Legittima difesa: anche gli spazi condominiali rientrano nelle “appartenenze” dell’abitazione (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 20 febbraio 2018, n. 8090).

(Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 20 febbraio 2018, n. 8090)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOVIK Adet Toni – Presidente

Dott. SIANI Vincenzo – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – rel. Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 12/07/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ZACCO Franca, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;

Udito i difensori avvocato (OMISSIS) che si e’ associato alle conclusioni del PG e ha depositato conclusioni e nota spese e avvocato (OMISSIS) che ha insistito nei motivi del ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Roma, in riforma di quella della Corte di assise di Frosinone di condanna di (OMISSIS) alla pena di anni quindici di reclusione per il delitto di omicidio volontario di (OMISSIS), riconosciuta l’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 2, riduceva la pena ad anni dieci di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.

Secondo l’imputazione, (OMISSIS) aveva colpito al petto (OMISSIS) con un colpo di pistola cal. 38 speciale, regolarmente detenuta, dopo che tra i due uomini si era verificato un alterco dovuto ai maltrattamenti cui (OMISSIS) sottoponeva la figlia di (OMISSIS), con lui convivente. La Corte di assise di Frosinone aveva gia’ concesso all’imputato le attenuanti generiche.

L’autopsia aveva dimostrato che il colpo era stato esploso a brevissima distanza dalla vittima; il proiettile era fuoriuscito dalla schiena della vittima ed era stato rinvenuto sotto il suo corpo: si trattava di proiettile della stessa specie di quelli contenuti nel caricatore della pistola Arminius cal. 38 special rinvenuta nel garage dell’abitazione dell’imputato, completa di sei bossoli di cui uno esploso.

Secondo il racconto delle testimoni, dopo che la figlia dell’imputato, (OMISSIS), era tornata a casa dei genitori riferendo di un’ennesima lite con il compagno, questi aveva continuato ad ingiuriarla e a minacciarla per telefono e poi era giunto presso l’abitazione dei genitori della giovane.

Nel corso della lite davanti alla porta dell’abitazione erano intervenuti anche il padre Enrico, la madre e la sorella; in una fase concitata, (OMISSIS) aveva brandito l’ombrello contro la madre e poi verso il padre della convivente ma, in quel momento, si era sentito lo sparo e (OMISSIS) era caduto a terra di schianto.

Secondo l’atto di appello, (OMISSIS) aveva esploso involontariamente il colpo, essendosi armato della pistola solo per spaventare (OMISSIS) e non per ucciderlo: mancava, quindi, l’elemento psicologico del reato; sussisteva, inoltre, la legittima difesa “domiciliare”, quanto meno putativa, essendosi (OMISSIS) introdotto nell’abitazione del (OMISSIS) senza il suo consenso, avendo inveito contro la convivente e i suoi congiunti, essendosi impossessato delle chiavi dell’autovettura di proprieta’ di (OMISSIS), strappandogliele di mano, avendo minacciato la madre della giovane con l’ombrello e cercato di colpire (OMISSIS) con una testata.

I difensori chiedevano, in via subordinata, l’attenuante per il rito abbreviato e il riconoscimento dell’attenuante della provocazione (come si e’ anticipato, riconosciuta dalla Corte territoriale); avanzavano richiesta di riapertura dell’istruttoria mediante perizia balistica e sui liquidi biologici prelevati in sede di autopsia nonche’ l’audizione del soggetto che aveva accompagnato (OMISSIS) all’abitazione dei (OMISSIS).

La Corte rigettava la richiesta relativa al rito abbreviato: le testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), alla cui escussione la richiesta di rito abbreviato era stata condizionata, erano gia’ state sentite nel corso delle indagini preliminari, cosicche’ l’atto sarebbe stato un’inutile ripetizione; le perizie richieste avrebbero potuto provocare una sospensione del giudizio superiore a sessanta giorni e non erano rilevanti.

Non sussistevano le condizioni per il riconoscimento della legittima difesa: durante tutto lo svolgimento della discussione e fino al suo epilogo finale, (OMISSIS) si era mantenuto sulla soglia della porta di ingresso perche’ validamente fronteggiato da (OMISSIS), le sue figlie e la moglie; non aveva danneggiato alcun bene della famiglia, ad eccezione dell’ombrello, ne’ era venuto alle mani con un componente della famiglia (OMISSIS), limitandosi a reclamare la consegna delle chiavi dell’autovettura di proprieta’ di (OMISSIS), in un secondo momento strappandogliele di mani; nell’alterco, egli si era proteso verso (OMISSIS) piu’ per intimorirlo che per colpirlo.

