L’obbligo per l’amministrazione di non iniziare il procedimento disciplinare nei confronti di un militare, o di sospenderlo, discende esclusivamente dall’esercizio in senso proprio dell’azione penale e quindi dalla richiesta di rinvio a giudizio o atti equivalenti e non anche dalla sola circostanza dell’avvenuta sottoposizione ad attività di indagine.

(T.A.R. Cagliari, (Sardegna), sez. II, sentenza 5 maggio 2017, n. 293)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1019 del 2010, proposto da:

-OMISSIS-, già rappresentato e difeso dagli avvocati Patrizio Rovelli e Cristina Caredda ed attualmente rappresentato e difeso dall’avvocato Umberto Cossu, con elezione di domicilio come da procura speciale in atti;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica e Questura di Cagliari, in persona del Questore in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, presso i cui Uffici in Cagliari sono per legge domiciliati;

per l’annullamento

– del decreto del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza n. 333-D/6646 del 19.7.2010, con il quale il Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza ha disposto nei confronti dell’agente scelto della Polizia di Stato -OMISSIS- la destituzione dall’Amministrazione della Pubblica
Sicurezza, ai sensi dell’art. 7 nn. 1, 2 e 6 del d.P.R. n. 737/1981, a decorrere dalla data di notifica del provvedimento;

– della delibera del 9 giugno 2010 adottata dal Consiglio Provinciale di Disciplina istituito presso la Questura di Cagliari, con la quale si proponeva di applicare all’Assistente della Polizia di Stato -OMISSIS- la sanzione disciplinare della destituzione ai sensi dell’art. 7, comma 2 nn. 1,2 e 6 del DPR n. 737/1981;

– di tutti gli altri atti immediatamente presupposti, preliminari e preparatori, connessi, conseguenti, sopravvenuti, anche non conosciuti e/o parzialmente conosciuti, comunque lesivi della posizione del ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e di Questura di Cagliari;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 marzo 2017 il dott. Marco Lensi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Col ricorso in esame la parte ricorrente avanza le richieste indicate in epigrafe, rappresentando quanto segue.

In data 23 febbraio 2010, il ricorrente, sottoposto a perquisizione domiciliare – in occasione dell’esecuzione di un ordine di custodia cautelare in carcere emesso dal Tribunale di Cagliari nei suoi confronti per altro fatto delittuoso, nell’ambito del procedimento penale n. -OMISSIS-R.N.R. Procura della Repubblica di Cagliari – veniva trovato in possesso di n. 49 cartucce calibro 9 mm parabellum e di n. 3 frammenti (pari a 1,020 g) di sostanza solida resinosa di colore marrone, poi risultata essere -OMISSIS- di tipo -OMISSIS-.

Provvedutosi contestualmente all’arresto del ricorrente, in pari data il Questore della provincia di Cagliari ne decretava la sospensione cautelare dal servizio ai sensi dell’articolo 9, comma primo, del D.P.R. n. 737/1981, fino alla definizione del procedimento penale e comunque per un periodo non superiore a cinque anni.

Per gli stessi fatti inoltre, nelle more del procedimento penale già pendente e di quello ulteriore iscritto a seguito delle risultanze della perquisizione di cui sopra, veniva altresì avviata un’autonoma inchiesta disciplinare.

Terminata l’istruttoria, il Consiglio provinciale di disciplina proponeva l’applicazione della sanzione disciplinare della destituzione ai sensi dell’art. 7, comma 2 nn. 1, 2 e 6 del d.P.R. n. 737/1981, ritenendo che la condotta contestata all’incolpato denotasse “grave mancanza del senso dell’onore e della morale, grave contrasto con i doveri e obblighi assunti con il giuramento, nonché una scarsa inclinazione all’osservanza delle norme comportamentali cui è soggetto l’appartenente all’Amministrazione della P.S.”.

Recependo tale giudizio, con decreto del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza n. 333-D/6646 del 19.7.2010, il Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza ha disposto nei confronti del ricorrente la destituzione dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, ai sensi dell’art. 7 nn. 1, 2 e 6 del d.P.R. n. 737/1981, a decorrere dalla data di notifica del provvedimento.

