La tardiva iscrizione del nome dell’indagato nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p. non incide sulla utilizzabilità delle indagini svolte prima della iscrizione.

(Corte di Cassazione penale, sez. I, sentenza 12.05.2016, n. 19831)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Pubblico ministero in persona del Procuratore militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Roma;

avverso l’ordinanza emessa in data 15/07/2015 dal Tribunale militare di Roma, nei confronti di:

1) C.C., nato a (OMISSIS);

2) CI.Da.Gi., nato a (OMISSIS);

3) M.F., nato a (OMISSIS);

4) MO.Ma., nato a (OMISSIS);

Visti gli atti, l’ordinanza impugnata, il ricorso e le memorie degli imputati;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. M. Stefania Di Tomasi;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale militare, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, con trasmissione degli atti al Tribunale militare di Roma per l’ulteriore corso.

Fatto

1. Con l’ordinanza in epigrafe, pronunciata nel corso della prima udienza dibattimentale nel procedimento a carico di CI. D.G., M.F., MO.Ma., C.C., il Tribunale militare di Roma dichiarava, aì sensi degli “artt. 191 e 429 c.p.p.”, la nullità del decreto che disponeva il giudizio nei confronti di tutti gli imputati e disponeva la restituzione degli atti al G.u.p..

Il provvedimento – assunto a seguito della richiesta di ammissione delle prove formulata dal P.m. e di opposizione della difesa dell’imputato C. alla acquisizione dei documenti prodotti dal P.m. e alla assunzione delle testimonianze sulle indagini relative a tali documenti – veniva motivato sul rilievo:

che “il decreto che dispone il giudizio datato 14.5.2015 contiene l’esplicito riferimento tra le fonti di prova all’esito dei preliminari accertamenti datati 22.5.2012, nonchè all’esito di indagini datate 26.4.2013; laddove la iscrizione ai sensi dell’art. 335 c.p.p. degli odierni imputati nel registro mod. 21 delle notizie di reato è avvenuta ad opera del P.M. in data 3.5.2013 in ordine al reato di “Truffa militare” (art. 234 c.p.m.p.)”;

che, pertanto, “risultano utilizzati a carico degli odierni imputati elementi di indagine raccolti o acquisiti antecedentemente alla assunzione da parte loro della qualità di indagati”;

che “in forza dell’art. 191 c.p.p. non possono essere utilizzate le prove acquisite in violazione di divieti stabiliti dalla legge, e che nel caso di specie si tratta dì prove acquisite dal P.m. in corso di indagini in cui gli odierni imputati rivestivano al contrarlo la qualità di soggetti passivi di eventuale reato di “Diffamazione” in loro danno commesso”.

2. Ha proposto ricorso il Pubblico ministero, chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata, della quale denunzia l’abnormità.

Osserva che, non solo il decreto annullato non era affetto da alcuna delle nullità previste dall’art. 429 c.p.p., ma dall’ordinanza del Tribunale militare neppure si comprendeva in cosa sarebbe consistita la ritenuta violazione di legge ed a quale forma di nullità il Tribunale intendesse fare riferimento.

L’ordinanza, pertanto, realizzava un esercizio del potere di rimessione degli atti al G.u.p. non previsto dal sistema processuale e che si poneva al di fuori dell’ordinamento, e determinava un ingiustificato (e antieconomico) ritorno del procedimento addirittura alla fase dell’udienza preliminare: così, appunto, configurandosi come abnorme.

3. Hanno prodotto memorie i difensori di Mo.Ma. e di C.C., chiedendo di dichiarare inammissibile.

3.1. Sostengono che il giudice del dibattimento aveva, invece, esercitato un potere, quello di rilevare e dichiarare le nullità del decreto di rinvio a giudizio, a lui riconosciuto dall’ordinamento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso appare fondato.

2. Il Procuratore generale nella sua requisitoria scritta correttamente osserva, svolgendo considerazioni che il Collegio condivide:

“… appare necessario evidenziare, innanzitutto, come l’annullamento del decreto di rinvio a giudizio non sia avvenuto per la ritenuta sussistenza dì una nullità d’ordine generale di cui all’art. 178 c.p.p. Se ciò fosse stato, l’ordinanza de qua, quand’anche si fosse basata su un’erronea valutazione circa la sussistenza della nullità, non si sarebbe configurata come abnorme perchè l’ordinamento riconosce al giudice del dibattimento il potere di rilevare, anche d’ufficio, ai sensi degli artt. 179 e 180 c.p.p., dette nullità.

