L’elemento della riconoscibilità del voto deve essere valutato caso per caso, al fine di stabilire se l’anomalia del voto possa giustificarsi (Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza 5 marzo 2018, n. 1327).

(Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza 5 marzo 2018, n. 1327)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza

con l’intervento dei magistrati:

Dott. Marco Lipari – Presidente

Dott. Giulio Veltri – Consigliere, Estensore

Dott. Pierfrancesco Ungari – Consigliere

Dott. Giovanni Pescatore – Consigliere

Dott.ssa Giulia Ferrari – Consigliere

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7653 del 2017, proposto dai sigg.ri Vi. Em. De. Si., ed altri, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Al. Gu., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. (Studio Ni.) in Roma, via (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Or. Mo., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

Br. An. De. Lu., Ka. Pe., rappresentati e difesi dall’avvocato Fo. Fr. Mi., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

Pi. Gi., ed altri, non costituiti in giudizio;

per la riforma della sentenza del T.A.R. CALABRIA, sede di CATANZARO, SEZIONE I, n. 1602/2017, resa tra le parti, concernente le operazioni elettorali per il rinnovo del Sindaco e del Consiglio comunale di (omissis), tenutesi l’11 gennaio 2017.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e dei sigg.ri Br. An. De. Lu. e di Ka. Pe.;

Visto il ricorso incidentale condizionato proposto da De. Lu. Br. An. e Pe. Ka.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2018 il Cons. Dott. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Al. Gu., Or. Mo. e Fo. Fr. Mi.;

Considerato nel fatto

1. Con ricorso al Tar Calabria, sede di Catanzaro, i ricorrenti hanno chiesto: – l’annullamento dei verbali e delle operazioni dell’Adunanza dei Presidenti delle Sezioni con cui sono stati proclamati eletti il Sindaco e i Consiglieri del Comune di (omissis); – e, per l’effetto, la correzione del risultato elettorale ovvero, in subordine, il rinnovo delle operazioni di voto e di scrutinio.

1.1. In particolare, i ricorrenti hanno lamentato la violazione dei principi di segretezza, di libertà e di veridicità del voto, nonché dei principi in materia di trasparenza e correttezza delle operazioni elettorali, sul presupposto che:

– numerose schede (in tutto 45) sarebbero state attribuite al candidato consigliere della lista avversa “Fe. Gi. Da.”, nonostante che contenessero la sola indicazione del nome di battesimo, o il cognome seguito da “punto”, ovvero il nome seguito da “punto” e poi il cognome del candidato, ecc.;

– n. 6 schede sarebbero state attribuite al candidato consigliere “Mu. An. An.”, nonostante la presenza di “trattini”, “punti” e “linee varie”;

– n. 1 scheda sarebbe stata attribuita alla candidata “Ib. Er. Is.” pur essendovi indicato il solo nome di battesimo;

– n. 1 scheda sarebbe stata attribuita alla candidata “Pe. Ka.”, nonostante che la preferenza fosse stata scritta tutta in maiuscolo;

– in n. 4 schede la preferenza sarebbe stata posta al di fuori del rettangolo;

– n. 1 scheda sarebbe stata attribuita al candidato “Fe. Gi. Da.” nonostante che fossero stati sbarrati entrambi i simboli delle liste in competizione;

– in alcune schede il nome del candidato non sarebbe chiaro e sarebbe stato calcato con lo “stampino”;

– in alcune sezioni: lo scrutatore non sarebbe stato sorteggiato, le schede sarebbero state consegnate “chiuse”, e le schede votate sarebbero state estratte ed aperte dal segretario di seggio in luogo dello scrutatore;

– il numero delle schede avanzate autenticate nella Sezione I non corrisponderebbe a quello indicato nel verbale delle operazioni e, nelle Sezioni I e III, i verbali recherebbero errori di conteggio;

– alcuni elettori (Sa. Lu., Ro. Gi., Er. Eu. e altri non meglio identificati) avrebbero espresso il proprio voto pur non essendovi traccia nel pertinente registro di sezione.

2. Il TAR adito ha respinto il ricorso principale, quindi ha dichiarato improcedibile il ricorso incidentale condizionato, e ha compensato le spese di lite.

2.1. Nel merito, il giudice di primo grado ha osservato che “l’indicazione del nome e l’apposizione dell’iniziale del nome con un puntino non costituisce una modalità illegittima o non consentita di manifestazione delle proprie preferenze” e che “una tale modalità di espressione del diritto di voto appare in realtà inidonea a fornire adeguati elementi, anche in via indiziaria, per ritenere esistente una lesione del principio di segretezza”.

