Le parti di un processo devono poter confutare le prove e non si possono diffondere intercettazioni relative a dati personali seppure lecite, ma estranee al processo.

In entrambi le parti contestarono l’ammissibilità come prova (decisiva per la loro condanna).

Nel primo erano stati intercettati durante un’operazione contro la corruzione e colti in fragranza mentre tentavano di ottenere mazzette (palese l’analogia con alcuni recenti noti casi italiani).

Contestarono la pubblicazione e l’acquisizione di queste registrazioni dato che contenevano anche informazioni personali estranee al processo.

Si contestò anche l’influenza negativa di alcune interviste sfavorevoli rese alla stampa dal Guardasigilli.

Nell’altro un uomo cercò invano di scagionarsi dall’accusa di omicidio a suo dire commesso da un terzo già detenuto per lo stesso reato: nelle registrazioni delle telefonate fatte alla famiglia l’uomo negò l’accusa.

Furono acquisite le registrazioni, ma non fu data la possibilità al ricorrente di interrogare il teste, vani i ricorsi contro questa condanna.

La CEDU in quest’ultimo caso, dopo aver dettato le sue linee guida sull’acquisizione delle prove, l’interrogatorio e la valutazione della credibilità dei testi, ha escluso, per la presenza di fattori e viste le altre prove schiaccianti, che l’assenza del teste abbia influito negativamente sulla condanna, ribadendo come anzi siano state rispettate tutte le garanzie processuali ex art. 6 Cedu (Rahiani c. Belgio e Schatshaschwili c. Germania nella rassegna del 18/12/15; Al-Kawaja e Tahery c. Regno Unito [GC] del 2011).

Questa violazione è stata invece riconosciuta nella condanna inflitta ad un webmaster per non aver rispettato l’ordine di non modificare i posts diffamatori sul suo sito: l’imputato (e le altre parti processuali) deve essere sempre in grado di confutare le accuse contro di lui (Gomez Olmeda c. Spagna del 29/3/16: la condanna era basata sulla registrazione del processo di primo grado).

Nell’altro ha riconosciuto una violazione dell’art. 8 solo perché lo Stato non era stato in grado di garantire la privacy da arbitrarie interferenze, rendendo note anche conversazioni private estranee al processo, benchè le intercettazioni fossero lecite avendo una base legale e giuridica (Meinanis c. Lettonia nella rassegna del 24/7/15) nota ai ricorrenti.

Questa deroga è stata, invece, esclusa nel caso A.B.C. c. Lettonia di oggi: tre minori avevano accusato il loro coach di molestie, ma l’indagine ha rilevato l’impossibilità di comprendere se avesse avuto, che loro si erano recate spontaneamente nella sauna già nude, come di abitudine ed erano state loro a chiedere di essere massaggiate.

Giusta la condanna dell’allenatore ad un risarcimento irrisorio.