L’annullamento, invece, è stato disposto per un ritenuto vizio del decreto di rinvio a giudizio in quanto emesso sulla base di atti d’indagine inutilizzabili perchè acquisiti prima che gli imputati assumessero la qualità dì indagati.

Come si evince dal verbale d’udienza, l’ordinanza de qua è stata adottata in sede di delibazione delle richieste di prova avanzate dalle parti e la Corte ha già avuto modo di precisare che “Nel vigente sistema processuale – caratterizzato dalla dialettica delle parti (art. 190 c.p.p.), alle quali è attribuito l’onere di allegare le prove a sostegno dei rispettivi petita – il giudice è tenuto a provvedere sulle relative richieste sulla base dei parametri di ammissibilità enunciati dall’art. 190 c.p.p., comma 1, con riguardo cioè ai divieti probatori ed alla pertinenza della prova richiesta al thema decidendum.

Ogni diversa valutazione, non improntata ai suddetti criteri, in fatto e in diritto, non solo esula dal potere del giudice ma contravviene al diritto alla prova delle parti, concretizzando una violazione dì legge che vizia la relativa pronuncia del giudice” (Sez. 6, 22 gennaio 1993, n. 3666, Rv. 193675).

Pare dunque fondato opinare che il potere del giudice del dibattimento in tale fase – fatta ovviamente salva l’eventualità dì nullità rilevabili di ufficio – sia soltanto quello di ammettere o non ammettere le prove, in applicazione dell’art. 495 c.p.p., e, dunque, semmai quello di escludere prove ritenute inutilizzabili (anche in sintonia con la previsione di cui all’art. 526 c.p.p.) ma non anche quello di dichiarare, come avvenuto nella fattispecie, la nullità del decreto di rinvio a giudizio perché formato su prove ritenute inutilizzabili ai sensi dell’art. 191 c.p.p.

E del resto, sembra significativo che anche la memoria della difesa prodotta in udienza (“Conclusioni in ordine all’ammissione delle prove”), nella quale si esprimevano critiche sull’iter delle indagini preliminari poi sostanzialmente, seppur implicitamente, condivise dal giudice del dibattimento, sì concludeva con la richiesta di declaratoria di inutilizzabilità degli atti d’indagine e non già di nullità del decreto di rinvio a giudizio.

Può aggiungersi che anche il vizio ravvisato dal Tribunale militare appare antologicamente incompatibile con il sistema processuale.

In effetti, individuare una nullità del decreto di rinvio a giudizio perchè emesso sulla base di atti inutilizzabili significa, nella sostanza, cogliervi un difetto di motivazione laddove, invece, per inequivocabile scelta legislativa, l’art. 429 c.p.p. – diversamente da altre disposizioni del codice di rito (ad es. l’art. 401 c.p.p., comma 1) – non prevede la motivazione quale requisito del detto decreto.

Al di là dunque dell’erroneità dell’automatismo inutilizzabilità/nullità (la giurisprudenza ha chiarito che l’inutilizzabilità di alcuni atti dell’indagine preliminare non comporta la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio, stante il principio di tassatività delle nullità – cfr. Sez. 5, 22 aprile 2009, n 21593, Rv 243899), si ritiene che l’ordinanza impugnata abbia esorbitato dal potere attribuito al giudice del dibattimento in sede di delibazione della richiesta di prove avanzata dalle parti così da integrare, secondo l’insegnamento delle SS.UU. n. 25957 del 26 marzo 2009, Rv. 243590, un caso di “carenza di potere in concreto”, che ha comportato – ed in ciò sarebbe individuabile l’interesse all’impugnazione del ricorrente, in quanto titolare dell’azione penale – un’ingiustificata regressione del processo alla fase dell’udienza preliminare.