2.2. Sempre ad avviso del Tar, “alle medesime conclusioni deve pervenirsi anche con riferimento alle manifestazioni di voto indicate da parte ricorrente come effettuate con lo stampino, in osservanza dell’esigenza di garantire una tutela all’elettore e di attribuire validità a tutti i voti per i quali si può desumere la volontà dell’elettore. Nello stesso senso, per quanto riguarda l’aver sbarrato 2 simboli scrivendo il cognome di Federico deve ritenersi che l’elettore benchè incerto sulla lista di appartenenza del candidato abbia chiaramente espresso la sua preferenza per il citato candidato”.

Analogamente, “con riferimento all’indicazione del solo nome, posto che l’orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa è nel senso di consentire anche l’attribuzione del voto in caso di utilizzo del soprannome, purché tale utilizzo consenta di identificare il soggetto di riferimento”.

2.3. Ancora, secondo la ricostruzione della sentenza di primo grado, “l’esigenza di garantire l’attribuzione del voto e la possibilità di esprimere lo stesso comporta ugualmente il rigetto del motivo di impugnazione relativo al mancato sbarramento del simbolo all’interno del rettangolo ma solo fuori da esso”.

2.4. Quanto alla mancata estrazione dello scrutatore, il Tar ha rilevato che essa, “ferma la mancata indicazione della specifica norma violata, costituisce una mera irregolarità inidonea a incidere sul risultato elettorale”.

2.5. In ordine alla mancata registrazione del voto espresso da alcuni elettori, il giudice di primo grado ha chiarito che “l’errore di trascrizione commesso nel registro è inidoneo a incidere sulla validità del voto espresso da cittadini dei quali non si contesta la qualità di elettori, trattandosi di mero errore materiale contenuto nel registro stesso”.

2.6. Infine, in relazione all’errore contenuto nel verbale in cui è indicato il numero di schede autenticate avanzate, il TAR ha ritenuto “che lo stesso consista in un mero errore materiale di trascrizione”, e che “ugualmente il mero errore nel conteggio è inidoneo a incidere sulla validità del voto e delle elezioni, così come le correzioni materiali che hanno interessato la conclusione del procedimento elettorale”.

3. Avverso la predetta sentenza le parti soccombenti hanno proposto appello.

3.1. Nello specifico, gli appellanti argomentano che il TAR avrebbe errato nell’ignorare che il vizio attinente alle modalità di espressione della preferenza in favore del candidato “Fe. Gi. Da.” (solo nome di battesimo, o cognome seguito da “punto” oppure nome seguito da “punto” e poi cognome) ricorrerebbe in ben n. 45 schede, e sarebbe quindi il frutto di un’operazione sistematica.

A riprova dell’asserita strategia “complessiva”, i ricorrenti in appello richiamano le indagini aperte sulle operazioni elettorali dalla Procura della Repubblica di Castrovillari. Sul punto gli appellanti chiedono, altresì, che sia disposta la verificazione delle schede elettorali.

3.2. Inoltre, il giudice di primo grado avrebbe sottovalutato la mancata trascrizione nei registri elettorali del voto espresso da alcuni elettori in quanto essa, lungi dal rappresentare una mera irregolarità, costituirebbe un vizio sostanziale. Il difetto, infatti, farebbe emergere una incoerenza fra il numero dei votanti indicato nei registri e quello effettivo, ragion per cui sarebbe altresì opportuno acquisire l’elenco di quanti hanno votato nonché le tabelle di scrutinio delle sei Sezioni.

3.3. Gli appellanti, infine, reiterano le censure di primo grado e insistono affinché il Collegio disponga la verificazione.

4. Nel giudizio si sono costituiti il Comune di (omissis), nonché De. Lu. Br. An. e Pe. Ka., entrambi consiglieri comunali eletti nella lista vincente.

4.1. La parte resistente e i controinteressati hanno replicato a tutti i motivi di censura, difendendo le statuizioni di prime cure ed insistendo per la reiezione del gravame.

4.2. Il Comune di (omissis) ha, altresì, eccepito l’inammissibilità dell’appello per genericità e incertezza del petitum, per omessa indicazione dei motivi specifici di ricorso nonché per difetto di interesse dovuto al mancato superamento della prova di resistenza.