Da parte sua l’imputato aveva avuto il tempo di abbandonare momentaneamente i presenti e di recarsi alla propria camera da letto e prendere la pistola; non aveva invece avvisato i carabinieri.

In definitiva, da una parte non si applicava la presunzione di proporzionalita’ tra offesa e difesa di cui all’articolo 52 c.p., comma 2, dall’altra non sussisteva la necessita’ di contrastare un pericolo attuale e concreto; per le stesse ragioni non ricorrevano ne’ la legittima difesa putativa ne’ l’ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa.

La Corte disattendeva la versione dell’imputato di essersi munito della pistola solo per intimorire (OMISSIS) e di avere esploso il colpo accidentalmente, perche’ urtato: tutto indicava che, al contrario, lo sparo fosse stato volontario, mentre non emergeva affatto che (OMISSIS) fosse stato urtato.

La perizia balistica richiesta dalla difesa dell’imputato per verificare la sensibilita’ del grilletto della pistola era superflua; anche la perizia sui liquidi biologici repertati nel corso dell’autopsia non era necessaria per verificare le condizioni psicofisiche di (OMISSIS) al momento dell’alterco: quali che fossero le condizioni della vittima, la sua condotta, fino al momento dell’uccisione, non aveva raggiunto i requisiti della pericolosita’ grave, concreta ed attuale prevista dalla legge.

La Corte, oltre a ridurre le pena, confermava le statuizioni civili e, in particolare, la disposta provvisionale a favore delle parti civili.

2. Ricorre per cassazione il difensore di (OMISSIS) deducendo, con un primo motivo, la violazione dell’articolo 43 c.p., e articolo 52 c.p., comma 2, e il vizio di motivazione anche sotto il profilo del travisamento della prova.

Fin dalle prime dichiarazioni al Comandante della Stazione Carabinieri di (OMISSIS), (OMISSIS) aveva sostenuto di essersi munito della pistola dopo avere visto (OMISSIS) che minacciava la moglie con l’ombrello e di non avere avuto intenzione di uccidere, ma solo di intimorire (OMISSIS), riferendo che il colpo era partito solo per la pressione del grilletto, accidentalmente, non richiedendo quella pistola l’armamento del cane.

La versione era attendibile, perche’ l’arma aveva esploso un solo colpo in uno spazio ristretto, con il rischio di colpire le figlie e la moglie dell’imputato e nel momento in cui (OMISSIS), impugnando l’ombrello con la punta verso l’esterno, tentava di scagliarsi contro (OMISSIS) e la (OMISSIS).

(OMISSIS) non aveva nessun motivo per uccidere (OMISSIS), convivente della figlia e padre del nipote (OMISSIS); lo sparo era stato causato da una contrazione della mano sul grilletto.

Le sentenze di merito non avevano considerato l’uso dell’ombrello, con punta metallica, che pure era stato rinvenuto dalla polizia giudiziaria e di cui avevano riferito i testimoni: la (OMISSIS), moglie dell’imputato, aveva riferito che (OMISSIS) la voleva “infilare” con l’ombrello e, nello stesso momento, l’aggressore si era proteso verso l’imputato; in quel momento era stato esploso il colpo mortale.

Sussistevano tutti i presupposti per il riconoscimento della legittima difesa: (OMISSIS) si era introdotto nell’appartamento della famiglia (OMISSIS), non ottemperando ai ripetuti inviti a lui rivolti dall’imputato e dalla moglie di allontanarsi; contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, la vittima non era rimasta sulla soglia dell’ingresso dell’abitazione, ma era entrata nell’anticamera, come dimostravano i due ombrelli sul pavimento.

Inoltre, sussisteva un pericolo attuale per incolumità delle persone presenti, poiché (OMISSIS) brandiva un ombrello con una punta metallica, potenzialmente un mezzo letale. Inoltre (OMISSIS) aveva compiuto la rapina delle chiavi dell’autovettura di proprietà di (OMISSIS) e si era rifiutato di restituirle, cosi’ avviandosi ad impossessarsi dell’autovettura stessa; non vi era stata desistenza ed era in corso un pericolo di aggressione.