In definitiva… l’ordinanza impugnata presenta i caratteri del provvedimento abnorme (di recente, per un’ipotesi in cui è stata affermata l’abnormità dell’annullamento del decreto di citazione a giudizio perchè disposto “al di là di ogni ragionevole limite, al di fuori dei casi consentiti o delle ipotesi previste”, Sez. 5, 14 maggio 2014, n. 28512, Rv. 262508, in un caso in cui il Tribunale, all’udienza dibattimentale e nel corso di un esame testimoniale, aveva dichiarato di ufficio una nullità del decreto ai sensi dell’art. 552 c.p.p., comma 2, e disposto la restituzione degli atti al P.M., pur trattandosi di nullità ormai sanata perchè non tempestivamente eccepita).

Tale conclusione appare confortata da un ulteriore ordine di considerazioni.

Come già rilevato, il giudice del dibattimento ha dichiarato la nullità del decreto di rinvio a giudizio in conseguenza dell’avvenuta utilizzazione, a carico degli imputati, di alcuni “elementi di indagine raccolti o acquisiti antecedentemente alla assunzione da parte loro della qualità di indagati”.

Si ritiene …

che, a prescindere da ogni valutazione sulle cadenze dell’iter delle indagini preliminari, la prospettata inutilizzabilità sia comunque insussistente posto che:

a) “la tardiva iscrizione del nome dell’indagato nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p. non incide sulla utilizzabilità delle indagini svolte prima della iscrizione” (Sez. 6, 2 ottobre 2006, n. 2818, Rv. 235726; in precedenza, nello stesso senso, SS. UU., 21 giugno 2000, n. 16, Rv. 216248; successivamente, Sez. 6, 10 ottobre 2007, n. 40791, Rv. 238039, Sez. 3, 18 marzo 2015, n. 32998, Rv. 264191);

b) anche la giurisprudenza che ammette il sindacato del giudice sulla determinazione del termine iniziale delle indagini ritiene che, comunque, “la tardiva iscrizione può incidere sulla utilizzabilità delle indagini finali ma non sulla utilizzabilità di quelle svolte prima della iscrizione” (Sez. 5, 21 settembre 2006, n. 1410, Rv. 236029).

Sennonché, anche ammettendo, per ipotesi, che la causa di inutilizzabilità finse stata effettivamente sussistente, sembrerebbero rimanere del tutto valide le suesposte considerazioni circa la radicale inconciliabilità dell’ordinanza de qua con il normale iter procedurale.

E se un vizio di tal genere di un provvedimento permane pur ammettendo la fondatezza dei presupposti logici sui quali il giudice lo ha adottato, ciò… rappresenta ulteriore indice sintomatico della sua abnormità”.

3. Dirimente appare, per altro, il rilievo che il giudice del dibattimento non ha alcun potere di annullare il decreto di rinvio a giudizio in ragione della – reale o supposta – inutilizzabilità delle fonti di prova, così come non ha il potere di annullarlo in caso di carente indicazione degli elementi su cui si fonda la prospettazione accusatoria o di mancanza o vizi della motivazione, perchè, in un sistema fondato sulla acquisizione della prova nel contraddittorio dibattimentale e con riguardo a un atto meramente propulsivo quale è il provvedimento che dispone il rinvio a giudizio, che chiude una fase di carattere endoprocessuale priva di conseguenze rilevanti ai fini dell’eventuale condanna dell’imputato, ciò che conta ed è sufficiente per garantire il diritto di difesa, è che gli elementi di accusa siano ostesi all’imputato e questi abbia modo e tempo per difendersi da essi e in relazione ad essi, in dibattimento.

Per conseguenza, l’annullamento del decreto di rinvio a giudizio per l’asserita “inutilizzabilità” degli elementi di prova elencati in tale atto, non soltanto non trova alcun fondamento nelle ipotesi previste – tassativamente – dal codice di rito, ma si pone addirittura in evidente contrasto con i principi che lo informano, e la conseguente restituzione degli atti al Giudice dell’udienza preliminare determina una abnorme regressione del procedimento perchè non consentita in astratto e non giustificabile in concreto con riguardo alla fattispecie dedotta.

3. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata senza rinvio e gli atti devono essere restituiti al Tribunale militare di Roma per l’ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale militare di Roma.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2016.