4.3. Inoltre, i controinteressati De Luca e Pellegrino hanno proposto appello incidentale condizionato all’accoglimento di quello principale, censurando il capo della sentenza che ha dichiarato improcedibile il ricorso incidentale di primo grado.

5. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza dell’1 febbraio 2018.

Considerato in diritto

1. Occorre preliminarmente esaminare le eccezioni di inammissibilità dell’appello formulate dall’Amministrazione resistente.

1.1. Quanto alla presunta genericità ed incertezza del petitum nonché all’omessa indicazione dei motivi specifici di appello, il Collegio ritiene che negli atti di causa, complessivamente considerati, sia possibile individuare petitum e causa petendi dell’originaria azione, nonché le specifiche censure a supporto dell’appello, le quali dovrebbero condurre, ove accolte, alla correzione del risultato elettorale, ovvero, in subordine, alla riedizione delle operazioni di voto.

1.2. Né si può sostenere, come invece fa l’Amministrazione, che l’appello non supererebbe la prova di resistenza in quanto “il divario fra le due liste è di n. 24 voti e le censure relative alle 6 sezioni sono totalmente infondate”. Infatti, è sin troppo evidente che non è l’infondatezza delle censure a comportare l’inammissibilità per difetto di interesse. Il giudizio sulla sussistenza di tale condizione generale dell’azione, che precede logicamente quello di fondatezza, implica che il giudice valuti se il ricorrente possa effettivamente conseguire un’utilità o un vantaggio, tutelati dall’ordinamento giuridico, nell’ipotesi in cui le relative censure siano accolte. Considerato che, nel caso che occupa, gli appellanti contestano la validità di un numero di schede ben superiore a quello di scarto fra le due liste, l’interesse è sicuramente sussistente.

2. Nel merito, l’appello è infondato per le ragioni che seguono.

3. Giova, anzitutto, premettere che, in base alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, dalla quale non v’è motivo di discostarsi, l’elemento della riconoscibilità “deve essere valutato caso per caso, al fine di stabilire se l’anomalia del voto possa giustificarsi ragionevolmente con cause diverse da quella della volontà di far identificare il consenso attribuito alla lista o al candidato (cfr. in ultimo, Cons. Stato, V, n. 142/2016), di modo che possono essere ritenuti segni di riconoscimento solo quelli eccedenti il modo normale di esprimere la volontà elettorale, e dunque una particolare anomalia nella compilazione della scheda che non si possa qualificare quale segno superfluo o incertezza grafica, ovvero non sia spiegabile con difficoltà di movimento o di vista dell’elettore, occorse nell’indicare un determinato simbolo, nell’apporre il croce segno o nell’indicare il nominativo del candidato suffragato…..” (Cons. Stato, Sez. III, 27 ottobre 2016, n. 4523).

E’ stato, altresì, chiarito che “l’attuale disciplina in materia elettorale è ispirata al principio generale del favore per la validità del voto, nel senso che il suffragio deve essere considerato valido “ogni qualvolta se ne possa desumere la volontà effettiva dell’elettore”, dovendo salvaguardarsi la volontà del cittadino elettore ogni qualvolta le anomalie contenute nella scheda possano trovare ragionevoli spiegazioni nelle modalità con cui l’elettore ha espresso il voto, tenendo conto dell’esigenza di assicurare valore alle scelte effettuate anche da coloro che non siano in grado di apprendere appieno e di osservare alla lettera le istruzioni per l’espressione del voto: le ipotesi di nullità del voto sono configurabili come eccezione al principio della sua salvaguardia e devono essere circoscritte agli specifici casi in cui segni, scritture o errori siano tali da essere intesi in modo inoppugnabile e univoco come volontà dell’elettore di far riconoscere il proprio suffragio ovvero da non trovare alcuna ragionevole spiegazione (Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2009, n. 7241; 18 novembre 2011, n. 6070; 9 luglio 2012, n. 3992; 7 gennaio 2013, n. 12; 29 novembre 2013, n. 5720)” (Cons. Stato, Sez. V, 7 luglio 2015, n. 3368).

4. Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso che occupa emerge, anzitutto, l’inconsistenza delle doglianze concernenti le schede attribuite al candidato “Fe. Gi. Da.”.

4.1. Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, il fatto che il voto sia stato espresso mediante la sola indicazione del nome di battesimo, o il cognome seguito da “punto”, ovvero il nome seguito da “punto” e poi il cognome del candidato, non ha alcuna attitudine probatoria circa la riconoscibilità delle schede.