In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della scriminante putativa o dell’eccesso colposo di legittima difesa.

(OMISSIS), nel corso della giornata, aveva avuto piena conoscenza delle violenze messe in atto da (OMISSIS) nei confronti della figlia, che si era rifugiata a casa dei genitori; inoltre (OMISSIS), prima di giungere all’abitazione dell’imputato, aveva ripetutamente telefonato con ingiurie e minacce anche nei confronti dei genitori della convivente; infine il giovane aveva tenuto un atteggiamento aggressivo, anche con l’uso dell’ombrello a mo’ di arma: l’imputato nutriva, quindi, la ragionevole persuasione di un effettivo, imminente pericolo per l’incolumita’ propria e delle tre donne presenti.

Sotto un altro profilo era ragionevole pensare ad un eccesso colposo nella difesa messa in atto.

In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’ingiustificato rigetto di giudizio abbreviato condizionato e quanto al diniego da parte della Corte territoriale di rinnovazione dell’istruttoria.

Il difensore dell’imputato, a sostegno del ricorso e per ottemperare la principio di autosufficienza del ricorso, ha depositato memoria con allegati documentali.

Il ricorrente ribadisce che, al momento dello sparo, (OMISSIS) stava mettendo in atto un tentativo di rapina dell’autovettura di (OMISSIS) e stava muovendo l’ombrello con punta metallica contro la moglie dell’imputato, che aveva ragione di temere per l’incolumita’ del coniuge.

Secondo il difensore, le prove che vengono allegate dimostrano l’introduzione di (OMISSIS) nell’abitazione di (OMISSIS), contro la volonta’ di chi aveva diritto a vietarne la presenza, i pregressi maltrattamenti ai danni della convivente, la violenta sottrazione delle chiavi dell’autovettura di (OMISSIS), la legittima detenzione delle armi e delle munizioni da parte dell’imputato, il requisito dell’attualita’ del pericolo e della necessita’ di difesa.

3. Il difensore delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ha depositato memoria con cui argomenta in ordine alla manifesta infondatezza del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Benche’ proposto per ultimo, il terzo motivo di ricorso, di carattere processuale, deve essere affrontato per primo.

Il motivo e’ infondato.

1.1. La sentenza impugnata fornisce una sintetica ma adeguata motivazione in ordine alla fondatezza del rigetto da parte del G.U.P. della richiesta di rito abbreviato condizionata all’escussione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e all’esecuzione di perizia sui liquidi biologici prelevati dalla salma della vittima.

L’articolo 438 c.p.p., comma 5, prevede che il Giudice dell’udienza preliminare dispone il giudizio abbreviato se l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalita’ di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti gia’ acquisiti ed utilizzabili.

Nel caso in esame, la difesa dell’imputato chiedeva di escutere le due figlie e la moglie dell’imputato, vale a dire tutte le testimoni presenti al fatto; quindi tenuto conto della minuziosita’ delle indagini e dei rilievi compiuti dai carabinieri nonche’ dell’esito della perizia autoptica – in sostanza chiedeva di rinnovare per intero l’istruttoria sul nucleo centrale del processo.

Si aggiunga che il ricorrente non chiarisce nemmeno sotto quale profilo i verbali di sommarie informazioni delle tre testimoni fossero incompleti, nel senso di non avere toccato specifici punti della vicenda importanti per la decisione: si limita, infatti, a segnalare che le tre donne erano state escusse a sommarie informazioni subito dopo il fatto e, quindi, si trovavano in stato di agitazione e a suggerire che la loro escussione da parte del G.U.P. avrebbe “fornito elementi ben piu’ significativi”.