La parte ricorrente ha quindi proposto il ricorso in esame, col quale si chiede l’annullamento del decreto del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza n. 333-D/6646 del 19.7.2010, con il quale il Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza ha disposto nei confronti dell’agente scelto della Polizia di Stato -OMISSIS- la destituzione dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, ai sensi dell’art. 7 nn. 1, 2 e 6 del d.P.R. n. 737/1981, a decorrere dalla data di notifica del provvedimento; della delibera del 9 giugno 2010 adottata dal Consiglio Provinciale di Disciplina istituito presso la Questura di Cagliari, con la quale si proponeva di applicare all’Assistente della Polizia di Stato -OMISSIS- la sanzione disciplinare della destituzione ai sensi dell’art. 7, comma 2 nn. 1,2 e 6 del DPR n. 737/1981; di tutti gli altri atti immediatamente presupposti, preliminari e preparatori, connessi, conseguenti, sopravvenuti, anche non conosciuti e/o parzialmente conosciuti, comunque lesivi della posizione del ricorrente.

A tal fine, la parte ricorrente avanza articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili e conclude per l’accoglimento del ricorso.

Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate, sostenendo l’inammissibilità e l’infondatezza nel merito del ricorso, di cui si chiede il rigetto.

Con atto in data 29 aprile 2015 il ricorrente ha revocato il mandato conferito agli originari difensori e si è costituito in giudizio col patrocinio di un nuovo difensore.

Con successive memorie le parti hanno approfondito le proprie argomentazioni, insistendo per le contrapposte conclusioni.

Alla pubblica udienza del 22 marzo 2017, su richiesta delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è infondato.

Infondate risultano le censure di cui al punto primo del ricorso, di violazione dell’articolo 11 del D.P.R. n. 737/1981; eccesso di potere per disparità di trattamento, grave ingiustizia e illogicità manifesta.

Alla luce della giurisprudenza amministrativa in materia ed in particolare della sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 29 gennaio 2009, l’articolo 11 del D.P.R. n. 737/1981 deve essere interpretato nel senso che “il presupposto ostativo all’attivazione o alla prosecuzione del procedimento disciplinare è l’esercizio dell’azione penale e la conseguente assunzione della veste di imputato del soggetto al quale è attribuito il fatto di rilevanza penale”, con la conseguenza che l’obbligo per l’amministrazione di non iniziare il procedimento disciplinare o di sospenderlo discende esclusivamente dall’esercizio in senso proprio dell’azione penale e quindi dalla richiesta di rinvio a giudizio o atti equivalenti e non anche dalla sola circostanza dell’avvenuta sottoposizione ad attività di indagine, come nel caso di specie, per cui la censura in esame è infondata, dovendosi altresì ritenere manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’articolo 11 del D.P.R. n. 737/1981 in relazione agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione, sollevata dal ricorrente, dovendosi ritenere rimessa alla valutazione del legislatore l’individuazione del presupposto a seguito del quale insorge per l’amministrazione l’obbligo di non iniziare il procedimento disciplinare o di sospenderlo, e dovendosi ritenere correlativamente manifestamente infondata la questione della possibile violazione dei sopra menzionati articoli della Costituzione per il fatto che il legislatore, nella sua discrezionalità, abbia ritenuto di individuare tale presupposto esclusivamente nell’avvenuto esercizio dell’azione penale.

Ugualmente infondate risultano le censure di cui al punto secondo del ricorso di violazione dell’articolo 7, comma 2 n. 6 del D.P.R. n. 737/1981; eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di motivazione, illogicità manifesta e contraddittorietà estrinseca.

Come esattamente rilevato dalla Difesa erariale, nel caso in esame, il provvedimento di destituzione è stato adottato ai sensi dell’articolo 7, comma 2 nn. 1, 2 e 6 del citato D.P.R., essendosi ritenuto che la condotta del dipendente integrasse i presupposti per l’applicazione della sanzione della destituzione sotto ciascuna delle ipotesi richiamate, per cui la censura risulta in primo luogo inammissibile, posto che l’atto impugnato è motivato anche con riferimento alla sussistenza dei presupposti di cui ai nn. 1 e 2 del comma secondo dell’articolo 7 del D.P.R. 737/1981, che risultano pertanto idonei a sorreggere autonomamente il provvedimento di destituzione.

Il comma secondo dell’articolo 7 in questione stabilisce che la destituzione è inflitta:

1) per atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale;

2) per atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento;

…. omissis….

6) per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari;

… omissis….

Ciò stante, deve ritenersi legittima e non affetta da vizi logici, irragionevolezza o manifesta ingiustizia la valutazione dell’amministrazione secondo cui i fatti in questione addebitati al ricorrente (possesso di munizionamento da guerra e di -OMISSIS- tipo -OMISSIS-) integrino i presupposti delle fattispecie di condotta sanzionata cui ai punti nn. 1 e 2 della norma in questione quali atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale e che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento.