Già in generale non può seriamente sostenersi che vi sia alcunché di così anomalo nell’esprimere la preferenza elettorale con le surriferite modalità, tale da inferirne la inequivoca volontà dell’elettore di farsi riconoscere.

Vieppiù nel caso di specie, sol che si consideri che, notoriamente, “Federico”, “Giuseppe” e “Davide” rappresentano ciascuno nomi di battesimo molto diffusi. Di talché, è del tutto ragionevole che alcuni elettori possano aver ignorato o confuso quale fosse il cognome e il prenome del candidato “Fe. Gi. Da.”.

Semmai, l’indicazione del solo prenome avrebbe potuto porre un problema di attribuibilità della preferenza al candidato consigliere, specie in presenza di più candidati con il medesimo nome di battesimo, questione che qui non si pone.

4.2. Né ha alcun pregio sostenere che non si tratterebbe di casi isolati, ma di ben n. 45 schede, quindi di vizi ripetuti asseritamente connessi ad un’operazione sistematica volta a sovvertire il legittimo dispiegamento delle operazioni di rinnovo degli organi democratici e sulla cui rilevanza penale starebbe indagando la Procura della Repubblica.

Infatti, a fronte di una determinata modalità di espressione del voto, che di per sé, per i motivi di cui sopra, non può essere ritenuta in contrasto con il principio di segretezza, la reiterazione è circostanza neutra o che, semmai, come rilevato nella difesa del Comune di (omissis) (pag. 5), sembra indicativa dell’ordinarietà della modalità di manifestazione del voto e, quindi, confermativa della mancanza di volontà dell’elettore di farsi riconoscere.

In ogni modo, il fatto che vi sarebbero indagini in corso per voto di scambio non può sortire alcun effetto probatorio in ordine alla illegittimità delle schede per asserita riconoscibilità.

4.3. L’infondatezza in diritto dell’indicato tema di indagine, giustifica la decisione del giudice di prime cure di non disporre verificazione alcuna sul punto. L’analisi è stata condotta, e la correlata conclusione raggiunta, dando per pacifico il fatto, nelle dimensioni e nelle modalità indicate dal ricorrente, sicché l’eventuale conforto probatorio derivante dalla verificazione sul piano fattuale, nulla avrebbe potuto immutare sul piano giuridico e della decisione finale, esclusivamente rimessa al giudicante.

4.4. Le conclusioni sin qui raggiunte, stemperano la carica invalidante delle ulteriori censure, poiché è evidente che per esse, autonomamente considerate, la prova di resistenza non può certo dirsi superata.

4.4. In ogni caso, ragioni analoghe a quelle sopra considerate depongono per il rigetto delle censure relative alla riconoscibilità delle schede con cui: – un elettore avrebbe espresso la propria preferenza in favore della candidata “Ib. Er. Is.” mediante indicazione del solo nome di battesimo; – un elettore avrebbe votato la candidata “Pe. Ka.” scrivendo tutto in maiuscolo, contegno notoriamente tipico fra chi ritiene di non possedere una buona grafia e teme che il proprio scritto risulti illeggibile e che, comunque, non è giuridicamente vietato, atteso che nessuna norma impone una specifica modalità di scrittura della preferenza (Cons. Stato, Sez. V, 28 settembre 2005, n. 5187).

Si tratta, giova ribadirlo, di modalità che, dal punto di vista oggettivo, non possono essere ritenute anomale o sovrabbondanti rispetto alla volontà del cittadino di esercitare il diritto, costituzionalmente garantito, di voto.

5. Il Collegio parimenti ritiene che siano destituite di fondamento le censure relative alle n. 6 schede attribuite al candidato consigliere “Mu. An. An.”, nonostante la presenza di “trattini”, “punti” e “linee varie”.

Si tratta di incertezze grafiche che, anche in virtù dei principi richiamati al precedente paragrafo 3 e, in particolare, quello di salvaguardia della volontà espressa dell’elettore, non possono essere ritenute quale inoppugnabile e univoca manifestazione dell’intenzione dell’elettore di farsi riconoscere (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 18 novembre 2011, n. 6070, secondo cui “l’apposizione di…. tre puntini non può costituire segno di riconoscimento dal momento che all’evidenza consiste in una incertezza grafica suscettibile di spiegazione diversa dalla intenzione incontrovertibile di apposizione di un segno di riconoscimento e non invalida di per sé il voto espresso, essendo tipica espressione di incertezza su quanto si intenda scrivere il ticchettio della matita sul foglio bianco”; Cons. Stato, Sez. V, 15 settembre 2010, n. 6788, dove si legge che “il segno di matita con cui l’elettore ha espresso il voto oltrepassando il rettangolo fino al limite della scheda può essere, in effetti, addebitato a distrazione o – aggiunge il Collegio- a particolare forza casualmente impressa alla matita.