Questa Corte ha affermato che la richiesta di giudizio abbreviato condizionata ad un’integrazione probatoria, il cui oggetto sia la reiterazione dell’esame di una persona che ha gia’ reso dichiarazioni, deve indicare, a pena di improponibilita’, i temi da integrare e specificare i fatti e le circostanze, diversi da quelli gia’ oggetto di dichiarazioni, che necessitano di approfondimento (Sez. 1, n. 29669 del 25/03/2010 – dep. 28/07/2010, Cat Berro e altri, Rv. 248185); del resto, l’integrazione probatoria nel rito abbreviato presuppone, da un lato, l’incompletezza di un’informazione probatoria in atti, dall’altro, una prognosi di positivo completamento del materiale a disposizione per il tramite dell’attivita’ integrativa, valutazione insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente e logicamente motivata (Sez. 2, n. 5229 del 14/01/2009 – dep. 05/02/2009, Massaroni Gabrieli, Rv. 243282), cosicche’ e’ legittimo il provvedimento di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, subordinata ad una integrazione probatoria, quando detta integrazione non sia finalizzata al necessario ed oggettivo completamento degli elementi informativi in atti, insufficienti per la decisione, ma miri esclusivamente alla sostituzione del materiale gia’ raccolto ed utilizzabile, cosi’ da ottenere un vero e proprio dibattimento dinnanzi al G.U.P., in contrasto con gli obiettivi di speditezza e semplificazione perseguito dal rito alternativo (Sez. 6, n. 8738 del 29/01/2009 – dep. 26/02/2009, Sarno e altri, Rv. 243067).

Quanto alla perizia sui liquidi biologici prelevati dal corpo della vittima, la motivazione della sentenza impugnata e’ logica nel sotttolinearne l’irrilevanza, tenuto conto che, per valutare la condotta dell’imputato, occorreva aver presente non l’eventuale stato di alterazione di (OMISSIS), ma la concreta condotta da lui posta in essere nelle fasi immediatamente precedenti alla sua uccisione.

1.2. Infine, il motivo di ricorso risulta generico con riferimento alla dedotta illogicita’ della sentenza impugnata con riferimento al diniego di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello mediante espletamento di una perizia relativa alla sensibilita’ del grilletto della pistola usata per l’omicidio.

Il ricorrente parla di “sviluppi istruttori non inutili”, ma il criterio pone il criterio dell’assoluta necessita’ ai fini della decisione.

Entrambi i giudici di merito hanno ampiamente e logicamente escluso inattendibilità della versione resa dall’imputato in sede di interrogatorio di garanzia di un colpo partito accidentalmente dalla pistola, versione correlata a quella di essersi recato a prelevare la pistola carica con la esclusiva intenzione di minacciare (OMISSIS), e non di ucciderlo.

Viene evidenziato che tale minaccia non era stata affatto posta in essere, tenuto conto che nessuno dei presenti si era accorto che (OMISSIS) si era munito dell’arma e che il colpo colse tutti di sorpresa (le testimonianze delle figlie e della moglie dell’imputato sono unanimi su questo punto);

inoltre, che – dal racconto delle tre testimoni e dalla versione dello stesso imputato – non emergeva alcun urto al corpo di (OMISSIS) che potesse avergli fatto muovere il dito che teneva sul grilletto;

ancora, che il corpo dell’imputato e della vittima erano distanti almeno un metro al momento dello sparo (il dato e’ dedotto dai risultati dell’autopsia);

che nell’interrogatorio, l’imputato non aveva affatto spiegato in quale contesto il colpo fosse partito accidentalmente;

che l’imputato e’ persona esperta delle armi; che, infine il colpo era stato preciso, diretto ad una parte del corpo sede di organi vitali ed esploso senza porre in pericolo le persone delle tre congiunte presenti nell’ingresso dell’abitazione.

2. Il primo motivo di ricorso e’ fondato.

In effetti, la ricostruzione della precisa dinamica dei fatti, ai fini della valutazione della sussistenza della scriminante della legittima difesa ai sensi dell’articolo 52 c.p., comma 2, non appare accurata ne’ convincente e fa intravedere travisamenti della prova.

2.1. In primo luogo, non si puo’ non rilevare che la Corte territoriale esclude in radice la possibilita’ di applicazione della legittima difesa “domiciliare” con l’affermazione che “durante tutto lo svolgimento della discussione, fino al suo epilogo fatale, (OMISSIS) si mantenne sulla soglia della porta di ingresso perche’ validamente fronteggiato da (OMISSIS), dalle sue figlie e da sua moglie”: di conseguenza, l’omicidio non sarebbe avvenuto “nei casi previsti dall’articolo 614 c.p., commi 1 e 2”, e “nei luoghi ivi indicati”.

