Le azioni acquistate ad un prezzo gonfiato? Se la banca ha informato l’investitore escluso il risarcimento.

(Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 maggio 2016, n. 10934)

Svolgimento del processo

Con atto di citazione, notificato in data 14 luglio 2009, P.R. conveniva davanti al Tribunale di Milano Banca Italease SpA nonché I.F. , già Vice Presidente del CDA, perché fossero condannati, in via solidale, al risarcimento dei danni patiti in relazione all’acquisto di azioni Italease, confidando nei dati contenuti in atti e documenti predisposti dagli organi sociali e in comunicati stampa, rivelatisi non veritieri.

Costituitosi il contraddittorio, la banca chiedeva il rigetto della domanda, e, in via subordinata, il concorso di colpa dell’attore, escludendo ogni forma di risarcimento ovvero limitandolo secondo giustizia; I.F. chiedeva parimenti il rigetto della domanda.

Intervenivano in giudizio R.C.E. ed altri.

Il Tribunale di Milano, con sentenza in data 24/12/2012, rigettava le domande proposte da attore e intervenuti.

Proponevano appello P.R. e altri.

Costituitosi il contraddittorio, la banca e l’I. ne chiedevano il rigetto.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 15/1/2014, accoglieva parzialmente l’appello di P. , Mi. , Br. , rigettando quello degli altri soggetti.

Ricorrono per cassazione R.C.E. e altri, che pure depositano memoria per l’udienza.

Resistono con controricorso I.F. nonché Banco Popolare – Società Cooperativa, quale procuratore di Banca Italease spa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, alcuni ricorrenti lamentano violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., là dove la Corte di Appello aveva considerato irrilevanti le informazioni fuorvianti per la mancata incidenza causale nella produzione del danno, in quanto altrimenti gli investitori non avrebbero consentito a rischiare altri capitali su un titolo azionario, a maggior ragione se esso era sceso con i corsi di borsa.

Con il secondo, violazione degli artt. 2043, 2049 e 2395 c.c. nonché 114 TUF, là dove la Corte di Appello aveva rigettato la domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. di alcuni investitori che aveva acquistato azioni fino al 31/12/2007 e avevano effettuato ulteriori acquisti anche dopo tale data, quando era stata resa nota che il prezzo dei titoli era sopravalutato.

Con il terzo, tutti i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 2043 c.c., 114 TUF, 2381 e 2395 c.c. circa la responsabilità colposa di I.F. .

Con il quarto, vizio di motivazione riguardo ad alcuni fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, ma non esaminati dal giudice a quo, circa la responsabilità colposa di I.F. .

Possono trattarsi congiuntamente i motivi primo e secondo del ricorso.

Correttamente il giudice a quo richiama la sentenza di questa Corte n. 14056 del 2010, ove si precisa che in presenza di un prospetto di offerta pubblica di sottoscrizione di azioni societarie, contenente informazioni fuorvianti in ordine alla situazione patrimoniale della società, l’emittente al quale le errate informazioni siano imputabili, anche solo a tiolo di colpa risponde verso gli investitori del danno subito per avere acquistato titoli di valore inferiore a quello che il prospetto avrebbe lasciato supporre, dovendosi presumere, in difetto di prova contraria, che la non veridicità del prospetto abbia influenzato le scelte dei sottoscrittori.

La Corte di merito ha attribuito notevole rilevanza al comunicato stampa della Banca Italease del 31/5/2007 sul rischio derivante dall’acquisto di strumenti derivati relativi alla banca stessa.

Precisa ancora la Corte di merito che la data di “spartiacque” tra il diritto al risarcimento del danno e le operazioni di investimento azionario non suscettibili di tale risarcimento non può essere collocata successivamente al giugno del 2007: alcuni ricorrenti avevano acquistato titoli fino al 31 maggio 2007, inconsapevoli dei rischi, ma continuavano ad acquistarli anche successivamente, nonostante la raggiunta consapevolezza; tale comportamento successivo – secondo la Corte di merito – evidenziava l’assoluta irrilevanza, per essi, anche nel periodo anteriore dell’elevato rischio di investimento.

Si tratta di valutazione di fatto, sorretta da argomentazione accurata, adeguata e non illogica, assolutamente insuscettibile di controllo da parte di questa Corte, come vorrebbero i ricorrenti che propongono, per gran parte, valutazioni alternative, all’evidenza, inammissibili.

Possono altresì trattarsi congiuntamente i motivi terzo e quarto, quanto alla posizione di I.F. .

La Corte d’Appello affermava che gli esponenti avrebbero dovuto dimostrare lo svolgimento di un’attività differenziata di tale soggetto, mentre l’I. stesso doveva dimostrare di aver eseguito tutti i controlli e verifiche richiesti dal suo incarico di amministratore e nonostante ciò di non essere riuscito a scoprire che l’amministratore delegato e il direttore generale da anni avevano organizzato un’associazione a delinquere, commettendo pure reati di falso in bilancio e di aggiotaggio.

Vengono richiamati nel ricorso vari documenti che, a dire dei ricorrenti, indicherebbero la responsabilità dell’I. , ma che peraltro non sono stati allegati al ricorso stesso, mentre si dà specificazione, soltanto parziale del loro contenuto, senza chiarire specificamente in che misura e con quali presupposti ed elementi si configurava una responsabilità dell’I. .

Le argomentazioni, prevalentemente in fatto, dei ricorrenti non sono idonee ad inficiare quella, chiara ed esaustiva, del giudice a quo sull’assenza di ogni responsabilità dell’I. stesso.

Al riguardo quindi il ricorso appare non autosufficiente.

Come precisa la Corte di merito, dagli atti prodotti dalla difesa dell’I. , emerge che egli, ricoprendo la carica di Vice Presidente, faceva parte del solo comitato esecutivo della banca, ma non aveva alcuna delega operativa.

I ricorrenti affermano che idi fronte alla commissione di illeciti, avrebbe dovuto il resistente dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitarli.

Anche se l’argomentazione è al riguardo alquanto confusa, pare di capire che i ricorrenti si dolgano della violazione dei, principi sull’onere della prova, ma in, modo del tutto apodittico, senza apportare chiarimenti specifici.

Non forniscono invece argomentazione alcuna sulla interpretazione delle norme circa la responsabilità dei membri del Comitato esecutivo delle S.p.A., per l’esercizio del mandato gestorio.

Né si attaglia alla fattispecie dedotta il richiamo ulteriore ad una sentenza di questa Corte(Cass. n. 2737 del 2013), attinente ad una fattispecie del tutto differente, con riferimento alla responsabilità degli amministratori verso la società, e non di quella ai sensi dell’art. 2395 c.c..

Ma neppure potrebbe configurarsi tale responsabilità,che solo si configura ove azionisti o terzi dimostrino di essere stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori.

Vanno pertanto rigettati tutti i motivi del ricorso e, conseguentemente il ricorso stesso.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi; condanna i ricorrenti R. , F. , M. , L. , Ri. , Ma. , S. , B. , N. , Ra. e C. , in solido al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 10.200,00 per ciascuna delle controparti costituite; i ricorrenti P. , Br. e Mi. al pagamento delle spese, come sopra liquidate, nei soli confronti di I.F. .

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.