Il Collegio ritiene che la lunghezza del tratto non dimostri in maniera inoppugnabile, così come richiesto dall’art. 64 d.P.R. n. 570/1960, la volontà dell’elettore di rendere riconoscibile il proprio voto”).

6. Sempre il richiamato principio di salvaguardia, quindi l’esigenza di garantire una tutela all’elettore e di attribuire validità a tutti i voti per i quali si può desumere la volontà del cittadino, comporta l’infondatezza delle censure relative:

i) all’uso dello stampino per calcare il nome del candidato;

ii) al mancato sbarramento del simbolo all’interno del rettangolo, ma solo fuori da esso;

iii) all’avere sbarrato 2 simboli scrivendo il cognome del candidato “Fe. Gi. Da.”.

In relazione a quest’ultimo profilo – alla luce delle peculiarità del sistema elettorale vigente per i comuni sotto i 15.000 abitanti, che non consente il voto disgiunto – dinanzi ad un voto equivoco per la lista, deve ritenersi assorbente la volontà espressa a favore del candidato a consigliere.

7. Si può dunque passare all’esame delle doglianze concernenti la correttezza delle operazioni elettorali.

7.1. Gli appellanti incentrano le rispettive censure soprattutto sulla circostanza che i verbali di sezione non recherebbero menzione dell’esercizio del diritto di voto da parte di Sa. Lu., Ro. Gi., Er. Eu. ed altri elettori non meglio identificati.

Richiamano, inoltre, le doglianze già proposte in primo grado in ordine ad alcuni errori di conteggio contenuti nei verbali, alla mancata estrazione di alcuni scrutatori, al fatto che alcune schede sarebbero state consegnate “chiuse”, nonché al fatto che alcune schede sarebbero state estratte ed aperte dal segretario di seggio in luogo dello scrutatore.

7.2. Il Collegio ritiene che le censure non meritino accoglimento.

Come condivisibilmente statuito dal Tar, la circostanza che il voto di alcuni elettori, di cui peraltro gli appellanti non hanno indicato il numero complessivo, non sia stato riportato nei verbali rappresenta un mero errore di trascrizione, che non inficia il dato elettorale. Infatti, ciò che più conta, ai fini della formazione del risultato delle elezioni, è il numero (ed il contenuto) delle schede estratte dalle urne e non il numero dei votanti riportato nei verbali di ciascuna sezione.

Inoltre, giova evidenziare, le censure di carattere procedimentale tese a invalidare l’intera consultazione elettorale, devono prospettare ed esplicitare chiaramente i motivi per il quali la singola illegittimità sia idonea, con ragionevole verosimiglianza, a ripercuotersi sull’intero procedimento.

Nel caso di specie, l’appellante non specifica quali siano le conseguenze fattuali e giuridiche del voto espresso da elettori, pacificamente aventi diritto al voto, ma il cui adempimento non sia stato annotato nei registri.

Parimenti ininfluenti sono le altre circostanze. A parte il fatto che gli appellanti, neanche in primo grado, hanno individuato i parametri di legge che risulterebbero violati, è di tutta evidenza che le doglianze proposte individuano, eventualmente, mere irregolarità non sostanziali, inidonee a revocare in dubbio la correttezza del dato elettorale.

8. Le motivazioni di cui sopra giustificano, altresì, il rigetto di tutte le richieste istruttorie, e, in particolare, l’istanza di verificazione. Con esse, infatti, gli appellanti mirano a far entrare nel giudizio informazioni ininfluenti rispetto alla risoluzione della controversia, con inutile aggravio dei tempi del processo e con possibile nocumento per le preziose risorse della giustizia.

9. In conclusione, l’appello dev’essere respinto.

10. Dalla reiezione del ricorso in appello discende l’improcedibilità dell’appello incidentale condizionato proposto da De Luca e Pellegrino.

11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Dichiara improcedibile l’appello incidentale condizionato.

Condanna gli appellanti alla refusione delle spese di lite sostenute in grado d’appello, dal comune di (omissis) e dai sigg.ri De. Lu. Br. An. e Pe. Ka., forfettariamente liquidati in €. 1.500 per il comune, ed in €. 1.000 a favore di ciascuno dei controinteressati, oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2018.

Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2018.