Sul punto, la sentenza impugnata smentisce quella di primo grado che, al contrario, con ampia motivazione – del tutto tralasciata dal giudice di appello giungeva alla conclusione secondo cui “ricorre sicuramente il presupposto della violazione di domicilio da parte del (OMISSIS)”, sulla base della posizione del corpo rinvenuto dalla polizia giudiziaria e dal medico legale (che era stato accertato non essere stato spostato) e delle testimonianze delle figlie e della moglie dell’imputato (pag. 31 sentenza di primo grado).

Il ricorrente, con la documentazione e la documentazione prodotta, non fa che evidenziare il travisamento del dato da parte della Corte territoriale.

2.2. Si deve aggiungere, per di piu’, un ulteriore dato: anche gli spazi condominiali rientrano nelle “appartenenze” dell’abitazione, ai sensi dell’articolo 614 c.p., comma 1.

Questa Corte, non a caso, ha affermato, in tema di violazione di domicilio, che rientra nella nozione di “appartenenza” di privata dimora il pianerottolo condominiale antistante la porta di un’abitazione, ritenendo, quindi, consumato e non solo tentato il reato da parte di chi si introduca, invito domino, all’interno di un edificio condominiale sul pianerottolo e avanti alla soglia dell’abitazione di uno dei condomini, avente, come gli altri, diritto di escludere l’intruso (Sez. 5, n. 12751 del 20/10/1998 – dep. 03/12/1998, Palmieri, Rv. 213418); in precedenza era stato ritenuto che anche l’androne di uno stabile integra il concetto di appartenenza, ad esso si estendendosi la tutela prevista dalla legge per la violazione di domicilio (Sez. 2, n. 6962 del 20/03/1987 – dep. 27/05/1987, Marocchi, Rv. 176081); una piu’ risalente sentenza aveva specificamente ritenuto sussistente il reato di chi si introduce o si trattiene sulla soglia dell’abitazione altrui, contro la volontà di chi abbia il diritto di escluderlo (Sez. 5, n. 1067 del 10/12/1981 – dep. 04/02/1982, De Sena, Rv. 151989).

Dalla sentenza di primo grado, del resto, emerge che (OMISSIS) si era introdotto nell’edificio condominiale contro la esplicita volonta’ di (OMISSIS): la teste (pag. 19 sentenza di primo grado) aveva infatti risposto al citofono, al compagno che le diceva che “sarebbe venuto su (cioe’ al terzo piano, dove si trova l’appartamento) e avrebbe fatto confusione”, di non salire, perche’ lei sarebbe scesa per parlare con lui; ma (OMISSIS) era ugualmente entrato e aveva preso l’ascensore salendo al terzo piano, sorprendendo la giovane proprio mentre stava per prendere l’ascensore per scendere al piano terreno.

Che, poi l’imputato e i suoi familiari avessero ripetutamente chiesto a (OMISSIS) di allontanarsi dall’abitazione risulta dalle testimonianze prodotte; la sentenza impugnata, in un passaggio equivoco, sottolinea che ” (OMISSIS) aveva dimestichezza sia con i familiari della ragazza sia con la loro abitazione nella quale, fino a quel momento, era stato ammesso”, aggiungendo subito dopo che, in quell’occasione, era rimasto sulla soglia dell’appartamento “perche’ validamente fronteggiato da (OMISSIS), dalle sue figlie e da sua moglie”, in sostanza rappresentando quello di (OMISSIS) come di un tentativo di entrare nell’appartamento, per di piu’ compiuto in buona fede (perche’ in occasioni precedenti vi era entrato): ma le testimonianze, riportate nella sentenza di primo grado e nella documentazione prodotta dal ricorrente, riferiscono un evento differente, cioe’ di un ingresso di (OMISSIS) nell’appartamento cui era seguito un reiterato e inutile invito (che la (OMISSIS) aveva addirittura accompagnato usando l’ombrello) da parte di tutti i (OMISSIS) ad allontanarsi.

2.3. La sentenza impugnata non affronta adeguatamente nemmeno la questione del furto (o rapina) delle chiavi dell’autovettura di proprieta’ di (OMISSIS).

