L’avvocato che si fa pagare dal cliente un’attività da lui non effettivamente compiuta non può beneficiare della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, anche se la somma lucrata è di minima entità e lo stesso legale è incensurato, in considerazione della lesione al vincolo di fiducia che lega il cliente al proprio difensore.

(Corte di Cassazione, sezione feriale penale, sentenza 16 agosto 2016, n. 34887)

Sentenza

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI PALERMO;

(OMISSIS), nella qualita’ di parte civile;

nei confronti di:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);

inoltre:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);

avverso la sentenza 4/01/2016 della Corte d’appello di Palermo, Sezione Seconda Penale;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GALLO Domenico;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi;

udito per la parte civile (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS);

udito per l’imputato, l’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. (OMISSIS) veniva tratto a giudizio per rispondere “del delitto previsto e punito dall’articolo 640 c.p. e articolo 61 c.p., n. 11 perche’ con artifici e raggiri consistiti nell’aver approfittato del suo ruolo di avvocato, inducendo (in errore) (OMISSIS) in ordine all’effettivo svolgimento della prestazione professionale richiesta (inizio e svolgimento di causa di separazione giudiziale, presentazione di denuncia querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, ritiro della predetta denuncia) si procurava l’ingiusto profitto rappresentato dalla somma complessiva di Euro 7.400,00, con pari danno per la persona offesa. Con l’aggravante di aver agito con abuso di relazione di prestazione d’opera”.

2. Il Tribunale di Palermo, con sentenza in data 31/10/2013, dichiarava l’imputato colpevole del reato a lui ascritto e lo condannava alla pena di mesi sei di reclusioni ed Euro 200,00 di multa, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, nonche’ al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile, (OMISSIS), liquidato in Euro 20.000.

3. Con sentenza in data 4/01/2016, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del giudice di prime cure, assolveva (OMISSIS) dall’imputazione di truffa a lui ascritta limitatamente alla condotta relativa all’inizio e svolgimento di causa di separazione giudiziale” perché’ il fatto non sussiste e riduceva la pena inflitta all’imputato per la residua condotta, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, rideterminandola in mesi quattro di reclusione ed Euro 40,00 di multa; riduceva l’ammontare del danno liquidato alla costituita parte civile, rideterminandolo in Euro 2.500,00.

4. Avverso tale sentenza propongono ricorso il PG, la parte civile, per mezzo del difensore, avv. (OMISSIS), ai soli fini civili e l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, avv. (OMISSIS).

5. La parte civile solleva un unico motivo di gravarne con il quale deduce il vizio di motivazione per travisamento della prova in relazione al giudizio di insussistenza del reato di truffa in ordine al frammento di condotta relativo all’effettivo inizio del giudizio di separazione giudiziale nei confronti del coniuge della parte civile.

Al riguardo si duole che la Corte d’appello non abbia tenuto conto di alcuni elementi di prova di valore determinante: in particolare del fatto che l’avv. (OMISSIS) aveva dichiarato alla sua cliente di aver depositato, gia’ in data 8/9/2008, il ricorso per la separazione giudiziale (essendo stato il ricorso effettivamente depositato il 17/10/2008).

6. Anche il P.G. solleva un unico motivo di gravame con il quale deduce il vizio di motivazione per travisamento della prova in relazione al giudizio di insussistenza del reato di truffa con argomentazioni analoghe a quelle sviluppate dalla parte civile.

7. Il difensore di (OMISSIS) solleva due motivi di ricorso:

7.1 Violazione di legge penale e processuale e mancanza e contraddittorieta’ della motivazione. Al riguardo eccepisce che la condotta contestata non integra gli elementi costitutivi della fattispecie del reato di cui all’articolo 640 c.p., in quanto la condotta fraudolenta non puo’ essere successiva alla ricezione dell’ingiusto profitto, e si duole di motivazione illogica e contraddittoria rispetto a determinati atti processuali specificamente indicati nell’atto d’appello;

7.2 Violazione di legge penale e processuale e mancanza e contraddittorieta’ della motivazione, con riferimento alla mancata applicazione della “causa di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto” di cui all’articolo 131 bis c.p..

Al riguardo si duole che la Corte d’appello abbia respinto la richiesta di non punibilita’ con motivazione non conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’ ed in particolare che non abbia tenuto conto dell’applicazione di una pena inferiore al minimo edittale, dell’esiguita’ del danno e dell’incensuratezza dell’imputato.

8. In data 15/07/2016 la parte civile ha depositato note difensive, chiedendo il rigetto del ricorso dell’imputato.

Considerato in diritto.

1. Tutti i ricorsi sono infondati per i motivi di seguito esposti.

2. Per quanto riguarda il ricorso della parte civile e del PG, che sviluppano argomenti analoghi, occorre rilevare che le censure sollevate sono in parte inammissibili e sostanzialmente infondate. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le piu’ recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).