Conseguentemente deve ritenersi che la rilevata sussistenza dei presupposti di cui ai nn. 1 e 2 dell’articolo 7 del D.P.R. 737/1981, sia senz’altro idonea a sorreggere autonomamente il provvedimento di destituzione, fermo restando che risulta altresì esatto l’ulteriore rilievo dell’amministrazione con riferimento al punto 6 della norma in questione di reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio, considerato che con atto del 30 aprile 2009 il ricorrente è stato punito con la sanzione della sospensione dal servizio per mesi sei per assunzione di -OMISSIS-, dovendo essere esclusa pertanto – come esattamente rilevato dalla Difesa erariale – l’occasionalità dell’episodio che ha dato luogo al procedimento disciplinare, relativamente alla questione delle -OMISSIS-.

Infondate risultano altresì le censure di cui al punto terzo del ricorso di violazione degli articoli 1, 7 e 13 del D.P.R. n. 737/1981; eccesso di potere per violazione dei principi di proporzionalità e gradualità della sanzione, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ritiene il collegio che, nel caso di specie, non risultino violati i principi di proporzionalità e gradualità della sanzione, in considerazione della gravità delle mancanze addebitate al ricorrente quale soggetto appartenente alla Polizia di Stato (possesso di munizionamento da guerra e di -OMISSIS- tipo -OMISSIS-).

Premesso che devono essere condivisi i rilievi della Difesa erariale secondo cui la valutazione della gravità di un comportamento ai fini disciplinari e la proporzione fra la sanzione disciplinare irrogata e la gravità dei fatti contestati, costituisce manifestazione del discrezionale apprezzamento dell’amministrazione, suscettibile di sindacato di legittimità solo per macroscopici vizi logici; devono essere richiamati, anche avuto riguardo al caso di specie, i principi giurisprudenziali in materia, secondo cui “Non è né illogica né irragionevole la scelta dell’Amministrazione di infliggere la sanzione destitutoria al militare che risulti aver fatto uso di -OMISSIS-, trattandosi di condotta inammissibile ed incompatibile con lo status ricoperto; ed infatti la sola assunzione di stupefacenti da parte del militare pregiudica la relazione fiduciaria dell’Amministrazione di appartenenza con lui, costituisce grave violazione degli obblighi assunti con il giuramento prestato e rende del tutto irrilevante qualunque considerazione circa gli esiti negativi di altri accertamenti, sub specie di assenza di sintomi di tossicodipendenza e/o attestazioni di idoneità psico – fisica al servizio.” (Consiglio di Stato sez. IV 18 febbraio 2016 n. 652; vedasi altresì Consiglio di Stato sez. IV 25 novembre 2016 n. 4987; Consiglio di Stato sez. IV 23 maggio 2016 n. 2114).

Con specifico riferimento agli appartenenti al corpo della Polizia di Stato si richiamano i principi giurisprudenziali secondo cui “È legittima la destituzione dal servizio di un agente della Polizia di Stato che abbia fatto uso di -OMISSIS-, atteso che tale uso altera l’equilibrio psichico, inficia l’esemplarità della condotta, si pone in contrasto con i doveri attinenti allo stato di militare e al grado rivestito, influisce negativamente sulla formazione militare e lede il prestigio del Corpo” (Consiglio di Stato sez. III 23 maggio 2013 n. 2810; Consiglio di Stato sez. III 06 maggio 2013 n. 2448; T.A.R. Lazio – Roma, sez. I 02 aprile 2013 n. 3262; Consiglio di Stato sez. III 06 giugno 2011 n. 3371).

Ciò stante, considerata la sussistenza del precedente disciplinare – risalente a poco più di un anno prima rispetto al decreto di destituzione oggi impugnato – per uso di -OMISSIS-, consistente nell’irrogazione nei confronti del ricorrente della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di mesi sei, ritiene il collegio che debba essere esclusa qualsiasi manifesta irragionevolezza o sussistenza di macroscopici vizi logici, nel caso di specie, in cui è stata irrogata la sanzione disciplinare della destituzione, alla luce dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

Per le suesposte considerazioni, disattese le contrarie argomentazioni della parte ricorrente, stante l’infondatezza delle censure avanzate, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del giudizio devono essere poste a carico della parte ricorrente e sono liquidate in favore delle Amministrazioni resistenti nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M. 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge 

Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore delle Amministrazioni resistenti, delle spese del giudizio, che liquida forfettariamente in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. 

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Scano, Presidente

Marco Lensi, Consigliere, Estensore

Giorgio Manca, Consigliere

Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2017.