In effetti, il provvedimento da’ atto che “la vittima… si era limitata a reclamare, con arroganza, la consegna delle chiavi dell’autovettura intestata a (OMISSIS) ( (OMISSIS)), strappandogliele di mano dopo che questa si era rifiutata”, ma non valuta tale condotta dal punto di vista giuridico, vale a dire per verificare se ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 52 c.p., comma 2, lettera b), se cioe’ vi fosse necessita’ di difendere beni altrui, quando non vi e’ desistenza e vi e’ pericolo di aggressione.

Cio’ e’ comprensibile, in quanto la Corte territoriale aveva escluso in radice la violazione del domicilio, come si e’ detto: dall’esposizione della sentenza di primo grado, comunque, risulta con certezza che l’autovettura era di proprietà di (OMISSIS) e che l’obiettivo di (OMISSIS) nel giungere in piena notte a casa dei genitori della compagna (oltre a quello di fare “confusione”) era proprio l’impossessamento dell’autovettura, come aveva dimostrato con le parole e con la condotta.

Un elemento secondario (l’esito dell’ispezione nell’abitazione della vittima da parte dei Carabinieri) sembrava infatti dimostrare che (OMISSIS) considerasse chiusa la relazione con (OMISSIS), tanto che aveva messo tutti i vestiti e gli oggetti di proprietà della compagna in sacchi per rifiuti riposti fuori dall’appartamento; cosicché non e’ emerso che (OMISSIS) fosse giunto in piena notte per riallacciare i rapporti con la giovane.

L’impossessamento con violenza delle chiavi e il rifiuto di restituirle erano ovviamente finalizzati a sottrarre il veicolo.

Non si coglie la rilevanza dell’osservazione presente in sentenza secondo cui “non consta che, durante lo svolgimento dell’alterco, il (OMISSIS) danneggiasse i beni dell’imputato, ad eccezione dell’ombrello” (pag. 5), tenuto conto che la norma sopra richiamata si riferisce anche alla difesa di beni altrui: quindi anche dell’autovettura di proprieta’ della figlia.

2.4. Occorre ora affrontare il tema della “difesa della propria o altrui incolumita’” e al “pericolo di aggressione”.

La sentenza ammette “la possibilita’ di una degenerazione della condotta prepotente e rabbiosa del (OMISSIS)”, ma esclude l’attualita’ del pericolo e la necessita’ della reazione, osservando che “il (OMISSIS), per tutta la durata, non breve, dell’alterco, aveva avuto la possibilita’ di sollecitare, telefonicamente i Carabinieri, al contrario ha preferito abbandonare momentaneamente i presenti, recarsi nella propria camera da letto, scegliere tra la pistola Glock e la pistola Armenius quella piu’ appropriata alla circostanza, ritornare all’ingresso della sua abitazione e sparare”; di conseguenza, “la condotta dell’imputato (…) e’ censurabile (…) sotto (il profilo) dell’assenza della necessita’ di contrastare un pericolo concreto ed attuale”.

Anche in questo caso, si nota una ricostruzione assolutamente sintetica della condotta dell’imputato che contrasta decisamente con quanto in dettaglio ripercorso nella sentenza di primo grado, senza smentirla espressamente, e che pare “cancellare” alcuni aspetti della vicenda.

Secondo la Corte territoriale, mentre le altre persone presenti litigavano, l’imputato si sarebbe sostanzialmente disinteressato di quanto avveniva e avrebbe deciso (prima ancora di allontanarsi dall’ingresso dell’appartamento per recarsi nella stanza) di uccidere (OMISSIS) (o quanto meno di sparargli): avrebbe infatti scelto l’arma “più adatta” (espressione che la sentenza non spiega, non confrontando le prestazioni delle due pistole detenute legalmente dall’imputato) e, appena tornato nell’ingresso, avrebbe sparato.

Come si e’ detto, tale ricostruzione elide condotte che la sentenza di primo grado riteneva sussistenti: la sentenza, infatti, si limita ad osservare che “non consta nemmeno che (OMISSIS) fosse venuto alle mani con alcuno del nucleo familiare dell’imputato o con il (OMISSIS) medesimo”, ma dalle testimonianze emergeva che la vittima aveva spinto violentemente la ex convivente dentro l’appartamento, aveva dato (o tentato di dare) una o piu’ testate proprio contro (OMISSIS), tanto che la (OMISSIS) aveva tentato di separarli e, infine, aveva minacciato sia (OMISSIS) che la (OMISSIS) con l’ombrello che, in un primo momento, la donna aveva cercato di usare per allontanarlo dall’abitazione.