La novella codicistica, introdotta con la L. 20 febbraio 2006, n. 46, che ha riconosciuto la possibilita’ di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità’, sicche’ gli atti eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso.

Resta, comunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita’ delle fonti di prova.

E’ stato ulteriormente precisato che la modifica dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), per effetto della L. n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella gia’ effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali puo’ essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorieta’ della motivazione rispetto ad essi sia percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze. (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099).

3. Nel caso di specie non sussiste il vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 39048 del 25/09/2007 Ud. (dep. 23/10/2007) Rv. 238215).

La sentenza impugnata, infatti, non ha fondato il giudizio di insussistenza del fatto-reato su una prova che non esiste ovvero su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, avendo la Corte d’appello basato il proprio giudizio su di un fatto incontestabile, ovvero che il ricorso per la separazione giudiziale venne certamente redatto dall’avv. (OMISSIS) e depositato in Tribunale in data 17/10/2008, prima che allo stesso difensore pervenisse l’atto di revoca del mandato da parte della sua cliente.

Le censure dei ricorrenti, che valorizzano la circostanza che l’avv. (OMISSIS), aveva assicurato alla sua cliente di aver depositato il ricorso gia’ in data 8/9/2008, sono infondate in punto di diritto poiche’ la circostanza non ha valore determinante e non e’ da sola idonea ad incrinare la compattezza logica della motivazione della sentenza impugnata. In definitiva si risolvono nella richiesta di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito.

4. Per quanto riguarda il ricorso di (OMISSIS), non sono fondate le censure in punto di insussistenza degli estremi del reato di truffa in relazione alla condotta contestata.

E’ ben vero che questa Corte, con riferimento ad una condotta – in ipotesi truffaldina – di un avvocato ha statuito che: non integra il reato di truffa la condotta dell’avvocato che si faccia dare un’anticipazione sugli onorari al momento dell’assunzione di un incarico giudiziale e che poi non dia inizio al contenzioso, ponendo in essere raggiri per tacitare la richiesta di informazioni sull’andamento della controversia e quindi per evitare la restituzione di quanto indebitamente percepito, dal momento che la condotta fraudolenta, ai fini dell’integrazione della fattispecie, non può essere successiva alla ricezione dell’ingiusto profitto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17106 del 22/03/2011 Ud. (dep. 03/05/2011) Rv. 250250).

Tuttavia tale principio di diritto non e’ applicabile al caso di specie perche’ qui non ci troviamo in presenza di un acconto richiesto al momento dell’assunzione di un incarico professionale che successivamente non veniva svolto. Risulta dagli atti che l’avv. (OMISSIS) richiese ed ottenne dalla propria cliente il pagamento di una parcella (n. 22/2008 con data 24/9/2008) nella quale venivano indicata un’attivita’ professionale che lo stesso non aveva compiuto, ne’ avrebbe potuto mai compiere, in quanto la denuncia non era mai stata depositata in Procura, ne’ avrebbe potuto essere “ritirata”.

Non puo’ dubitarsi che integri il reato di cui all’articolo 640 c.p. la condotta di quell’avvocato che, inducendo in errore la propria cliente, mediante la redazione di una parcella in cui vengono indicate attivita’ professionali mai svolte, si procuri l’ingiusto profitto del pagamento di competenze non spettanti, con pari danno per la persona offesa.

5. Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, in punto di mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità’ del fatto, le censure del ricorrente sono manifestamente infondate.

La Corte d’appello, infatti, ha preso in considerazione l’ipotesi della particolare tenuità’ del fatto e l’ha rigettata osservando che: “la condotta del prevenuto, realizzata nel contesto delicatissimo ed assai rilevante del rapporto fiduciario avvocato-cliente, e’ risultata lesiva, in modo ne’ trascurabile, ne’ marginale, ben al di la’ degli importi lucrabili tramite il reato, dell’affidamento della parte offesa e delle sue aspettative.

Si e’ trattato di un’azione rimarchevole, grave ed intrinsecamente dotata di una carica di offensività penale palese, anche perche’ consumata nell’esercizio della professione forense a danno di un soggetto che con fiducia aveva chiesto aiuto legale ad un professionista del settore.

Si e’ trattato, inoltre, di un’azione, per quanto detto in motivazione, dotata di un tasso di partecipazione psicologica e soggettiva, in capo al prevenuto, intenso, francamente incompatibile con la previsione e con i parametri normativi delineati dall’articolo 131 bis c.p., pensati ovviamente per episodi minimali, realmente blandi e percepiti o percepibili dai destinatari della sanzione penale e della collettivita’ dei consociati come tali”.

La motivazione della Corte d’appello e’ congrua, priva di vizi logico-giuridici e non viene minimamente scalfita dalle censure del ricorrente, come tale e’ incensurabile in questa sede.

6. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna alle spese del presente procedimento.