniugi posso stipulare una convenzione da un notaio per modificare il loro regime patrimoniale e farla annotare a margine dell’atto di matrimonio.

Cosa comporta la scelta del regime di separazione dei beni

Nel caso in cui i coniugi decidano di scegliere la separazione dei beni, tutto ciò che i due sposi hanno acquistato precedentemente al matrimonio e tutto quello che acquisteranno successivamente rimarrà di proprietà esclusiva di ciascuno di loro.

Nel caso della separazione dei beni tra coniugi i patrimoni di ciascuno rimangono dunque separati anche se ciò non impedisce ai coniugi di avere uno o più beni in comune.

Ad esempio una coppia in regime di separazione dei beni può decidere al momento dell’acquisto di un nuovo bene (successivamente alla data del matrimonio) di cointestarne la proprietà(ad esempio potrebbero decidere di cointestarsi una casa per le vacanze).

In sostanza in caso di separazione dei beni, i beni potranno essere comuni solo se i coniugi decidono di acquistare come comproprietari un bene oppure se, nell’ipotesi contemplata dall’art. 219 del Codice Civile, nessuno dei due riesce a dimostrare la titolarità esclusiva di un bene. In tali ipotesi però non si può parlare di regime di comunione legale, trattandosi piuttosto di una comunione ordinaria che trova la sua disciplina negli artt. 1100 c.c..

I vantaggi del regime di separazione dei beni

La scelta del regime di separazione dei beni può avere in alcuni casi notevoli vantaggi.

Se uno dei coniugi ad esempio esercita un’attività commerciale ed è esposto al rischio di una possibile crisi finanziaria o di un possibile fallimento, con la separazione dei beni si potrà salvare almeno ciò che è di proprietà dell’altro coniuge.

Si tenga, invece, conto del fatto che, viceversa, “la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene stabilito all’atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione” (Cass. n. 6575/2013).

A volte, oltretutto, la separazione dei beni può aiutare a chiarire questioni che potrebbero ulteriormente aggravare un momento doloroso come quello di un eventuale separazione.

Per quanto riguarda, poi, i debiti contratti da uno dei coniugi, va detto che se questi sono stati contratti nell’interesse della famiglia: anche se nessuna norma lo prevede, secondo un orientamento dottrinale (di cui fa menzione Giovagnoli), dovrebbe valere la regola della responsabilità solidale dei coniugi in base alla quale entrambi rispondono con i loro beni per i debiti posti in essere da uno solo dei due.

In sostanza parte della dottrina ritiene che il dovere dei coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia abbia un’efficacia anche nei confronti dei terzi anche in caso di separazione dei beni.

A tali conclusioni si giunge sulla base del rilievo che solo in tal modo possono attuarsi i principi di parita’ e di solidarieta’ che caratterizzano la disciplina del diritto di famiglia.

Il dibattito dottrinale evidenzia che solo un’interpretazione di questo tipo potrebbe sottrarre l’art. 186, lett. c) el Codice Civile (nel combinato disposto con l’art. 190 dello stesso codice) al rischio della illegittimita’ costituzionale per l’ingiustificata disparità di trattamento tra creditori di coniugi in comunione e creditori di coniugi in separazione dei beni.

Va fatta però una precisazione: in una pronuncia la Corte di Cassazione (Sentenza n. 8995 del 25/07/1992) ha affermato che:

“L’obbligo imposto dall’art. 147 cod. civ. ad entrambi i coniugi di mantenere, istruire ed educare la prole si riverbera nei rapporti esterni, con la conseguenza che ove trattisi di obbligazioni derivanti dal soddisfacimento di esigenze primarie della famiglia, quali in particolare la cura della salute (nella specie: prestazioni sanitarie erogate da un professionista ai figli minorenni) deve riconoscersi il potere dell’uno e dell’altro coniuge di fronte ai terzi, in virtù di un mandato tacito, di compiere gli atti occorrenti e di assumere le correlative obbligazioni con effetti vincolanti per entrambi, in deroga al principio secondo cui soltanto il coniuge che ha personalmente stipulato l’obbligazione risponde del debito contratto”.

La stessa Corte (sentenza n. 25026/2008) ha evidenziato che tale principio si applica solo nei casi in cui il debito contratto abbia a che fare con l’esigenza di soddisfare bisogni primari della famiglia come quello della salute dei suoi componenti.

Nelle altre ipotesi occorre tenere conto del seguente principio di diritto:

“Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, l’obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l’altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. Il suddetto principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell’invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 c.c.” (Cass. Sentenza n. 3471 del 15/02/2007)Altri aspetti del regime di separazione

Entrando nello specifico: secondo l’articolo 159 del codice civile, la separazione dei beni è un regime patrimoniale alternativo alla comunione legale e deve pertanto essere dichiarato e sottoscritto espressamente e congiuntamente dai due coniugi.

La norma dispone infatti che in mancanza di diversa convenzione il regime patrimoniale della famiglia è costituito dalla comunione dei beni.

La scelta del regime di separazione dei beni non esenta il coniuge dal contribuire alla spese per la conduzione familiare; ognuno deve contribuire, in proporzione alle proprie capacità reddituali, al mantenimento della casa e della famiglia.

I coniugi sono da ritenere liberi di acquistare o vendere beni separatamente.

Il regime della separazione si applica anche in caso di scioglimento della comunione.

In base all’art. 191 del codice civile, la comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l’annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi.

Recentemente, la legge n. 55/2015 ha inserito nell’articolo 191 c.c. la precisazione in base alla quale nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati o alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato.

Invece, nel caso specifico di aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, il codice prevede che lo scioglimento della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista per le convenzioni matrimoniali.