Non si vuole affermare che sicuramente tali condotte erano state poste in essere e avevano determinato – o almeno influenzato – (OMISSIS) a sparare; si vuole solo sottolineare che la Corte territoriale, evitando l’analisi minuziosa ed attenta svolta dalla Corte di primo grado (pagg. 15 – 26 sentenza di primo grado), ne’ espressamente confermandone o smentendone le conclusioni, ha fornito una motivazione nettamente insufficiente che legittima le censure del ricorrente e rende quanto meno verosimile un travisamento del dato probatorio complessivo proprio con riferimento al ruolo e alla condotta dell’imputato e al motivo per cui egli, ad un certo momento della lite, aveva sparato.

La Corte territoriale non poteva evitare di rispondere al quesito decisivo: (OMISSIS) aveva sparato perche’ (OMISSIS), dopo avere urlato, insultato e minacciato i presenti, stava puntando l’ombrello con la punta metallica contro di lui e/o contro la moglie-

2.5. L’argomentazione surriportata presenta anche una debolezza logica.

A parte il fatto che la sentenza non chiarisce quale sia il dato processuale che indichi che la lite nell’ingresso del suo appartamento aveva gia’ avuto una “durata non breve”, il riferimento alla possibilita’ di telefonare ai Carabinieri sembra sovrapporsi ad un dato non esaminato: quello dell’impossibilita’ di un commodus discessus per l’imputato e la sua famiglia.

In effetti, (OMISSIS) era entrato abusivamente nell’immobile e nell’appartamento, minacciava ed insultava i presenti, aveva strappato di mano a (OMISSIS) le chiavi dell’autovettura, esercitava in qualche modo una violenza e, contestualmente, rifiutava di allontanarsi dall’abitazione, nonostante i ripetuti inviti.

Il Giudice del merito avrebbe dovuto, quindi, chiedersi in che modo (OMISSIS) avrebbe potuto sostituire la condotta con altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del diritto. In effetti, non sussiste il requisito della necessita’ della reazione armata tutte le volte in cui l’aggredito possa, senza alcuna difficolta’, rifugiarsi nella propria abitazione (dalla quale invocare soccorso) o comunque allontanarsi dal luogo della aggressione armata (Sez. 1, n. 4890 del 10/12/2008 – dep. 04/02/2009, P.G. in proc. Bazzu, Rv. 243369); ma, appunto, la situazione appariva opposta.

La valutazione della possibilita’ di una reazione diversa, o di un commodus discessus, deve essere apprezzata ex ante. La necessita’ di un piu’ approfondito esame della fattispecie concreta venne rilevata da questa Corte in una fattispecie simile alla presente, di un soggetto ricacciato nella propria abitazione dal suo dirimpettaio e ivi colpito insieme alla figlia con un bastone, non avendo il giudice del merito spiegato adeguatamente in che modo la dinamica degli eventi e la loro progressione concreta consentissero o meno all’imputato, che a quel punto dell’aggressione si era procurato un coltello con il quale aveva ferito il vicino di casa, di porre in essere senza pericolo per se’ e per la figlia, una iniziativa qualificabile come commodus discessus (Sez. 5, n. 25653 del 14/05/2008 – dep. 24/06/2008, Diop e altro, Rv. 240447).

In effetti, il riferimento alla possibile telefonata ai Carabinieri – senza dubbio esatto, ben avendo potuto (OMISSIS) chiamarli – sembra soffrire di astrattezza: la necessita’ della reazione deve essere valutata nel momento dell’aggressione; quindi, di per se’, il dato (come si e’ detto, di origine incerta) che il litigio nell’ingresso dell’abitazione durasse da un po’ di tempo non costituiva, di per se’, garanzia che, nel tempo in cui i carabinieri potevano intervenire, non vi sarebbe stata aggressione fisica (come – secondo la difesa del ricorrente e le testimonianze riprodotte nella sentenza di primo grado – invece vi fu).

2.6. Le considerazioni fin qui espresse impongono l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Benche’ la motivazione fin qui esposta abbia inevitabilmente affrontato il merito della vicenda, cio’ e’ stato fatto esclusivamente per segnalare l’evidente vizio motivazionale, anche sotto il profilo del travisamento delle prove, ricavabile dal confronto con la ricostruzione operata dal giudice di primo grado e dalla documentazione processuale prodotta a sostegno del ricorso.

L’unica indicazione vincolante in linea di diritto e’ la qualificazione degli spazi condominiali (e, quindi, del pianerottolo antistante l’appartamento), come facenti parte dei luoghi indicati dall’articolo 614 c.p., comma 1, cio’ rendendo irrilevante – ai fini dell’astratta applicazione della legittima difesa “domiciliare” il dato discusso se (OMISSIS) si fosse o meno fermato “sulla soglia” o fosse entrato nell’ingresso dell’appartamento.

Il giudice del rinvio, pertanto, riesaminera’ liberamente, ma approfonditamente, la vicenda in concreto al fine di pervenire ad una decisione relativa all’applicabilita’ della scriminante adeguatamente motivata.

3. Anche il secondo motivo di ricorso e’ fondato limitatamente alla questione della scriminante “putativa”.

In effetti, l’ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa non sembra avere spazio nel caso di specie in cui la legittima difesa – se sussistente – fu “domiciliare” ai sensi dell’articolo 52 c.p., comma 2: poiche’ la norma stabilisce preventivamente la sussistenza della proporzione tra l’aggressione e la difesa, non vi puo’ essere eccesso colposo ai sensi dell’articolo 55 c.p..

Con riferimento alla circostanza erroneamente supposta, si colgono due passaggi apparentemente illogici della motivazione della sentenza.

In primo luogo la (fin troppo sintetica, come si e’ visto) narrazione del fatto riferisce (pag. 5) che (OMISSIS) “si era proteso, in due diversi momenti, verso il (OMISSIS), piu’ per intimorirlo che per colpirlo”.

Si e’ gia’ visto che le testimoni sembrano non concordare su questa ricostruzione; in realta’, non viene indicato alcun elemento sulla base del quale la Corte territoriale ha individuato l’effettiva intenzione di (OMISSIS) di soltanto intimidire, e non colpire, il padre della compagna.

A prescindere da tali considerazioni, nell’ottica della scriminante putativa il giudice del merito avrebbe dovuto chiedersi in che modo (OMISSIS) avrebbe potuto comprendere, quando (OMISSIS) aveva apparentemente tentato di colpirlo con una testata, che si trattava di un atto esclusivamente intimidatorio e che egli non correva il rischio di essere colpito.

La motivazione con cui la Corte territoriale ha concesso l’attenuante della provocazione negata dal Giudice di primo grado (pag. 6 sentenza di appello), inoltre, non puo’ non rilevare in una nuova analisi in concreto della sussistenza della scriminante putativa.

Si legge, infatti, che l’imputato (che gia’ aveva visto sua figlia ritornare piu’ volte a casa dei genitori e, quindi, sapeva che la relazione con (OMISSIS) non stava procedendo felicemente) aveva appreso che la figlia era “in fuga dal proprio compagno”, che ” (OMISSIS) la picchiava, che aveva devastato la casa nella quale vivevano insieme e che tale situazione durava ormai da un anno”; nelle ore successive (OMISSIS) aveva “certamente assistito all’agitazione e al malessere della figlia, tempestata, dal (OMISSIS), di telefonate minacciose e ingiuriose”; infine, “quando il predetto era giunto a casa sua, urlando e minacciando”, si era mostrato “sordo ad ogni invito alla calma”.

Dalla sentenza di primo grado si evince che le minacce erano rivolte anche contro i genitori della compagna.

Esatta o meno questa rappresentazione di (OMISSIS) ( (OMISSIS) aveva confermato agli inquirenti la sua condotta violenta e l’ispezione dell’abitazione del defunto aveva mostrato una furia incontrollata dell’uomo), il Giudice del merito non poteva non chiedersi se la violenza esercitata prima con le testate verso l’imputato e poi agitando l’ombrello con il puntale metallico verso di lui e la moglie avessero fatto ritenere (erroneamente o meno) a (OMISSIS) che sussistesse un effettivo pericolo per incolumità sua, del coniuge o delle figlie, tanto da essere costretto a difendere da un pericolo attuale.

Anche questa valutazione e’ stata omessa dalla Corte territoriale e dovrà essere effettuata dal giudice del rinvio, la cui decisione sara’ supportata da adeguata motivazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Roma.